“Dialogo sulla ricostruzione”, colloquio con Massimiliano Panarari ("L’Espresso", 28 febbraio scorso).
Ricominciamo dal territorio, l’unico capitale che ci resta
Aldo Bonomi: “La pandemia è arrivata nel corso di una nuova metamorfosi della relazione tra flussi e luoghi. Stavamo vivendo una nuova transizione. Abbiamo bisogno di umanesimo industriale, ambientale e sociale (rafforzando il volontariato). E umanesimo istituzionale, perché quelle di cui disponiamo non sono ancora le istituzioni politiche di cui c’è necessità e, su questo ultimo aspetto, mi sento decisamente meno ottimista”.

Aldo Bonomi
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Il rapporto è stato realizzato da ministero del Lavoro, Anpal, Inps, Inail e Istat.
Smart working, la nuova frontiera dell’occupazione
La prima “sperimentazione” ad ampio raggio nel bimestre marzo-aprile del 2020 (il 47% dei lavoratori era a casa), percentuale scesa al 27% nel bimestre successivo. A distanza di un anno, e cioè da gennaio a marzo, le previsioni inquadrano una risalita al 33%.

Il futuro è iniziato
C’erano una volta gli uffici, fatti di scrivanie, di telefoni che squillano contemporaneamente, di voci che si sovrappongono, di appuntamenti da segnare nell’agenda collettiva. C’erano una volta persino le sale riunioni, dove tutti seduti intorno al tavolo - di solito ovale - si prendevano decisioni o si discuteva dei problemi delle aziende. La pandemia da Coronavirus ha ridotto all’osso questa “vita di azienda”, rendendo l’organizzazione di impresa uno degli aspetti immateriali della quotidianità lavorativa. Ci si confronta sulle piattaforme, si accede ai pc in ufficio con dei collegamenti, le riunioni si fanno on line. Il lavoro, insomma, è diventato “remoto”. Nel senso della connessione, s’intende. A quantificare lo stravolgimento del modo di lavorare è il rapporto annuale condotto da ministero del Lavoro, Anpal, Inps, Inail e Istat. «Il lavoro da casa, che nel 2019 coinvolgeva meno del 5% del totale degli occupati - si legge nel testo - nel secondo trimestre 2020 ha interessato il 19,4% dei lavoratori, per un totale di oltre 4 milioni di occupati. La digitalizzazione e il distanziamento sociale hanno concorso a produrre una nuova segmentazione nel mercato del lavoro tra chi può lavorare da casa e chi, per la natura della prestazione, è strettamente legato al luogo di lavoro; ciò richiederà opportune regolazioni e nuovi criteri organizzativi, in grado di gestire istanze aziendali, individuali e familiari».
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E’ stato proprio lui, nel 1983, a indirizzare il giovane economista Mario Draghi al Tesoro.
Le biciclette-tandem e le politiche del sottosegretario Tabacci
Una nuova ecologia della mente - capace di abolire le barriere culturali del secolo passato, dove non si è mai andati realmente verso la transizione ecologica - può, finalmente, trovare campo.

