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Con riferimento ai dati nazionali di più osservatori sul Project Finance, emerge la tendenza di tale tipo di finanza al cambio di scala verso il basso, e ciò nonostante la spinta Pnrr per i grandi progetti. I privati, ma anche i Comuni, protagonisti delle iniziative sul territorio nazionale, incontrano difficoltà a realizzare progetti di scala adeguata alle esigenze di integrazione delle funzioni territoriali contemporanee, (standard materiali ed immateriali di area vasta, questa, non nel senso della legge Del Rio). La finanza per le imprese tende a concentrare l’attenzione sul singolo progetto di investimento senza ispirarsi ad una visione strategica e larga sul futuro competitivo. Nei processi di pianificazione strategica, invece, si scopre che diventa decisivo il modo in cui si mettono in sequenza i progetti, includendo anche quelli valutati ex ante non redditizi; questi potrebbero diventare idonei quando entrano in campo altri progetti che hanno economie esterne rilevanti, (economie di scopo e di varietà programmate). Emerge il concetto di finanza di città o di area vasta, per rompere l’idea che la finanza debba aggredire i singoli progetti, per lanciare, invece, la sequenza di progetti (da finanziare): questo contesto emergerà da un mixage strategico di più fondi e di più organizzazioni che lavorano insieme, siano esse private o pubbliche. In tale visione sale la mediana di quei progetti che, invece, scendono molto al di sotto dei 10-15 milioni di euro. Ecco allora la necessità di studiare nuove metodologie di intervento in grado di legare insieme progetti complementari che in sequenza possono dare al territorio quel valore aggiunto di più ampio respiro, in termini di produttività totale dell’area considerata. Per il sito aggredito dal terremoto dell’Area Flegrea si può pensare ad una finanza di città e di area vasta, cioè alla possibilità di una visione strategica sulla città-infrastruttura complessa del domani e/o arcipelago di nuova urbanità.
Questa breve premessa concettuale mi riporta a ribadire i temi della nuova città infrastruttura complessa dell’Area Flegrea a proposito del decreto-bradisismo in approvazione.
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L'altra notizia »



“Venerdì nero, negozi - ancora una volta - in rosso”. Per il Black Friday: “quasi uno su due - il 45% - ha già previsto di approfittare della giornata di sconti (24 novembre), con l’obiettivo di compiere uno o più acquisti. E a questi si aggiunge un ulteriore 40% che ritiene probabile l’acquisto, anche se finalizzerà la decisione in base alle offerte. Che, anche quest’anno, non saranno un’esclusiva online: saranno infatti circa 200mila le imprese del commercio di vicinato che aderiranno all’evento promozionale. La sfida con l’online, però, è in salita: sette consumatori su dieci sono già orientati a comprare su una piattaforma di eCommerce”. E’ questa la stima di Confesercenti “sulla base del tradizionale sondaggio sul Black Friday condotto con IPSOS su un panel di consumatori italiani e integrato con una survey alle imprese proprie associate”.
Si considera che “in media, i consumatori dedicheranno al Black Friday un budget di 216,80 euro con una previsione più alta nelle regioni del centro (256 euro) e più bassa nelle regioni del Sud, isole escluse (181 euro). A spendere di più saranno gli uomini: la previsione è di 246 euro, contro i 190 euro circa delle donne. Tra le fasce d’età, invece, l’investimento più alto nella giornata di sconti si rileva tra i 35 ed i 65 anni (228 euro), anche se le persone tra i 18-34 presentano un tasso di partecipazione più alto: il 50% dei più giovani ha infatti già deciso di comprare durante il Black Friday, contro il 43% dei più grandi. La maggior parte assoluta degli acquisti sarà concentrata nella giornata di venerdì; il 70% degli intervistati, però, ha già approfittato delle promozioni che hanno preceduto il 24 novembre, nella metà dei casi con più di un acquisto”.
Quest’anno il Black Friday “sarà all’insegna della moda: il 49% si dichiara interessato all’acquisto di capi d’abbigliamento, calzature o accessori, una quota superiore - per la prima volta dall’inizio delle rilevazioni - a quella orientata verso un prodotto informatico o elettronica (47%). Al terzo posto prodotti per la bellezza e la cura della persona, indicati dal 34%. Seguono elettrodomestici (29%), libri (24%), giocattoli (21%) e mobili e prodotti per la casa (18%)”.
(Fonte: confesercenti.it/23.11.2023)
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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

