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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »
La campagna elettorale? Non interessa più, si vota e basta . . .
La questione è estremamente semplice: questo doppio appuntamento elettorale (regionali+europee), alla fine, delimiterà con chiarezza, sebbene sancendo la netta riduzione dei votanti o, per essere ancora più precisi, degli esprimenti il consenso sulla solidità degli schieramenti e dei partiti in campo, oltre che delle stesse politiche o politici, che siamo stati chiamati, soprattutto, a ribadire o a smentire il cambio di scenario che si è registrato nel nostro Paese: per dire, siamo transitati da un mondo all’altro, da un contesto socio/culturale all’altro, da un disegno politico all’altro? O non è andata proprio così? Insomma, siamo usciti dal draghismo, dal contismo, dal pandemismo, per andare a posizionarci nel destrismo: ma nulla è cambiato in termini di assetti globali, la politica quella che era intuibile in base a scelte ideologiche (e non solo strategiche) è andata in ferie da non poco tempo. E, quindi, anche attraverso la massiccia riduzione di votanti (come ampiamente riconosciuto non solo dalla Ue, ma da tanti altri attori specializzati), larga parte della “politica” e di tutto quanto gira intorno a questa definizione ormai appassita, è impegnata a rappresentare, in realtà, un qualche interesse: ambizioni personali, aspirazioni specifiche o veri e propri bisogni del votante, ma in maniera personalistica. Si è del tutto perso, quindi, quel tipo di schematismo ideologico che pure ha assicurato (o perlomeno ci ha provato a partire dagli anni 50’ fino alla metà dei 90’ almeno) una prospettiva di impegno, l’idea che il voto era, in ogni caso, utile. Fino a quando non è diventato più così, e il voto si è trasformato come apporto, profondamente corteggiato e ambito, funzionale alla macchina del consenso. Un consenso, poi, non facilmente trasformabile in una prospettiva di crescita, di sviluppo di costruzione realistica di una realtà migliore. La politica, alla fine, è diventata identificabile in un sentiero da scalare per arrivare a una forma di successo, di benessere (basta guardare la ripartizione dei compensi per i consensi ottenuti), anche con un valore mobilitante. Ma, bisogna dirlo, nessuno più ci crede o ci può, motivatamente, stare a pensare in senso costruttivo, appendendosi alla motivazione dell’impegno per obiettivi: tutto, o quasi tutto, è svanito nella piega del nullismo che genera niente, che non cerca nulla. Perché si è impelagato nella mancanza strutturata di obiettivi, finalità, nella mobilitazione incompetente che riesce a mobilitare solo l’apparente impegno degli schieramenti.
(continua)
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I numeri dell'economia »
Confcommercio, andamento “incerto” per l’economia
“La fotografia della nostra economia scattata dall’Ufficio Studi Confcommercio nella sua Congiuntura continua ad essere un po’ ‘sfuocata’. Infatti, pur vivendo un periodo complicato con tensioni forti sullo scenario internazionale, non mancano i segnali positivi provenienti soprattutto dal settore dei servizi e in particolare dal turismo estero. E poi a febbraio e a marzo gli indicatori della fiducia delle imprese, dell’occupazione, della produzione industriale e delle vendite al dettaglio hanno mandato segnali confortanti”.
In sintonia con i nuovi indicatori mensili “la stima di crescita per il primo trimestre del Pil è rivista al rialzo: +0,3% invece che lo 0,1% stimato nella precedente Congiuntura, con un andamento annuo che passerebbe da +0,3% a +0,5%”. Va poi evidenziato che “il raggiungimento di obiettivi medi annui attorno - ha detto il responsabile dell'Ufficio Studi Confcommercio Mariano Bella - all’1% resta difficile, ma per nulla impossibile. Secondo le nostre stime, ad aprile il Pil è atteso registrare, nel confronto con marzo, una crescita dello 0,1%. Su base annua la variazione si porterebbe all’1,2%”.
A marzo 2024 “l’Indicatore dei Consumi Confcommercio (ICC) ha evidenziato una crescita dello 0,4% rispetto allo stesso mese del 2023. Il dato segue un bimestre che, stando alle ultime informazioni disponibili, ha mostrato un andamento più favorevole rispetto alle prime stime. L’incremento di marzo è sintesi di una crescita della domanda di servizi (+2,7% nel confronto annuo) a cui si è associata una flessione di quella di beni (-0,5%). Nella media del primo trimestre si rileva una variazione dell’1,1% (sul dato pesa inevitabilmente anche il diverso numero di giorni) con una crescita dei servizi del 2,9% e un incremento della domanda di beni dello 0,4%”.
