Si avvicina la partita per le europee e assistiamo a una serie di cambiamenti molto più profondi di quanto si possa pensare.
La grande e multimediale sfida degli “influencer” (politici)
Siamo nell’epoca dei personaggi di successo (popolari nei social network), molto seguiti dai media, che influiscono sui comportamenti e sulle scelte di un pubblico sempre più vasto. E non è detto che sia peggio di quanto già sperimentato fino a oggi.
Elly Schlein e Giorgia Meloni
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Il processo di istituzionalizzazione degli studi non fu geograficamente omogeneo.
La chirurgia e la Scuola medica di Salerno
Nell’alto medioevo le attività operatorie di basso rango, come la medicazione di ferite, l’incisione di ascessi, la riduzione di fratture e lussazioni, le estrazioni dentarie, erano svolte da mestieranti che le eseguivano senza accorgimenti protettivi e con tecniche grossolane.
“Museo Roberto Papi” - Collezione di Storia della Medicina e dello Strumentario Chirurgico - Salerno (Foto di G. Ferrantino)
Tra i tanti primati della Scuola Medica Salernitana vi è anche quello della rinascita della chirurgia, grazie ai testi di Ruggero di Frugardo e Rolando da Parma.
Prima di loro Aulo Cornelio Celso (I sec. d.C.) scrisse il De medicina, un trattato in otto libri di cui il VII e l’VIII li dedicò alla chirurgia. Celso essendo uno scrittore e non un medico si limitò a tradurre l’opera di un autore greco, probabilmente di Tito Aufidio Siculo. (1) Nell’Europa latina, dopo Celso non si conoscono altri testi di chirurgia di una certa importanza. (2)
Infatti, Beccaria (1956) prendendo in esame 158 codici, contenenti testi di medicina appartenenti ai secoli IX, X e XI, che definisce periodo presalernitano, rilevò che in essi i testi di chirurgia erano pochi e costituiti da istruzioni sul salasso, per effettuare il cauterio e da una lista di strumenti. (3)
Nell’alto medioevo le attività operatorie di basso rango, come la medicazione di ferite, l’incisione di ascessi, la riduzione di fratture e lussazioni, le estrazioni dentarie, erano svolte da mestieranti che le eseguivano senza accorgimenti protettivi e con tecniche grossolane. (4)
La prima notizia dell’attività svolta da chirurghi salernitani ci viene data da Niccolò Salernitano che parlando dell’empiastro (5) ossicroceo (6) dice che gli antiqui chirurgici Salernitani lo adoperavano in particolar modo nelle fratture, nelle cicatrici e nei tumori. De Renzi evidenzia che quelli che venivano definiti come antiqui chirurgici poco dopo il 1100 dovevano aver esercitato almeno nei primi anni dell’XI secolo. (7)
Nell’XI secolo appaiono le prime tracce di letteratura medica che possono essere messe in connessione con Salerno. In alcune opere di questo periodo vengono citati rimedi di natura chirurgica, come in un Passionarius, di cui Pier Damiani indica come autore Garioponto (o Guarimpoto), in cui appare una parola nuova per l’epoca come cauterizzare. (8, 9, 10) All’XI secolo risale anche un trattato anonimo conosciuto come la Practica Petroncelli (11) in cui si parla di suture e di legature di vasi sanguigni in caso di forti emorragie. (12)
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La riflessione.
A proposito dei distretti e della loro fragilità
E i limiti delle economie esterne generate dai nobili propositi della politica industriale amica (l’inefficacia degli antibiotici).
Alfred Marshall
Il concetto fondamentale elaborato da Alfred Marshall e, anche, quello di economie esterne. Va detto subito che nella letteratura sui distretti si è tentato da subito di valorizzare teoricamente tale concetto (o pseudo tale) richiamando un presunto padre nobile, Marshall appunto, con le sue economie esterne. Credo che il primo economista italiano a richiamare Marshall in quest’ambito di studi sia stato il compianto professor Giacomo Becattini.
