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Salerno Economy XII.01 – 20.01.2023

Meno ritardi e tatticismi politici restano il traguardo più ambito da raggiungere (al più presto), per il bene di tutti.

Inflazione e debito pubblico ci avvolgono nella crisi

Il contesto economico mondiale, non solo europeo e, quindi, nazionale, resta agganciato al permanere del conflitto ucraino, che determina grande incertezza. Oltre che giustificato e gravissimo allarme umanitario.
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Percentuali troppo rischiose
“Nel 2022 i prezzi al consumo registrano una crescita in media d’anno dell’8,1%, segnando l’aumento più ampio dal 1985 (quando fu +9,2%), principalmente a causa dall’andamento dei prezzi degli Energetici (+50,9% in media d’anno nel 2022, a fronte del +14,1% del 2021). Al netto di questi beni, lo scorso anno, la crescita dei prezzi al consumo è pari a +4,1% (da +0,8% del 2021). L’inflazione acquisita, o trascinamento, per il 2023 (ossia la crescita media che si avrebbe nell’anno se i prezzi rimanessero stabili per tutto il 2023) è pari a +5,1%, più ampia di quella osservata per il 2022, quando fu +1,8%”, (Istat, 17.01.2023). Il contesto nel quale siamo al momento immersi (e completamente dominati) è esattamente questo appena descritto: gli energetici (+50,9% in media nel 2022) riescono a determinare lo scenario che rischia di trascinarsi nel 2023 con un tasso inflattivo pari al 5,1%.
E’ in questa situazione che vanno, quindi, realisticamente parametrati anche gli antichi mali che affliggono già da notevole tempo le dinamiche - che possiamo, a questo punto, definire strutturali - della nostra economia. E’sempre più evidente che ridurre tutto al problema inflattivo sia una semplificazione in grado di non avviarci alla risoluzione effettiva del malessere (progressivo) italico. Resta determinante, per orientarci nel quadro più complessivo, il riferimento alla massa di debito pubblico (in calo): circa 2.765 miliardi di euro a novembre 2022.
(continua)
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I dati sono riferiti al 1° gennaio 2022. “La situazione più “squilibrata” si verifica nel Mezzogiorno”.

“Nel Sud paghiamo più pensioni che stipendi”

L’Ufficio Studi della CGIA: “Rispetto alle altre ripartizioni geografiche d’Italia, il numero degli occupati è sensibilmente inferiore. Va evidenziato che il risultato di questa analisi è sicuramente sottodimensionato”.
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Squilibrio territoriale
“Anche se di sole 205 mila unità, a livello nazionale il numero delle pensioni erogate agli italiani (pari a 22 milioni e 759 mila assegni) ha superato la platea costituita dai lavoratori autonomi e dai dipendenti occupati nelle fabbriche, negli uffici e nei negozi (22 milioni 554 mila addetti)”. I dati sono riferiti al 1° gennaio 2022. Va detto che “la situazione più squilibrata si verifica nel Mezzogiorno”. E che “se nel Centro-Nord - con le eccezioni di Liguria, Umbria e Marche - i lavoratori attivi, anche se di poco, sono più numerosi delle pensioni erogate dall’Inps e dagli altri istituti previdenziali, nel Sud il sorpasso è già avvenuto: queste ultime, infatti, superano i primi di un milione e 244 mila unità”. L’analisi è dell’Ufficio Studi della CGIA che approfondisce lo stato della situazione.
Le ragioni del divario.
"In linea di massima - scrive la Cgia - le ragioni di questo divario tra lavoratori e numero di pensioni vanno ricercate nella forte denatalità che, da almeno 30 anni, sta caratterizzando il nostro Paese. Il calo demografico, infatti, ha concorso a ridurre la popolazione in età lavorativa e ad aumentare l’incidenza degli over 65 sulla popolazione complessiva. Si segnala che tra il 2014 e il 2022 la popolazione italiana nella fascia di età più produttiva (25-44 anni) è diminuita di oltre un milione e 360 mila unità (-2,3 per cento). Per quanto concerne il risultato anomalo del Sud, va segnalato che, rispetto alle altre ripartizioni geografiche d’Italia, il numero degli occupati è sensibilmente inferiore".
(Fonte: cgiamestre.com/30.12.2022)
(continua)
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Il settore delle scoperte energetiche è in grande evoluzione con approcci di macroscopia transdisciplinari sempre più necessari.