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Non conta più la politica, ora (stra) vincono i leader

Tentare di descrivere quello che accade nello scenario politico interno - tra gli angusti confini di un quadro complessivo che ha accusato il duro colpo di una prolungata fase regressiva, di fatto arrivata alla vigilia del rinnovo del voto per il Parlamento europeo (scadenza quanto mai importante in questo periodo sovrastato dall’emergenza economica) - è molto complesso, difficile e, forse, per molti versi impossibile, a considerare bene l’improvvisazione degli attori in campo. Come scritto la settimana scorsa, la novità più attuale si ravvisa nella non del tutto prevedibile “resistenza” - non solo alla regressione economica sempre più affiorata in questi mesi - messa in campo non tanto dall’entità partito che si configura nel Pd, ma dalla stessa fetta di “popolo” (circa il 20 per cento) che in esso si riconosce, pur magari non ravvisando del tutto nella parte specifica quella più in grado di rappresentare quell’entità di popolazione che, pure, ritrova nel simbolo stesso del Pd le ragioni per schierarsi nella partita che si sta in questo momento giocando. Se da un lato, quindi, nell’alleanza di centrodestra viaggia da oltre un anno un numero, consistente, di elettori in vantaggio su tutto il resto degli schieramenti che si fronteggiano, con uni specifico partito (FdI) che traina e guida tutti gli altri, dall’altro abbiamo il Pd che, tra mille difficoltà, si prepara (se non accade null’altro di elettoralmente inspiegabile) a impersonare il ruolo di forza trainante della sinistra: termine che mai come in questo caso assume la valenza “variegata” di diverse coloriture politiche che - guardando con la prioritaria attenzione necessaria al contesto di numeri e percentuali, e più specificamente anche alle soglie necessarie per i più piccoli, particolarmente interessati a non disperdersi nel nulla - avvertono, nonostante se stessi, la necessità di rendersi conto che sono arrivati fino al confine della sopravvivenza vera e propria. Sì, perché le prossime elezioni europee potrebbero significare il limite (politico) di una scelta sostanziale, che assumerà con chiarezza il significato, in un certo senso, testamentario di una scelta che per molti anni (almeno cinque) apparirà irreversibile (per quanto valore possa mai assumere nella realtà attuale questa specifica terminologia, proprio nel momento della cangiabilità esistenziale, e figuriamoci, quindi, politica vera e propria). E il vero punto da provare a sottolineare è proprio questo: siamo di fronte, cioè, a un indirizzo del voto destinato a sostenere, o a contrastare, il tentativo di abbattere senza più troppe mediazioni tutte quelle impalcature politiche che ci hanno dominato, solo nell’ultima fase storica per circa un ventennio, se non di più.
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I numeri dell'economia »

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Beni energetici in “decelerazione tendenziale”, scende l’inflazione

“Netta accelerata a ottobre del processo di discesa dei prezzi partito già da qualche mese. I dati definitivi Istat indicano, infatti, un crollo a +1,7% su base annua (un dato che non si registrava da luglio 2021) rispetto al +5,3 del mese precedente, mentre su base mensile si registra un -0,2% rispetto al +0,2% di settembre. L’inflazione acquisita per il 2023 è pari a +5,7% per l’indice generale e a +5,1% per la componente di fondo”. Questa curva “drastica” del tasso di inflazione “si deve in gran parte all’andamento dei prezzi dei beni energetici, in decisa decelerazione tendenziale a causa dell’effetto statistico derivante dal confronto con ottobre 2022, quando si registrarono forti aumenti dei prezzi del comparto”. E’ questo il quadro delineato dall’Istat. La Confcommercio, poi, aggiunge che “un contributo al ridimensionamento dell’inflazione si deve inoltre alla dinamica dei prezzi dei beni alimentari, il cui tasso tendenziale scende al +6,3%, esercitando un freno alla crescita su base annua dei prezzi del carrello della spesa (+6,1%). Infine, più contenuta è la flessione dell’inflazione di fondo, che a ottobre si attesta al +4,2% (dal +4,6% di settembre). In ulteriore rallentamento in termini tendenziali i prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona, che passano da +8,1% a +6,1%, e quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto (da +6,6% a +5,6%)”.
Confcommercio: “Decisa frenata, ma da confermare nei prossimi mesi”.
"Il dato definitivo della deflazione di ottobre (-0,2% su settembre) costituisce una confortante indicazione sul buon funzionamento del sistema produzione-ingrosso-distribuzione. Non solo in undici mesi l’inflazione è scomparsa, almeno temporaneamente, ma la riduzione congiunturale dei prezzi appare diffusa e, quindi, potenzialmente solida. Il crollo del tasso tendenziale è principalmente dovuto ai beni energetici, ma va rilevato che la media di lungo termine della variazione dei prezzi dei beni alimentari in ottobre è pari a 0,2% contro un dato osservato pari a zero".
(Fonte: confcommercio.it/15.11.2023), (Istat).
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Lo speciale »