Pasquale Persico
Era stato lui, nel 1983, a portare il giovane economista Mario Draghi al Tesoro; questa volta la sua nomina a sottosegretario alla presidenza lo rendeva emozionato: doveva coordinare la politica economica del Governo. Impresa non facile nonostante la sua profonda conoscenza delle regole della mediazione, di Sant’Agostino principalmente, ma anche di quelle che aveva sperimentato durante la sua carriera politica; del resto, la sua nuova casa politica si chiamava, non a caso, Centro Democratico. Si era battuto con lealtà e lucidità per fare nascere il governo Conte Ter, ma, poi, nella nuova situazione, ha intravisto, nella esperienza Draghi, un’occasione per l’Europa e per l’Italia. Nella sua prima intervista televisiva - l’on. Bruno Tabacci - non poté non raccontare di come avesse sempre seguito con passione le prodezze del suo, affettivamente, Super Mario. Questa volta - e con riferimento alla sua missione - la parola coordinamento poteva essere associata con la parola concordia. Si ricordò, con riferimento a questa parola, di una lezione magistrale del filosofo Remo Bodei a commento del quadro del Buon Governo del Lorenzetti a Siena. La parola coordinamento aveva, però, rispetto a concordia, degli attributi diversi, aspecifici, associabili ad una polivalenza politica.
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Lo scorso 6 febbraio il Corriere del Mezzogiorno ha pubblicato la mappa dei Neet relativa a 20 quartieri di Napoli.
La didattica a distanza? Non è didattica, è un’altra cosa
Penalizza, soprattutto, gli studenti delle famiglie meno abbienti, e, pertanto, finisce per condannare alla povertà soprattutto chi è già povero.

Appesi a un filo
Neet è un acronimo inglese che sta per Not in Education, Employment or Training, e indica “I ragazzi e le ragazze in età scolastica totalmente inattivi”: non studiano, non lavorano e non seguono un corso di formazione professionale. Lo scorso 6 febbraio il Corriere del Mezzogiorno ha pubblicato la mappa dei Neet relativa a 20 quartieri di Napoli (Dati Openpolis). Da essa appaiono subito evidenti due dati preoccupanti. Il primo è l’alta percentuale dei Neet a Napoli, pari al 22,8%: più di un ragazzo su cinque non fa nulla, non studia e non lavora. Il secondo dato è che tale percentuale è più elevata nei quartieri periferici che in quelli centrali. A Ponticelli la quota dei Neet è il 31% (un giovane su 3 non lavora), più del triplo rispetto al Vomero (9%). In questo articolo è stato svolto un ulteriore esercizio. Sono stati messi a confronto i dati sui Neet, appena citati, con i valori medi degli appartamenti dei singoli quartieri pubblicati dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare (OMI) dell’Agenzia dell’Entrate. Anche se le zone OMI ed i quartieri di Napoli non sono tra loro perfettamente sovrapponibili, emerge in modo molto chiaro l’esistenza di una correlazione negativa tra il prezzo medio degli appartamenti e la percentuale dei Neet dei singoli quartieri.
*Ricercatore in Economia-Dipartimento di Scienze Statistiche Economiche, Centro di Economia del Lavoro e di Politica Economica-Università degli Studi di Salerno.
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È ottimo per il nostro intestino ed aiuta a mantenere forti le difese immunitarie.
Yogurt? Sì grazie, ma vegetale
E’ un vero e proprio jolly a tavola. Lo possiamo mangiare sia per tornare in forma che per saziarci o anche se soffriamo di qualche intolleranza, ad esempio al lattosio.

Risorsa preziosa
La leggerezza arriva a tavola. Ma perché fa bene lo yogurt vegetale? Molto digeribile, ha più fibre, meno calorie, meno grassi e zero colesterolo, oltre a contenere proteine vegetali, vitamine (la D e quelle del gruppo B), e sali minerali (primo fra tutti il calcio). A colazione dà la carica, a fine pasto può sostituire il dessert o il gelato, a merenda scaccia il languorino e come snack è gustoso e sano. E poi, dopo le grandi abbuffate, è un toccasana… Lo yogurt vegetale è un vero e proprio jolly a tavola. Lo possiamo mangiare sia per tornare in forma che per saziarci o anche se soffriamo di qualche intolleranza, ad esempio al lattosio. Può essere di riso, avena, soia, cocco o mandorle e va consumato senza aggiunta di zuccheri e grassi. In generale, lo yogurt vegetale è più leggero rispetto a quello ottenuto dal latte di mucca o di capra. In termini di calorie, 100 grammi di yogurt vegetale equivalgono a 33 calorie contro le 61 di quello animale. E chi ha come obiettivo il controllo del peso può mangiarlo con assiduità.
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