Lo speciale 1 »
di Pasquale Persico
Nel 2005 un libricino benaugurante – “Il viaggio di Romano. Le fabbriche del programma”, a mia firma, con postfazione dell’amico direttore di SalernoEconomy – proponeva alcune iniziative che restano ancora adesso valide per provare a capire meglio di che cosa parliamo quando approfondiamo i temi più strutturalmente legati alla lenta e inconsistente crescita del Sud. Quel viaggio era – e rimane – il racconto sulla metodologia da seguire per la “costruzione democratica” del “programma elettorale” (di allora) da realizzare in caso di successo. Eravamo, questo va detto, in un’altra epoca politica, ma, purtroppo, il contesto socio-culturale resta lo stesso.
Alcune regioni del Mezzogiorno ed alcune regioni del Nord furono scelte come campo di esplorazione per mettere in risalto le “potenzialità di un risveglio delle cittadinanze attive”, a partire dai protagonisti delle “fabbriche creative”. Si incitava il candidato premier del centro-sinistra (ancora con il trattino) a ritrovare quelle reciprocità sociali ed istituzionali capaci di ispirare i temi dello sviluppo sostenibile integrale, della competitività, dell’inclusione, della coesione e della governance a scala variabile. L’idea era poggiata sulle “Fabbriche del Programma”, aperte a sviluppare le nuove economie di scopo e di diversità necessarie all’Italia ed all’Europa, nella difficile esplosione della globalizzazione.
Certo, era un racconto, ma anche un sogno da realizzare perché possibile, da afferrare con le mani e con la gioia che ci manca oggi, legata all’impegno della partecipazione a comunità in amicizia Si trattava di allontanare – allora come oggi – la malinconia civile che ci avvolge fino a diventare malinconia del futuro che ci immobilizza e, spesso, ci porta alla disperazione.
In realtà, il viaggio di conoscenza è sempre un approfondimento necessario, è come la potatura dell’ulivo, serve a riconoscere il nuovo che sopravviene ed a eliminare il tentativo dell’albero di presentarsi come estetica che produce solo legna.
L’ipotesi “profonda” del libro era quella di cambiare tecnologia rispetto a quando, coordinati da Filippo Andreatta, molti giovani nel bus del viaggio del ‘96, preparavano i temi degli incontri e registravano le corrispondenze con la realtà incontrata.
Il mio contributo di allora era orientato a mobilitare altre reti di informazioni per elaborare il supporto allo sviluppo dei temi. Nel 2005, l’ipotesi è stata, invece, di usare altri veicoli di comunicazione: andare a piedi, andare in bici e andare in barca.
Prodi nel racconto non era preoccupato come oggi, perché si sentiva in grado di trasmettere l’impegno da mettere in campo e questo aspetto sarebbe stato vincente rispetto a qualsiasi altra tecnologia di comunicazione.
Allora era possibile rifiutare l’approccio dei convegni diessini fatto di trattative per tenere dentro il tutto. Oggi, Prodi sente che c’è chi vorrebbe sciogliere il Pd e rinunciare ad un sogno in cui lui ancora crede ed invita tutti noi a non mollare, senza obbligarci ad iscriverci ad un partito.
Ed oggi, rilancia quel viaggio che non ci fu, perché si elaborò un programma di partecipazione in un luogo che si chiamò “Fabbrica del Programma”, ma che somigliò soltanto ad una palestra dove tutti si allenavano senza sapere dove andare.
Oggi l’incitamento a ripartire tutti insieme risente di quella occasione mancata, e nello libro citato già venivano anticipate le debolezze e i pericoli di quella mancata partenza. L’elenco della caratteristiche delle giovani marmotte in aiuto del professore fu reso esplicito ed il “pericolo” della furbizia politica di Fausto Bertinotti fu annunciato con due anni di anticipo.
Oggi l’appello di Romano è necessario ma, forse, non sufficiente; si dovrebbe partire subito dalla necessità di un viaggio veramente rivoluzionario nelle modalità di apprendimento dei temi della sussidiarietà necessaria a mantenere viva la manutenzione delle due Costituzioni in pericolo, quella italiana e quella europea.
Il viaggio, allora, deve allargare il tessuto sociale dei partecipanti, un tessuto sociale plurale e capace di tenere in caldo tutti i temi della inclusione: istruzione, apprendimento per il lavoro, educazione civica, politica, economica e nuovamente al centro, fino all’inventario innovativo dei temi della ecologia profonda connessa alla riforma della governance istituzionale.
Senza mai dimenticare il ruolo della sussidiarietà attiva ed orizzontale in tutte le componenti che partecipano al cambiamento. Le nuove comunità in amicizia devono essere riproposte a fondamento della riforma della Pubblica Amministrazione, allontanando i calcoli per favorire coalizioni senza morale, cioè senza sguardo per l’altro.
Allora i “timori” di Prodi – oggi sopravvenuti e comunicati – possono essere utili ad un risveglio collettivo, ma deve essere sempre approfondito il percorso delle nuove partenze, evitando – come in passato – che arrivi un ministro per l’attuazione del programma più attento alle alchimie delle coalizioni e meno interessato alla velocità del cambiamento.

Pasquale Persico