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di Ernesto Pappalardo
A riflettere bene sulle conseguenze dei lunghi anni della crisi recessiva – e su quelle che potrebbero derivare dal nuovo rallentamento in atto – la fisionomia del sistema economico e produttivo della provincia di Salerno, per la verità, non ne esce eccessivamente male. Si cristallizza in un paradigma ben saldo da diversi decenni in termini di segmentazione del valore aggiunto con una netta “propensione” verso i servizi, il turismo, la ristorazione, l’accoglienza (dichiarata o sommersa). Come in tutte le altre aree del Mezzogiorno (ed in larga parte d’Italia) il manifatturiero in senso stretto accusa difficoltà, ma risponde come può. E cioè con casi virtuosi di aziende export e green oriented che rappresentano una minoranza ben agganciata alle catene della produzione del valore nazionale (ed in parte internazionale), a fronte, però, di una maggioranza che si barcamena, naviga a vista ed è di nuovo alle prese con percorsi di accesso al credito difficili (e molto onerosi in termini di costi). La regressione degli investimenti pubblici, naturalmente, influisce negativamente con maggiore efficacia (se possibile) anche su quelli privati e va a finire che pure strumenti interessanti come la Zona Economica Speciale (che ingloba i porti di Napoli, Salerno e Castellamare di Stabia e le aree retro-portuali) – sebbene in attesa dell’attivazione definitiva delle corsie veloci in termini di semplificazione amministrativa e di credito d’imposta – risentono di uno scarso appeal soprattutto nei confronti di imprese provenienti dall’estero o da territori almeno extra-regionali.
Ma, a ben vedere, qualcosa di nuovo negli ultimi anni è accaduto. Ed è accaduto come sempre dal basso, per vie quasi carsiche, mettendo in moto meccanismi che certo da soli non risolvono il grande dramma della disoccupazione (giovanile e non giovanile) e non arginano la fuga di risorse laureate e qualificate. In ogni caso, il fenomeno del nuovo ritorno alla terra – under 35, ma anche over 40 e 50 altamente specializzati – ha smosso il panorama relazionale tra le filiere produttive, fino a dare vita a quelle asimmetrie (Censis) contaminanti tra agricoltura, turismo e servizi capaci di generare la metamorfosi delle aziende agricole in soggetti complessi (produzione/trasformazione/vendita diretta/ristorazione/ospitalità) che hanno creato reti di partenariato fino a pochissimo tempo fa inesistenti.
Manca, ovviamente, molto altro, anche se – va detto – che a livello regionale si è preso coscienza della necessità di inquadrare la straordinaria offerta di turismi campani in un disegno unitario che non può/deve fare a meno delle aree interne (peraltro in grande movimento, almeno in alcuni casi rilevanti).
E manca, soprattutto, una vera cultura della coesione territoriale. Da tempo Aldo Bonomi ci ha spiegato che la cultura della coesione aggiunge competitività alle nuove geografie della produzione del valore in Italia (e non solo in Italia). E’ probabilmente questo il vero tallone di Achille, non solo della provincia di Salerno, ma di tanta parte del Mezzogiorno ancora troppo richiuso in rendite di posizione che non riflettono sui territori i benefici che potrebbero derivare dalla presenza di importanti cluster dell’agroalimentare così fortemente competitivi nell’ambito dell’export di food Made in Italy.
Il solito giochino delle responsabilità non porta da nessuna parte. Le responsabilità sono diffuse a tutto campo: nessuno può tirarsi fuori. Ma è chiaro che la politica, le istituzioni, per quanto si possa declamare una “narrazione” diversa e più funzionale, avvertono il peso di ritardi che si contano nell’ordine dei decenni. Come pure – va sottolineato – bisognerebbe fare più in fretta e con strumenti agili nel riconoscere il nuovo che avanza dal basso (le asimmetrie agri-turistiche, il manifatturiero green ed export oriented, l’artigianato digitale, solo per fare qualche esempio), sostenendolo prima di tutto con una solida rete di accompagnamento protettivo dal punto di vista della gestione delle relazioni con il credito.
Non è affatto semplice. Ma è l’unica strada che rende possibile immaginare un futuro diverso per questa provincia. E per mandare in soffitta il prima possibile l’immagine di tanti giovani laureati con la valigia.
Ernesto Pappalardo
@PappalardoE