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Salerno Economy XI.36 – 14.10.2022

Nell’attesa siamo ritornati indietro, molto indietro, dispersi in un clima di ignoranza generale.

Il tempo perduto della consapevolezza “inconsapevole”

L’attenzione è di fatto concentrata sul ritmo di quello che accade prima, anche un momento prima. O meglio ancora: su quello che sta per accadere, che, poi, declina subito nel già visto e previsto o nel “del tutto imprevisto”.
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Confusione totale
Siamo sicuri, ormai, che tutto si concentra nell’attesa. Quando, in realtà, avanzano processi di vario genere - istituzionali o, più praticamente, sequenze di un percorso prestabilito - prende campo e spazia il genere dell’attesa. Che si distacca ampiamente dal legame con l’oggetto sul quale confluiranno aspettative e anche speranze, oltre che varie tipologie di delusioni. Ma, in realtà, la fase più ampia e validamente varia - capace, cioè, di fare cogliere le diverse componenti sociali, politiche e storiche (se non di più) - che precede il fatto, è senza dubbio il momento preliminare, che, poi, continua a “camminare”, ben al di là del fatto stesso. Se proviamo ad applicare queste teorie - abbastanza rozze, ma che possono sembrare addirittura “politiche” - agli eventi in sequenza di questi giorni (a cominciare, ovviamente, dall’avvio del percorso istituzionale), ci rendiamo conto che l’attenzione generale è di fatto concentrata sul ritmo di quello che accade prima, anche un momento prima. O meglio ancora: su quello che sta per accadere, che, poi, declina subito nel già visto e previsto o nel “del tutto imprevisto”. Ma c’è di più: siamo davvero sicuri che, alla fine, le cose vadano esattamente così? Insomma - nel clima di confusione generale che imperversa nel “pubblico” e nel “privato” - nell’attesa del fatto, siamo ritornati indietro, molto indietro, dispersi in un clima di ignoranza generale, che non diventa quasi mai necessità di mettersi a capire qualcosa, ricorrendo alla metodologia più semplice e antica: studiando le parole, prim’ancora che i fatti.
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I calcoli sono basati sull’ipotesi che le famiglie abbiano mantenuto in banca la stessa somma dall’inizio dell’anno.

E l’inflazione “mangia” anche i nostri risparmi

Cgia: “Una stangata da almeno 92 miliardi di euro”. Il conto più salato? Alle “famiglie residenti nelle grandi città, dove il caro vita si fa sentire maggiormente”.
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Fase critica
I conti realizzati dall’Ufficio Studi della Cgia di Mestre ipotizzano una “stangata” pari a 92 miliardi di euro. Si parte dall’ipotesi che “le famiglie italiane abbiano mantenuto nel proprio istituto di credito gli stessi risparmi che avevano a inizio anno. Pertanto, a causa della crescita dell’inflazione - stimata per il 2022 all’8 per cento - la dimensione economica reale del deposito bancario ha subito una drastica decurtazione. A pagare il conto più salato sono le famiglie residenti nelle grandi città, dove il caro vita si fa sentire maggiormente. Certo, una piccolissima parte di questa perdita di potere di acquisto sicuramente verrà compensata dall’aumento degli interessi sui depositi. A seguito dell’incremento dei tassi decisi in questi ultimi mesi dalla Bce, infatti, le banche, nella seconda parte dell’anno, stanno riconoscendo ai propri correntisti degli interessi positivi. Tuttavia, il conto da pagare è pesantissimo e colpisce maggiormente le famiglie meno abbienti”.
A livello territoriale “le province più penalizzate sono quelle più popolate e tendenzialmente anche con i livelli di ricchezza più elevati: a Roma, infatti, l’inflazione erode 7,42 miliardi di euro di risparmi familiari, a Milano 7,39, a Torino 3,85, a Napoli 3,33, a Brescia 2,24 e a Bologna 1,97. Tra le meno esposte, infine, scorgiamo la provincia di Enna con 156 milioni di euro, Isernia con 153 e Crotone con 123”.
(Fonte: cgiamestre.com/08.10.2022)
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Profumi, odori, evocazioni e immagini della memoria si intrecciano a segnare le traiettorie di possibili formazioni di coppie e di gruppi.

Pd, lo scioglimento? Un gesto estetico-letterario

Non basta affermare “cosa” vuole essere, ma occorre individuare “come” gli attuali scenari - e visioni di medio-lunga prospettiva - indicano la necessità di un partito democratico della sinistra.
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Al centro del "racconto" politico
di Mariano Ragusa

