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Salerno Economy XI.40 – 11.11.2022

Felici e contenti, in fondo, abbiamo fatto un passo indietro per ritornare esattamente dove eravamo.

Tutto a posto, non è successo niente (così ci raccontano)

Alla fine abbiamo scelto la rimozione coatta di tutto quello che non solo ci è capitato di vivere nei mesi “forti” dell’epidemia, ma anche di quello che abbiamo pensato, inseguito, rincorso e non trovato.
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E, poi, non cambiò nulla . . .
Si ha sempre la sensazione - alla fine di un’epoca - che non stia accadendo nulla, che tutto, ogni cosa, continui ad andare avanti, magari peggiorando di giorno in giorno, ma rimanendo all’interno di un chiaro contesto socio/economico e politico, declinante va bene (forse), ma sempre nettamente identificabile. In altre parole, la forza di una narrazione particolarmente diffusa e dominante, in qualche modo “ufficiale” (quasi istituzionale perché identificata e identificabile), permane nel descrivere le azioni e i “risultati” - oltre che le guerre, i dissidi e i conflitti con vincitori e vinti - facendo riferimento a variabili “sempre” identiche. Ma è proprio così? E’ veramente inesistente il cambiamento che, invece, tante volte ha pervaso la storia reale senza che fosse possibile appurarne, direttamente, la sua supremazia? Quante cose - capiremo con ritardi effettivi decennali o ventennali e trentennali - sono, in realtà, già entrate negli archivi condivisi, pubblici e privati e stanno segnando una nuova rotta che prenderà meglio forma, progressivamente, nel tempo breve o più strutturalmente esteso? Sarà un tempo realmente nostro o, invece, di quanti prenderanno definitivamente il nostro posto: giovani, ragazzi, bambini?
Questa riflessione va fatta, anche con una certa superficialità, perché è davvero difficile immaginare quale piega prenderanno gli eventi - che si stanno aggregando in maniera così intensa da qualche anno a questa parte - anche se sono in molti a intravedere una vera e propria cesura temporale nella surreale vicenda della pandemia.
(continua)
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Indagine condotta da Unioncamere con la collaborazione di Bmti e Ref Ricerche.

Inflazione alimentare, crescita al +16,6% (ottobre/novembre)

Si delinea la conferma dell’andamento in salita dei prezzi pagati dalle Centrali di Acquisto della Gdo all’industria del settore, evidenziando il netto aumento rispetto allo stesso bimestre del 2021.
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Aumenti a raffica
“L’indagine condotta da Unioncamere con la collaborazione di Bmti e Ref Ricerche prospetta una crescita dei prezzi pagati dalle Centrali di Acquisto della Gdo all’industria alimentare del +2,2% nel bimestre ottobre-novembre, portando così i prezzi su di un livello atteso pari al +16,6%, rispetto allo stesso bimestre del 2021”. Nello specifico, “a settembre si è rilevato un aumento del +1,2% per la media dei 46 prodotti alimentari maggiormente consumati, con rincari evidenti per il tonno all’olio di oliva (+6,1%), la carne in scatola (+5,1%), la birra nazionale (+4,8%) e i biscotti (+4,0%)”. Se si tiene conto su base annua dello scenario che ha preso forma in questo arco di tempo, “l’incremento è del +15,3%, con i rialzi maggiori per la farina di grano tenero (+37,0%), il tonno all’olio di oliva (+31,9%), la pasta di semola (+29,1%). Marcata anche la crescita negli oli e grassi per burro (+22,7%) e olio extravergine di oliva (+19,8%)”.
Queste indicazioni - fornite dalle Centrali di Acquisto della Gdo - “prospettano significativi aumenti anche per il bimestre ottobre-novembre”. Nello specifico, “ci si attende un aumento per l’olio extravergine di oliva (+8,2%), su cui pesano anche le attese di una netta contrazione produttiva, tonno all’olio di oliva (+7,6%), birra nazionale (+7,3%) e carne in scatola, cresciuta del +6,7%. In calo solo l’olio di semi vari (-1,7%), complice il rientro, negli ultimi mesi, dai picchi raggiunti dopo lo scoppio del conflitto russo-ucraino”.
(Fonte: unioncamere.gov.it/07.11.2022)
(continua)
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“Riduzione generale del cuneo fiscale, ma anche agevolazioni per le assunzioni di giovani”.