Senza una bussola strategica? Non resta che gridare aiuto

Le nuove tecnologie sono legate ad investimenti sulla base di conoscenze a largo spettro, con visioni dove la conoscenza della conoscenza ispira il doing by learning, ma non trascura il learning by doing.
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Pasquale Persico
di Pasquale Persico

Il titolo del mio intervento nasce dalla lettura dei giornali di domenica scorsa dove si possono leggere titoli convergenti ma che arrivano da proteste dei più disparati settori (politica, economia …). Dal Parlamento europeo tutti a protestare per le direttive relative alla casa green da promuovere entro il 2030. Perfino l’Associazione dei Costruttori chiede un rinvio di tutto perché ancora “innamorata” del 110 e della catena del credito di imposta (che genera rischi). Non parliamo poi delle voci deboli dei partiti: si protesta per la non tassazione ai monopoli dell’energia e, magari, non ci si accorge che molte utilities regionali e provinciali di distribuzione si sono ben riempite di extra profitti ingiustificati. Se allarghiamo, poi, il campo alle emissioni di CO2 ed alle misure per ridurle, nessuno ipotizza di pagare i servizi ecosistemici ai comuni di montagna, che potrebbero, così, ben sostenere i temi degli standard elevati per evitare lo spopolamento.
La crisi fiscale degli Stati è globale, gli aiuti alle imprese su energia e clima, gli incentivi ai costruttori, gli investimenti in nuove tecnologie, il modo in cui si sostiene il settore dei semiconduttori, la strategia sulle rinnovabili e la sua velocità di transizione, stanno producendo una varietà di proposte contraddittorie. Le grandi infrastrutture strategiche per la logistica delle città stanno rivelando il loro approccio obsoleto ai nuovi standard della città green.
(continua)
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Il primo riconoscimento legale è rinvenibile nelle Constitutiones, corpus di leggi e di ordinamenti emanati da Federico II di Svevia nell’agosto del 1231.

L’alba della Scuola Medica Salernitana

L’organizzazione e lo sviluppo istituzionale ricalcò quello di altri centri universitari. Lo Studium Generale nacque in modo graduale e dopo la sua affermazione, per tradizione e per fama, il potere politico intervenne per tutelarlo e per regolamentarne l’attività.
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Lapide dedicata a San Tommaso d’Aquino, posta al di sopra della porta d’ingresso a quello che è stato lo Studio di Santa Caterina superiore, nell’atrio del Duomo di Salerno (Foto G. Ferrantino)
di Giuseppe Ferrantino

Carlo Magno (n. 742 - m. 814) conquistò l'Italia settentrionale nel 774 ponendo fine al regno dei Longobardi. A seguito di questo evento Salerno si trovò a ricoprire un importante ruolo politico nella riorganizzazione di questo popolo in fuga dalle regioni del Nord ed ebbe un grande sviluppo economico, sociale ed urbano. I profughi si riversarono nelle regioni del Sud che erano sotto il controllo longobardo e trovarono accoglienza nel Ducato di Benevento. Arechi II (n. 734 ca. - m. 787) assegnò loro terre, trasferì la sua corte e la sua residenza a Salerno e colse l'occasione per fregiarsi del titolo di princeps gentis Langobardorum, elevando il suo dominio a Principato. Egli fece costruire, il suo palazzo sui resti delle mura del castrum, verso il lato occidentale del perimetro urbano prospiciente il mare con, a Nord, una Cappella dedicata ai Santi Pietro e Paolo, oggi quest’ultima fa parte del Complesso Monumentale di San Pietro a Corte. Inoltre, incluse la Turris maior, eretta sul monte Bonadies, durante la guerra greco-gotica (a), in un sistema difensivo più complesso costituito da due muri che, si dipartivano dai lati della torre, raggiungevano la spiaggia, allargandosi dal vertice collinare, quindi si ricongiungevano parallelamente al mare, utilizzando, probabilmente parte delle mura del castrum bizantino, dando una configurazione triangolare alla città (b), schema riprodotto nei follari (c) longobardi e per tutto il basso medioevo. (1)
(continua)
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