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I prezzi rallentano, ma allarme non ancora rientrato

“L’inflazione rallenta ma l’allarme inflattivo non è ancora definitivamente rientrato ed il quadro resta incerto. Le stime definitive di Istat sulla dinamica dei prezzi di ottobre sanciscono, infatti, la forte decelerazione di questo fine d’anno anche se, come già da tempo previsto, il tasso medio annuo dovrebbe confermarsi comunque su un livello ancora elevato: tra il 5,7% ed il 5,9%. E le nostre previsioni per il prossimo anno collocano comunque la crescita dei prezzi vicino al 3%”. E’ questo lo scenario complessivo delineato dalla Confesercenti e descritto in una nota. “La fonte principale di questa riduzione resta il prezzo dei beni energetici che hanno manifestato, sia in un senso che nell’altro, una forte volatilità che, per il livello raggiunto, ha comunque influenzato l’indice medio. E poiché il peso dell’energia nel paniere dei prezzi è di quasi il 10 per cento, si comprende il ruolo determinante giocato dalle quotazioni delle commodities energetiche nel corso dell’ultimo episodio inflazionistico. Anche i prodotti alimentari segnano una decelerazione, passando dall’8,5% al 6,5% su l’anno (da settembre ad ottobre) mentre registrano una variazione congiunturale pari a zero”. Va considerata, quindi, “comunque imprudente” e “già esaurita la spinta inflazionistica: da un lato le tensioni geopolitiche con la questione mediorientale che va a sommarsi a quella della guerra in Ucraina, dall’altro l’erosione del potere d’acquisto delle famiglie, sinora rilevante, che hanno modificato i comportamenti di spesa per far fronte all’inflazione attingendo e riducendo la scorta di risparmi, insieme agli elevati tassi di interesse che hanno impattato ed incidono ancora sui redditi di famiglie con mutui, non possono ancora fare definitivamente rientrare le preoccupazioni sul versante inflattivo”.
(Fonte: confesercenti.it/15.11.2023)
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di Ernesto Pappalardo

A riflettere bene sulle conseguenze dei lunghi anni della crisi recessiva - e su quelle che potrebbero derivare dal nuovo rallentamento in atto - la fisionomia del sistema economico e produttivo della provincia di Salerno, per la verità, non ne esce eccessivamente male. Si cristallizza in un paradigma ben saldo da diversi decenni in termini di segmentazione del valore aggiunto con una netta “propensione” verso i servizi, il turismo, la ristorazione, l’accoglienza (dichiarata o sommersa). Come in tutte le altre aree del Mezzogiorno (ed in larga parte d’Italia) il manifatturiero in senso stretto accusa difficoltà, ma risponde come può. E cioè con casi virtuosi di aziende export e green oriented che rappresentano una minoranza ben agganciata alle catene della produzione del valore nazionale (ed in parte internazionale), a fronte, però, di una maggioranza che si barcamena, naviga a vista ed è di nuovo alle prese con percorsi di accesso al credito difficili (e molto onerosi in termini di costi). La regressione degli investimenti pubblici, naturalmente, influisce negativamente con maggiore efficacia (se possibile) anche su quelli privati e va a finire che pure strumenti interessanti come la Zona Economica Speciale (che ingloba i porti di Napoli, Salerno e Castellamare di Stabia e le aree retro-portuali) - sebbene in attesa dell’attivazione definitiva delle corsie veloci in termini di semplificazione amministrativa e di credito d’imposta - risentono di uno scarso appeal soprattutto nei confronti di imprese provenienti dall’estero o da territori almeno extra-regionali.
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