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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

Nell’attesa siamo ritornati indietro, molto indietro, dispersi in un clima di ignoranza generale.
Il tempo perduto della consapevolezza “inconsapevole”
L’attenzione è di fatto concentrata sul ritmo di quello che accade prima, anche un momento prima. O meglio ancora: su quello che sta per accadere, che, poi, declina subito nel già visto e previsto o nel “del tutto imprevisto”.

Siamo sicuri, ormai, che tutto si concentra nell’attesa. Quando, in realtà, avanzano processi di vario genere  – istituzionali o, più praticamente, sequenze di un percorso prestabilito – prende campo e spazia il genere dell’attesa. Che si distacca ampiamente dal legame con l’oggetto sul quale confluiranno aspettative e anche speranze, oltre che varie tipologie di delusioni. Ma, in realtà, la fase più ampia e validamente varia – capace, cioè, di fare cogliere le diverse componenti sociali, politiche e storiche (se non di più) – che precede il fatto, è senza dubbio il momento preliminare, che, poi, continua a “camminare”, ben al di là del fatto stesso. Se proviamo ad applicare queste teorie – abbastanza rozze, ma che possono sembrare addirittura “politiche” – agli eventi in sequenza di questi giorni (a cominciare, ovviamente, dall’avvio del percorso istituzionale), ci rendiamo conto che l’attenzione generale è di fatto concentrata sul ritmo di quello che accade prima, anche un momento prima. O meglio ancora: su quello che sta per accadere, che, poi, declina subito nel già visto e previsto o nel “del tutto imprevisto”. Ma c’è di più: siamo davvero sicuri che, alla fine, le cose vadano esattamente così? Insomma – nel clima di confusione generale che imperversa nel “pubblico” e nel “privato” – nell’attesa del fatto, siamo ritornati indietro, molto indietro, dispersi in un clima di ignoranza generale, che non diventa quasi mai necessità di mettersi a capire qualcosa, ricorrendo alla metodologia più semplice e antica: studiando le parole, prim’ancora che i fatti. Siamo veramente certi che si comprendano bene, autenticamente, per esempio, tante espressioni, tanti vocaboli, tante spiegazioni che sono, ormai, adoperate come parole “comuni”? O, invece, nella maggioranza delle persone si assiste a una commistione di frasi, concetti, espressioni che hanno un unico denominatore: sono particolarmente usate in quel momento, in quel periodo, fino a diventare “di moda”, perché sembrano “intelligenti” e significano qualcosa di “interessante”. In altre parole, siamo alla rappresentazione “pura” dell’ignoranza “colta”, di quella categoria di “cultura” che ha un grosso punto di forza: accomuna le persone, le rende partecipi del “rito” della condivisione di “qualcosa”, che sostituisce sempre l’abisso della consapevolezza e in genere, non approda alla certezza. Più è autentica – la consapevolezza – più ci accompagna nell’incertezza. Ma di questi tempi, è molto meglio essere inconsapevoli e, magari, anche “colti” e intelligenti, piuttosto che “incerti” e svagati nella ricerca di qualcosa di simile al vero, all’autentico, alla certezza.

Ma non è possibile – ci dicono – meglio accontentarsi. Delle “notizie” che si susseguono e, poi, si perdono nei quintali di commenti, editoriali, analisi, pareri, convinzioni che, pure, “esaltano” e pontificano. Ma non durano, se non il tempo di un primo mattino.

Ernesto Pappalardo

direttore@salernoeconomy.it

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Confusione totale
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