Vediamo allora come può essere definito un distretto industriale secondo Marshall. Ci sono due fattori da prendere in considerazione:
• forte concentrazione territoriale di piccole imprese operanti in un determinato settore industriale (economie di agglomerazione e cioè vantaggi derivanti dalla reciproca vicinanza delle imprese, come si esprime Marshall);
• frammentazione del ciclo produttivo del prodotto da realizzare in fasi di lavorazione più o meno minute, ciascuna affidata ad un gruppo specializzato di piccole imprese (economie da divisione del lavoro/specializzazione).
Fra poco si vedrà che nella definizione dell’economista inglese manca l’indicazione di un fattore essenziale: la presenza di un’industria leader, “ricca e potente”, come egli stesso si esprime nel definire le economie, “interne”, e cioè di scala.
Supponiamo che il distretto debba realizzare una certa quantità di un suo prodotto tipico e che esso possa contare su 100 piccole imprese industriali (o addirittura artigianali). Ipotizziamo inoltre che 50 di queste (denotiamo con A tale gruppo) siano specializzate nella fase di produzione 1 che si tradurrà nella realizzazione di una determinata quantità di semilavorati e che un altro gruppo formato da 50 piccole industrie, denotato con B, sia specializzato nella fase di produzione 2, che comporterà la realizzazione di una certa quantità, anch’essa preventivamente determinata, di un secondo semilavorato. Tutta la produzione così realizzata dal gruppo A e dal gruppo B verrà stoccata negli ampi depositi di un’impresa maggiore che procederà al controllo di qualità dei semilavorati, all’assemblaggio di ogni coppia di semilavorati 1 e 2 per ottenere il prodotto finito richiesto, all’imballaggio, alla spedizione delle merci così ottenute. Allora bisognerà chiedersi, facendo riferimento alle sole fasi richiedenti cognizioni più elevate di quelle possedute dalle piccole imprese che hanno prodotto i semilavorati:
-chi effettua il controllo di qualità?
-chi ha contattato, o è stato contattato dai clienti finali?
-chi ha elaborato la strategia di pricing che ha consentito al distretto di spuntare il miglior prezzo possibile?
-chi ha fornito alle piccole imprese i disegni industriali necessari, i macchinari più idonei all’esecuzione della commessa con la relativa attività di formazione, le stesse materie prime occorrenti nel caso specifico?, chi ha fissato il prezzo delle sub-commesse, comprensivo del costo delle materie prime, dell’uso dei macchinari, dell’assistenza offerta?
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Un giocatore con un profilo chiaro e preciso: marcatore sempre attento a non farsi sfuggire l’avversario, capace di mantenere sotto controllo attaccanti di altri tempi.
Aldo Bet, lo stopper “razza Piave”
Nel Milan conquistò lo scudetto nella stagione 1978-1979. Con Morini, con il quale condivideva il ruolo di centrale difensivo, costituì una coppia che conferiva piena fiducia alla squadra. E, naturalmente, ebbe la fortuna di giocare con il grandissimo Franco Baresi.
Il grande Aldo Bet nella foto a destra di Nils Liedholm
Nato a Mareno di Piave, provincia di Treviso, rientrava, quindi, a pieno titolo nella “razza Piave” inventata da Gianni Brera e espresse una carriera ricca dello spirito giusto e combattivo che riusciva a mettere in campo. La svolta di Bet prese forma dopo l’esperienza maturata con il Verona: il passaggio in rossonero riaccese la sua carriera, anche se fin dall’inizio si ritrovò alle prese con campionati complicati, dove il Milan era costretto, per esempio, anche a lottare per non retrocedere (’76-’77). Bet ricopre il ruolo di titolare in quasi tutte le partite. E, poi, arriva lo scudetto nella stagione 1978-1979. Con Morini, con il quale condivide il ruolo di stopper, costituisce una coppia che conferisce fiducia alla squadra, e che, naturalmente, ha la fortuna di potersi appoggiare al grandissimo Franco Baresi.
(continua)
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