Confesercenti, flessibilità e taglio del costo del lavoro

“Misure mirate a rinforzare il sistema di formazione e delle politiche attive, strumenti indispensabili per garantire una maggiore e più qualificata occupazione”.
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Vera emergenza
“L’emergenza Covid, le tensioni internazionali e il caro-energia hanno condizionato e stanno ancora condizionando fortemente l’attività delle imprese, l’occupazione e l’organizzazione del mercato del lavoro. In questo quadro, introdurre maggiori elementi di flessibilità e procedere a una riduzione generale del costo del lavoro sono diventate esigenze ormai improcrastinabili”. E’ questa la posizione di Confesercenti che richiama l’attenzione sulla difficile situazione determinatasi nel comparto-lavoro. “Può sembrare un paradosso, ma per affrontare le difficoltà di questa fase - scrive Confesercenti - bisogna investire nella stabilità ma anche introdurre nuovi strumenti, con regole semplici e chiare, per gestire le esigenze di flessibilità che questo momento di incertezza economica alimenta, soprattutto nel terziario e nel turismo”. Strumenti “che devono però essere accompagnati dal taglio del costo del lavoro, da ottenersi anche con più interventi: riduzione generale del cuneo fiscale, ma anche agevolazioni per le assunzioni di giovani - magari in una prospettiva di staffetta generazionale, a fronte di pensionamenti anticipati - e detassazione e decontribuzione degli aumenti salariali accordati dai Ccnl maggiormente rappresentativi. Un intervento, questo, che darebbe certamente un nuovo impulso alla contrattazione”.
Confesercenti richiama, poi, sul versante dei costi, l’attivazione dell’Osservatorio sulla riforma degli ammortizzatori sociali.
(Fonte: confesercenti.it/04.11.2022)
(continua)
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La metafora che ci viene in aiuto è il modello di riproduzione nella grande area della laguna veneta.

L’anguilla, le grandi anguille e il futuro “difficile” di Venezia

La sfida di come affrontare per le città il tema del clima e della transizione ecologica è tutta in campo, ma guai a fidarsi troppo di un approccio (tecnologico) lontano dalle storie dei territori che, sopravvivono anche a se stessi.
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Pasquale Persico
di Pasquale Persico

Le città sono state, fin dalla loro nascita, un canale insostituibile di comunicazione tra passato e futuro. Le storie degli organismi urbani sono sempre storie di uomini e di donne che vivono la città; anche le città possono essere raccontate come storie di organizzazioni fatte di reti fisiche ed immateriali che nascono, vivono e muoiono. Spesso l’apparenza inganna, città che sembrano vivaci, brillanti e piene di persone sono in realtà morte e città morte e sepolte, una volta ritrovate, si fanno percepire come città che continuavano a vivere, perché sanno emozionarci e si fanno amare.
“If you love Venice, let Her die”, è l’appello apparso su “ Times on Line” scritto da Rachel Campel Johnston qualche anno fa ed io, in occasione del piano strategico di Ferrara, ho esplorato questa ipotesi, fino in fondo. Anziché accanirsi per continuare ad investire per sostenere la vita virtuale, turistica, di un organismo urbano senza struttura “vitale”, ho pensato che programmare per Venezia una “apparente morte lenta”, potrebbe essere più vantaggioso per i veneziani e per l’umanità.
L’ipotesi riguarda anche il grande tema delle città metropolitane ed il tentativo di rivitalizzarle con il turismo o con le mille ipotesi di nuove industrie innovative a tecnologia accessibile ai giovani. L’ipotesi che Venezia deve avere la possibilità di “morire” con dignità “costruttiva” per “scivolare verso una nuova vita” è del tutto attuale e persistente - come memoria miraggio-immaginario-storia attuale - in uno scenario più o meno realistico (in quanto esiste), ma, giustamente, viene contrastata dal collega economista, anch’egli visionario, Carlo Bagnoli, direttore scientifico di Venice, sustenibily innovation accelerator, meglio sintetizzato con VeniSIA.
(continua)
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L’analisi della Coldiretti e del Consorzio di tutela e promozione della produzione italiana sulla base dei dati Istat nei primi sette mesi dell’anno.

Birrifici artigianali triplicati in dieci anni

“Quest’anno i consumi nazionali destinati a superare il record storico di oltre 35 litri pro capite per un totale di 2 miliardi di litri, generando un volume di fatturato che vale 9,5 miliardi di euro”.
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In forte ascesa
“Triplicati i birrifici artigianali in Italia negli ultimi dieci anni che superano la quota record di 1085 realtà nel 2022 facendo volare le esportazioni con un balzo del +12%. E’ quanto emerge dall’analisi della Coldiretti e del Consorzio di tutela e promozione della birra artigianale italiana sulla base dei dati Istat nei primi sette mesi dell’anno”. Si tratta di una crescita che “ha fatto salire - sottolineano Coldiretti e Consorzio - la domanda di materie prime 100% Made in Italy con il luppolo che da zero ha raggiunto oggi un milione di metri quadrati coltivati lungo la penisola ai quali si aggiungono i 300 milioni destinati all’orzo per la produzione di malto da potenziare perché copre per adesso quasi il 40% del fabbisogno nazionale con circa 83mila tonnellate”.
Nel primo salone della birra artigianale Made in Italy - hanno specificato Coldiretti e Consorzio Birra - “sono stati esposti 81 campioni di luppolo per 20 varietà nazionali che arrivano dal Veneto all’Emilia Romagna, dalla Lombardia alle Marche, dal Piemonte al Lazio, dal Friuli al Trentino dalla Liguria alla Basilicata, per un successo della filiera della birra artigianale italiana che dal campo alla tavola offre lavoro a circa 93.000 addetti per una bevanda”.
Il record storico.
"Quest’anno i consumi nazionali di birra sono destinati a superare il record storico di oltre 35 litri pro capite per un totale - spiegano Coldiretti e Consorzio - di 2 miliardi di litri generando un volume di fatturato che, considerando tutte le produzioni, vale 9,5 miliardi di euro. Quasi 2 boccali su 3 sono riempiti con produzioni nazionali".
(Fonte: coldiretti.it/07.11.2022)
(continua)
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