(Fonte: confcommercio.it/20.04.2024)
In sintonia con i nuovi indicatori mensili “la stima di crescita per il primo trimestre del Pil è rivista al rialzo: +0,3% invece che lo 0,1% stimato nella precedente Congiuntura, con un andamento annuo che passerebbe da +0,3% a +0,5%”. Va poi evidenziato che “il raggiungimento di obiettivi medi annui attorno - ha detto il responsabile dell'Ufficio Studi Confcommercio Mariano Bella - all’1% resta difficile, ma per nulla impossibile. Secondo le nostre stime, ad aprile il Pil è atteso registrare, nel confronto con marzo, una crescita dello 0,1%. Su base annua la variazione si porterebbe all’1,2%”.
A marzo 2024 “l’Indicatore dei Consumi Confcommercio (ICC) ha evidenziato una crescita dello 0,4% rispetto allo stesso mese del 2023. Il dato segue un bimestre che, stando alle ultime informazioni disponibili, ha mostrato un andamento più favorevole rispetto alle prime stime. L’incremento di marzo è sintesi di una crescita della domanda di servizi (+2,7% nel confronto annuo) a cui si è associata una flessione di quella di beni (-0,5%). Nella media del primo trimestre si rileva una variazione dell’1,1% (sul dato pesa inevitabilmente anche il diverso numero di giorni) con una crescita dei servizi del 2,9% e un incremento della domanda di beni dello 0,4%”.
(Fonte: confcommercio.it/20.04.2024)
Lo speciale »
Mario Draghi progetta l’Europa che verrà
Per molto tempo la competitività è stata una questione controversa per l’Europa. Nel 1994, il futuro economista premio Nobel Paul Krugman definì l’attenzione alla competitività una “pericolosa ossessione”. La sua tesi era che la crescita a lungo termine deriva dall’aumento della produttività, che avvantaggia tutti, piuttosto che dal tentativo di migliorare la propria posizione relativa rispetto agli altri e acquisire la loro quota di crescita. L’approccio adottato nei confronti della competitività in Europa dopo la crisi del debito sovrano sembrava dimostrare la sua tesi. Abbiamo perseguito una strategia deliberata volta a ridurre i costi salariali gli uni rispetto agli altri e, combinando ciò con una politica fiscale prociclica, l’effetto netto è stato solo quello di indebolire la nostra domanda interna e minare il nostro modello sociale.
Ma la questione fondamentale non è che la competitività sia un concetto errato. Il fatto è che l’Europa ha avuto un focus sbagliato. Ci siamo rivolti verso l’interno, vedendo i nostri concorrenti tra di noi, anche in settori come la difesa e l’energia in cui abbiamo profondi interessi comuni. Allo stesso tempo, non abbiamo guardato abbastanza verso l’esterno: con una bilancia commerciale positiva, dopo tutto, non abbiamo prestato sufficiente attenzione alla nostra competitività all’estero come una seria questione politica. In un ambiente internazionale favorevole, abbiamo confidato nella parità di condizioni globale e nell’ordine internazionale basato su regole, aspettandoci che altri facessero lo stesso. Ma ora il mondo sta cambiando rapidamente e ci ha colto di sorpresa. Ancora più importante, altre regioni non rispettano più le regole e stanno elaborando attivamente politiche per migliorare la loro posizione competitiva. Nella migliore delle ipotesi, queste politiche sono progettate per reindirizzare gli investimenti verso le loro economie a scapito delle nostre; e, nel peggiore dei casi, sono progettati per renderci permanentemente dipendenti da loro.
La Cina.
La Cina, ad esempio, mira a catturare e internalizzare tutte le parti della catena di approvvigionamento di tecnologie verdi e avanzate e sta garantendo l’accesso alle risorse necessarie. Questa rapida espansione dell’offerta sta portando a un significativo eccesso di capacità in molteplici settori e minacciando di indebolire le nostre industrie.
Gli Stati Uniti.
Gli Stati Uniti, da parte loro, stanno utilizzando una politica industriale su larga scala per attrarre capacità manifatturiere nazionali di alto valore all’interno dei propri confini - compresa quella delle aziende europee - mentre utilizzano il protezionismo per escludere i concorrenti e dispiegano il proprio potere geopolitico per riorientare e proteggere catene di approvvigionamento. Non abbiamo mai avuto un “accordo industriale” equivalente a livello Ue, anche se la Commissione ha fatto tutto ciò che era in suo potere per colmare questa lacuna. Pertanto, nonostante una serie di iniziative positive in corso, manca ancora una strategia generale su come rispondere in molteplici aree.
