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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

E’ solo la storia dei sogni, uno dietro l’altro
Devo dire che può capitare - per quanto mi riguarda è la prima volta - di ricevere indicazioni e proposte che inducono a scrivere il testo che prende forma e, senza alcuna previsione, rivela cose dimenticate, archiviate, messe definitivamente da parte. O, almeno, così sembrava fino a qualche minuto fa, ogni cosa pareva destinata a scivolare via dalla memoria. Eppure, eccoci qua a rimettere ordine in quelle poche notizie che erano rimaste aggrappate al ricordo di un ragazzino nato a Salerno, il 2 dicembre del 1963. Il campionato di serie A era quello della stagione 1970-71, il colore della maglietta che, ormai, era già entrata nella scia dei sogni “importanti”, era uno solo: il nerazzurro. Insomma, gli ingredienti per partecipare, con gli occhi attaccati alla televisione, a quella stagione che si sarebbe conclusa con lo scudetto tricolore c’erano tutti. Facevano emozionare fino all’ultimo. All’inizio del campionato, però, le cose non andavano proprio bene. Era la seconda volta di Heriberto Herrera sulla panchina, che scontava le cessioni di Guarneri e Suarez, al loro posto erano arrivati Giubertoni e Frustalupi. Bedin e Jair erano stati esclusi dai titolari. I nuovi si chiamavano Fabbian e Pellizzaro. Insomma, l’Inter partì - diciamo - proprio “bene”: 4 punti in 5 giornate. Si arrivò nel mese di novembre alla sconfitta - netta sconfitta - contro il Milan. Fraizzoli, il presidente, dovette esonerare Herrera (Heriberto) e chiamare sulla panchina della prima squadra Giovanni Invernizzi, che stava guidando il settore giovanile. Debuttò nello scontro contro il Torino, vincendo. Ma con il Napoli, in testa alla classifica, perse sul campo degli azzurri. Senza attenuanti. Prese due gol: al 70’ segnò Pogliana e al 75’ Ghio, che rimediarono nel migliore dei modi alla rete che Jair (50’) pure aveva messo dentro. E fu proprio al ritorno da Napoli che i nerazzurri firmarono il “patto” della riscossa.
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I numeri dell'economia »

La corsa dei prezzi continua e non si ferma
“La corsa dei prezzi non si ferma. Il tasso di inflazione resterà sopra il +2% almeno fino al 2025, e rischia di bruciare in tre anni 10 miliardi di euro di potere d’acquisto delle famiglie. Un calo che incide sulla crescita dei consumi e potrebbe depotenziare, di fatto, gli eventuali benefici della riforma fiscale in arrivo”. E’ questo il quadro delineato dalla Confesercenti sulla situazione in atto rispetto all’andamento dei consumi e alle novità fiscali che si vanno delineando in questi giorni. “L’era della bassa inflazione - dice Confesercenti - sembra ormai del tutto terminata. Anche se il picco del 2022 appare episodico e determinato da fattori esterni come lo shock energetico, in prospettiva torneremo a sperimentare un’inflazione permanentemente più elevata di quella con cui ci eravamo abituati a convivere. Ci aspettiamo infatti un tasso di aumento dell’indice dei prezzi del +5,7% nell’anno corrente, del +3,8% nel 2024 e del +2,8% nel 2025. Solo nel 2026 si dovrebbe assestare sul +2%, la soglia comunemente considerata come obiettivo per la stabilità dei prezzi. Un punto d’arrivo, comunque, quadruplo rispetto al tasso medio di inflazione del +0,5% che si è registrato nel quadriennio 2016-2019, prima della pandemia”.
Come si rifletterà questo andamento sui comportamenti dei consumatori? Siamo di fronte ad “uno scenario che avrà conseguenze importanti sul potere d’acquisto delle famiglie: considerando anche la perdita già maturata nel 2022, la compressione subita dalla capacità di spesa delle famiglie ammonterebbe, nella media 2022-2025, al 16% del reddito disponibile. Per avere un termine di confronto, si consideri che nel quadriennio 2016-2019, l’erosione di potere d’acquisto provocata dall’inflazione era stata in media dell’1,5%”.
(Fonte: confesercenti.it/28.05.2023)
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Come si rifletterà questo andamento sui comportamenti dei consumatori? Siamo di fronte ad “uno scenario che avrà conseguenze importanti sul potere d’acquisto delle famiglie: considerando anche la perdita già maturata nel 2022, la compressione subita dalla capacità di spesa delle famiglie ammonterebbe, nella media 2022-2025, al 16% del reddito disponibile. Per avere un termine di confronto, si consideri che nel quadriennio 2016-2019, l’erosione di potere d’acquisto provocata dall’inflazione era stata in media dell’1,5%”.
(Fonte: confesercenti.it/28.05.2023)
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Lo speciale »

E il cibo “bio” si fa sempre più spazio
“Il biologico trova sempre più spazio anche nei menu dei pubblici esercizi”. Un’indagine Ismea - realizzata in collaborazione con Fipe e AssoBio, presentata in occasione dell’evento “Il biologico nella ristorazione commerciale”, (26 maggio scorso a Roma) - rivela che “nell’ultimo anno oltre il 50% dei bar italiani e quasi il 70% dei ristoranti ha proposto o impiegato nelle preparazioni culinarie cibi, bevande e materie prime biologiche, per garantire ai propri clienti una scelta più ampia, servire cibo più salutare e qualificare la propria offerta”. Va detto che “dei circa 111mila bar attivi sul territorio italiano, uno su due ha in parte orientato la propria offerta verso referenze ottenute con metodo biologico, con un’incidenza più elevata nei punti vendita delle città del Centro e Nord Italia e con un numero di addetti superiore a sei. Mediamente quasi il 20% di alimenti e bevande proposti presso questi esercizi è costituito da prodotti bio, soprattutto frutta, latte e vino. La colazione e l’aperitivo sono stati indicati dagli operatori come le occasioni di consumo più adatte all’inserimento di proposte bio, mentre sul fronte dei prezzi il prodotto biologico viene venduto a quasi il 15% in più a causa dei costi più elevati per l’approvvigionamento”.
Più specificamente, “la ristorazione, i due terzi degli oltre 157mila ristoranti presenti in Italia, utilizzano prodotti bio, con percentuali sopra alla media nel Centro Italia (oltre il 76%) e nel Nord Ovest (69%), e un progressivo aumento dell’incidenza al crescere del numero degli addetti (dal 60% nei ristoranti con un solo addetto all’81% di quelli con un numero superiore a 49 addetti)”.
(Fonte: confcommercio.it/29.05.2023)
(continua)
Più specificamente, “la ristorazione, i due terzi degli oltre 157mila ristoranti presenti in Italia, utilizzano prodotti bio, con percentuali sopra alla media nel Centro Italia (oltre il 76%) e nel Nord Ovest (69%), e un progressivo aumento dell’incidenza al crescere del numero degli addetti (dal 60% nei ristoranti con un solo addetto all’81% di quelli con un numero superiore a 49 addetti)”.
(Fonte: confcommercio.it/29.05.2023)
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