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“Dialogo sulla ricostruzione”, colloquio con Massimiliano Panarari ("L’Espresso", 28 febbraio scorso).
Ricominciamo dal territorio, l’unico capitale che ci resta
Aldo Bonomi: “La pandemia è arrivata nel corso di una nuova metamorfosi della relazione tra flussi e luoghi. Stavamo vivendo una nuova transizione. Abbiamo bisogno di umanesimo industriale, ambientale e sociale (rafforzando il volontariato). E umanesimo istituzionale, perché quelle di cui disponiamo non sono ancora le istituzioni politiche di cui c’è necessità e, su questo ultimo aspetto, mi sento decisamente meno ottimista”.

Al centro della riflessione, in queste giornate scandite dall’emergenza sanitaria, si propone la questione permanente della “ripresa”, ma, soprattutto, del “ridisegno” di una prospettiva credibile (e sostenibile) di sviluppo – costante e forte – delle aree del Sud, rispetto a una situazione complessiva che si mostra aggredita e, per molti versi, tramortita dall’ultimo anno trascorso nell’immersione pandemica. Tra gli interventi che delineano con chiarezza lo stato attuale nel quale ci troviamo impantanati, si inseriscono le dichiarazioni di Aldo Bonomi (fondatore dell’istituto di ricerca Aaster) e sociologo/analista del capitalismo molecolare, punto di riferimento per quanti, in questi anni, si sono dedicati all’interpretazione del concetto di “territorio”. “La storia dei territori italiani? Narrazione del capitalismo – ha spiegato Bonomi –  che produce società e quindi mutamento antropologico. La pandemia è arrivata nel corso di una nuova metamorfosi della relazione tra flussi e luoghi. Dopo il passaggio dal fordismo al primo postfordismo (i distretti e il made in Italy), stavamo vivendo una nuova transizione. Stavamo assistendo da qualche tempo all’evoluzione di vari distretti nella direzione di altrettante piattaforme produttive. Sono già piattaforme produttive i vari distretti, ma le piattaforme hanno bisogno, però, di essere innervate da ulteriori fattori ed elementi (creatività e conoscenza per esempio), altrimenti rimangono al livello di una manifestazione di localismo produttivo”. Questi e altri concetti basilari si ritrovano esplicati su “L’Espresso” del 28 febbraio scorso – “Dialogo sulla ricostruzione. Un capitale chiamato territorio” (colloquio con Aldo Bonomi di Massimiliano Panarari) – in pagine che delineano la fase di un percorso sempre più complicato nell’intero Paese, ma, particolarmente in tante aree del Mezzogiorno dove continuano a mancare gli elementi chiave per stabilire, con esattezza cronologica, le coordinate di una parabola alla quale continuano a mancare, nella maggioranza dei casi, gli anelli sostanziali in grado di reggere l’urto di un futuro che, in ogni caso, cammina e non si concede distrazioni.

E’ ora il momento – ha sottolineato Bonomi – di mettere in pratica un “nuovo salto” per arrivare al “secondo postfordismo, quello della conoscenza globale in rete a base urbana”. Diventa necessario, quindi, “un modello di una città-piattaforma produttiva, perché le infrastrutture dell’economia della conoscenza si concentrano nelle aree urbane, al pari della digitalizzazione e degli strumenti per incentivare la transizione ecologica”. Il “salto” deve essere “evolutivo perché il modello di sviluppo seguito fin qui è divenuto letteralmente invivibile con le conseguenze che risultano sotto gli occhi di tutti dal punto di vista ambientale e sanitario”.

Siamo di fronte, quindi, a un’opportunità che non può assolutamente essere tralasciata. E’ necessario “innovare le parti arretrate e invecchiate del nostro capitalismo. La remotizzazione del digitale va declinata insieme alle opportune forme di riterritorializzazione”. Perché la sfida in corso è con la “ pandemia antropologica”, si corre, cioè, il “rischio di continuare a perdere capitale sociale che è stato fondamentale per lo sviluppo economico”.

Di conseguenza la “ricetta” di Bonomi è sostanziale: “Abbiamo bisogno di umanesimo. Umanesimo industriale, che contiene in sé il concetto del limite. Umanesimo ambientale e sociale (rafforzando il volontariato). E umanesimo istituzionale, perché quelle di cui disponiamo non sono ancora le istituzioni politiche postfordiste di cui c’è necessità e, su questo ultimo aspetto, mi sento decisamente meno ottimista”.

Ernesto Pappalardo

direttore@salernoeconomy.it

Foto Aldo Bonomi per Il Mattino
Aldo Bonomi
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