Le nuove tecnologie.
Ci manca una strategia su come tenere il passo in una corsa sempre più spietata per la leadership nelle nuove tecnologie. Oggi investiamo meno in tecnologie digitali e avanzate rispetto a Stati Uniti e Cina, anche per la difesa, e abbiamo solo quattro attori tecnologici europei globali tra i primi 50 a livello mondiale. Manca una strategia su come proteggere le nostre industrie tradizionali da un terreno di gioco globale ineguale causato da asimmetrie nelle normative, nei sussidi e nelle politiche commerciali. Un esempio calzante è rappresentato dalle industrie ad alta intensità energetica. In altre regioni, queste industrie non solo devono far fronte a costi energetici più bassi, ma devono anche far fronte a un minore onere normativo e, in alcuni casi, ricevono massicci sussidi che minacciano direttamente la capacità delle aziende europee di competere. Senza azioni politiche strategicamente progettate e coordinate, è logico che alcune delle nostre industrie ridurranno la capacità produttiva o si trasferiranno al di fuori dell’Ue.
(continua)
Ma la questione fondamentale non è che la competitività sia un concetto errato. Il fatto è che l’Europa ha avuto un focus sbagliato. Ci siamo rivolti verso l’interno, vedendo i nostri concorrenti tra di noi, anche in settori come la difesa e l’energia in cui abbiamo profondi interessi comuni. Allo stesso tempo, non abbiamo guardato abbastanza verso l’esterno: con una bilancia commerciale positiva, dopo tutto, non abbiamo prestato sufficiente attenzione alla nostra competitività all’estero come una seria questione politica. In un ambiente internazionale favorevole, abbiamo confidato nella parità di condizioni globale e nell’ordine internazionale basato su regole, aspettandoci che altri facessero lo stesso. Ma ora il mondo sta cambiando rapidamente e ci ha colto di sorpresa. Ancora più importante, altre regioni non rispettano più le regole e stanno elaborando attivamente politiche per migliorare la loro posizione competitiva. Nella migliore delle ipotesi, queste politiche sono progettate per reindirizzare gli investimenti verso le loro economie a scapito delle nostre; e, nel peggiore dei casi, sono progettati per renderci permanentemente dipendenti da loro.
La Cina.
La Cina, ad esempio, mira a catturare e internalizzare tutte le parti della catena di approvvigionamento di tecnologie verdi e avanzate e sta garantendo l’accesso alle risorse necessarie. Questa rapida espansione dell’offerta sta portando a un significativo eccesso di capacità in molteplici settori e minacciando di indebolire le nostre industrie.
Gli Stati Uniti.
Gli Stati Uniti, da parte loro, stanno utilizzando una politica industriale su larga scala per attrarre capacità manifatturiere nazionali di alto valore all’interno dei propri confini - compresa quella delle aziende europee - mentre utilizzano il protezionismo per escludere i concorrenti e dispiegano il proprio potere geopolitico per riorientare e proteggere catene di approvvigionamento. Non abbiamo mai avuto un “accordo industriale” equivalente a livello Ue, anche se la Commissione ha fatto tutto ciò che era in suo potere per colmare questa lacuna. Pertanto, nonostante una serie di iniziative positive in corso, manca ancora una strategia generale su come rispondere in molteplici aree.
Le nuove tecnologie.
Ci manca una strategia su come tenere il passo in una corsa sempre più spietata per la leadership nelle nuove tecnologie. Oggi investiamo meno in tecnologie digitali e avanzate rispetto a Stati Uniti e Cina, anche per la difesa, e abbiamo solo quattro attori tecnologici europei globali tra i primi 50 a livello mondiale. Manca una strategia su come proteggere le nostre industrie tradizionali da un terreno di gioco globale ineguale causato da asimmetrie nelle normative, nei sussidi e nelle politiche commerciali. Un esempio calzante è rappresentato dalle industrie ad alta intensità energetica. In altre regioni, queste industrie non solo devono far fronte a costi energetici più bassi, ma devono anche far fronte a un minore onere normativo e, in alcuni casi, ricevono massicci sussidi che minacciano direttamente la capacità delle aziende europee di competere. Senza azioni politiche strategicamente progettate e coordinate, è logico che alcune delle nostre industrie ridurranno la capacità produttiva o si trasferiranno al di fuori dell’Ue.
(continua)