C’è chi ne cerca l'anima. E chi lavora al miglior accordo tra le correnti (che restano). Lo scioglimento è un gesto estetico-letterario. Il nome nuovo un diversivo. Il Pd di questi giorni evoca un ballo in maschera con i fori degli occhi dei danzatori oscurati, nel quale profumi, odori, evocazioni e immagini della memoria si intrecciano a segnare le traiettorie di possibili formazioni di coppie e di gruppi.
Il punto che resta sullo sfondo è l’analisi. Non basta affermare “cosa” il Pd vuole essere, ma occorre individuare “come” gli attuali scenari - e visioni di medio-lunga prospettiva - indicano la necessità di un partito democratico della sinistra.
Prevale per ora il tatticismo, le manovre di posizionamento. Le idee che collocano il Pd nascono per strappi ed azioni auto-spiazzanti. Il Pd non ha cristallizzato una linea sulla guerra. Eppure già il governatore della Campania mette in cantiere una ambiziosa e ragionevole (per contenuti) manifestazione nazionale per la pace a Napoli. Che spiazza altre in embrione.
La pace è un capitolo del programma o l’asse intorno al quale ruota l'analisi della complessità che deve imboccare le vie di specifici ambiti per ricongiungersi, nutrite di analisi e riflessione, nel quadro di una visione-guida?
E temi come giustizia fiscale, salario minimo, lotta alle diseguaglianze, si frangeranno in altrettante bandierine identitarie per legittimare sub-appartenenze interne a maggior gloria di un pluralismo (ricordate: Pd partito plurale) reciprocamente auto-difensivo?
(continua)
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Il racconto sulla metodologia da seguire per la costruzione democratica di una “pianificazione” di successo.

Il viaggio di Romano Prodi e le “fabbriche” del nuovo programma

Il risveglio collettivo ha bisogno sempre di approfondire il percorso delle nuove partenze, evitando - come in passato - che vadano ancora avanti i più attenti alle alchimie delle coalizioni (che sono i meno interessati alla velocità del cambiamento).
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Pasquale Persico
di Pasquale Persico

Nel 2005 un libricino benaugurante - “Il viaggio di Romano. Le fabbriche del programma”, a mia firma, con postfazione dell’amico direttore di SalernoEconomy - proponeva alcune iniziative che restano ancora adesso valide per provare a capire meglio di che cosa parliamo quando approfondiamo i temi più strutturalmente legati alla lenta e inconsistente crescita del Sud. Quel viaggio era - e rimane - il racconto sulla metodologia da seguire per la “costruzione democratica” del “programma elettorale” (di allora) da realizzare in caso di successo. Eravamo, questo va detto, in un’altra epoca politica, ma, purtroppo, il contesto socio-culturale resta lo stesso.
Alcune regioni del Mezzogiorno ed alcune regioni del Nord furono scelte come campo di esplorazione per mettere in risalto le “potenzialità di un risveglio delle cittadinanze attive”, a partire dai protagonisti delle “fabbriche creative”. Si incitava il candidato premier del centro-sinistra (ancora con il trattino) a ritrovare quelle reciprocità sociali ed istituzionali capaci di ispirare i temi dello sviluppo sostenibile integrale, della competitività, dell’inclusione, della coesione e della governance a scala variabile. L’idea era poggiata sulle “Fabbriche del Programma”, aperte a sviluppare le nuove economie di scopo e di diversità necessarie all’Italia ed all’Europa, nella difficile esplosione della globalizzazione.
Certo, era un racconto, ma anche un sogno da realizzare perché possibile, da afferrare con le mani e con la gioia che ci manca oggi, legata all’impegno della partecipazione a comunità in amicizia Si trattava di allontanare - allora come oggi - la malinconia civile che ci avvolge fino a diventare malinconia del futuro che ci immobilizza e, spesso, ci porta alla disperazione.
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Al secondo posto “tra le intenzioni di acquisto per i prossimi mesi” rientrano “i cibi 100% italiani.

Energia, 4 su 10 “a caccia di prodotti a km zero”

Coldiretti. Riduzione da parte della filiera corta dei tempi di trasporto, del consumo di carburanti e di emissioni in atmosfera.
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Strategie di risparmio
“La crisi scatenata dalla guerra in Ucraina porta quasi 4 italiani su 10 (37%) a caccia di prodotti locali e a km zero, che risultano al primo posto della classifica sulle intenzioni di spesa per i prossimi mesi, trainati anche dalla volontà di contribuire alla riduzione dei consumi energetici e di sostenere l’economia locale”. Il dato è contenuto in un’analisi della Coldiretti “sulla base del rapporto Coop 2022 che fotografa gli effetti sul carrello della spesa della difficilissima situazione internazionale, con l’inflazione su valori record e la crisi degli approvvigionamenti di gas”. Maggiore freschezza dei prodotti e taglio degli sprechi - spiega Coldiretti - oltre che riduzione da parte della la filiera corta dei “tempi di trasporto” e del “consumo di carburanti e emissioni in atmosfera, tagliando le intermediazioni con un rapporto diretto che avvantaggia dal punto di vista economico agricoltori e consumatori”. Al secondo posto - “tra le intenzioni di acquisto degli italiani per i prossimi mesi” - rientrano “i cibi 100% italiani, che precedono gli alimenti con packaging sostenibile e quelli che garantiscono il rispetto dell’ambiente, per un netto aumento complessivo della spesa green”.
Appaiono “destinati a calare i prodotti pronti, l’etnico, anche perché più energivoro a causa dei lunghi trasporti, e quelli premium a causa delle esigenze di risparmio per la riduzione del potere di acquisto.
(Fonte: coldiretti.it/09.10.2022)
(continua)
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