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Salerno Economy XIII.15 – 26.04.2024

Mentre si prospettano nuove tendenze, linee di pensiero, scelte importanti, appare scomparsa per strada ogni forma di reale aggregazione.

La campagna elettorale? Non interessa più, si vota e basta . . .

Alla vigilia di scelte che determineranno conseguenze precise e anche importanti, abbiamo, forse, preso coscienza che la politica ha perso quasi del tutto la valenza costruttiva che, pure, ha avuto prima di distruggerla e disperderla.
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Come è cambiata la politica
La questione è estremamente semplice: questo doppio appuntamento elettorale (regionali+europee), alla fine, delimiterà con chiarezza, sebbene sancendo la netta riduzione dei votanti o, per essere ancora più precisi, degli esprimenti il consenso sulla solidità degli schieramenti e dei partiti in campo, oltre che delle stesse politiche o politici, che siamo stati chiamati, soprattutto, a ribadire o a smentire il cambio di scenario che si è registrato nel nostro Paese: per dire, siamo transitati da un mondo all’altro, da un contesto socio/culturale all’altro, da un disegno politico all’altro? O non è andata proprio così? Insomma, siamo usciti dal draghismo, dal contismo, dal pandemismo, per andare a posizionarci nel destrismo: ma nulla è cambiato in termini di assetti globali, la politica quella che era intuibile in base a scelte ideologiche (e non solo strategiche) è andata in ferie da non poco tempo. E, quindi, anche attraverso la massiccia riduzione di votanti (come ampiamente riconosciuto non solo dalla Ue, ma da tanti altri attori specializzati), larga parte della “politica” e di tutto quanto gira intorno a questa definizione ormai appassita, è impegnata a rappresentare, in realtà, un qualche interesse: ambizioni personali, aspirazioni specifiche o veri e propri bisogni del votante, ma in maniera personalistica. Si è del tutto perso, quindi, quel tipo di schematismo ideologico che pure ha assicurato (o perlomeno ci ha provato a partire dagli anni 50’ fino alla metà dei 90’ almeno) una prospettiva di impegno, l’idea che il voto era, in ogni caso, utile. Fino a quando non è diventato più così, e il voto si è trasformato come apporto, profondamente corteggiato e ambito, funzionale alla macchina del consenso. Un consenso, poi, non facilmente trasformabile in una prospettiva di crescita, di sviluppo di costruzione realistica di una realtà migliore. La politica, alla fine, è diventata identificabile in un sentiero da scalare per arrivare a una forma di successo, di benessere (basta guardare la ripartizione dei compensi per i consensi ottenuti), anche con un valore mobilitante. Ma, bisogna dirlo, nessuno più ci crede o ci può, motivatamente, stare a pensare in senso costruttivo, appendendosi alla motivazione dell’impegno per obiettivi: tutto, o quasi tutto, è svanito nella piega del nullismo che genera niente, che non cerca nulla. Perché si è impelagato nella mancanza strutturata di obiettivi, finalità, nella mobilitazione incompetente che riesce a mobilitare solo l’apparente impegno degli schieramenti.
(continua)
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“A febbraio e a marzo gli indicatori della fiducia delle imprese, dell’occupazione, della produzione industriale e delle vendite al dettaglio hanno mandato segnali confortanti”.

Confcommercio, andamento “incerto” per l’economia

Secondo l'analisi dell'Ufficio Studi, “Pil al rialzo (+0,3%) nel primo trimestre ”. Positivo il flusso dei consumi “legati al turismo (+2,9)”. Ma “manca ancora una chiara direzione di marcia”.
Numeri Economia-Crisi congiunturale
E si procede
“La fotografia della nostra economia scattata dall’Ufficio Studi Confcommercio nella sua Congiuntura continua ad essere un po’ ‘sfuocata’. Infatti, pur vivendo un periodo complicato con tensioni forti sullo scenario internazionale, non mancano i segnali positivi provenienti soprattutto dal settore dei servizi e in particolare dal turismo estero. E poi a febbraio e a marzo gli indicatori della fiducia delle imprese, dell’occupazione, della produzione industriale e delle vendite al dettaglio hanno mandato segnali confortanti”.
In sintonia con i nuovi indicatori mensili “la stima di crescita per il primo trimestre del Pil è rivista al rialzo: +0,3% invece che lo 0,1% stimato nella precedente Congiuntura, con un andamento annuo che passerebbe da +0,3% a +0,5%”. Va poi evidenziato che “il raggiungimento di obiettivi medi annui attorno - ha detto il responsabile dell'Ufficio Studi Confcommercio Mariano Bella - all’1% resta difficile, ma per nulla impossibile. Secondo le nostre stime, ad aprile il Pil è atteso registrare, nel confronto con marzo, una crescita dello 0,1%. Su base annua la variazione si porterebbe all’1,2%”.
A marzo 2024 “l’Indicatore dei Consumi Confcommercio (ICC) ha evidenziato una crescita dello 0,4% rispetto allo stesso mese del 2023. Il dato segue un bimestre che, stando alle ultime informazioni disponibili, ha mostrato un andamento più favorevole rispetto alle prime stime. L’incremento di marzo è sintesi di una crescita della domanda di servizi (+2,7% nel confronto annuo) a cui si è associata una flessione di quella di beni (-0,5%). Nella media del primo trimestre si rileva una variazione dell’1,1% (sul dato pesa inevitabilmente anche il diverso numero di giorni) con una crescita dei servizi del 2,9% e un incremento della domanda di beni dello 0,4%”.
(Fonte: confcommercio.it/20.04.2024)

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“Quello che propongo è un cambiamento radicale, perché è ciò di cui abbiamo bisogno”.

Mario Draghi progetta l’Europa che verrà

“Dobbiamo poter contare su sistemi energetici decarbonizzati e indipendenti; un sistema di difesa integrato e adeguato basato sull’Ue; manifattura nazionale nei settori più innovativi e in rapida crescita; e una posizione di leadership nel deep-tech e nel digitale”.
Mario Draghi RaiNews
Mario Draghi
Per molto tempo la competitività è stata una questione controversa per l’Europa. Nel 1994, il futuro economista premio Nobel Paul Krugman definì l’attenzione alla competitività una “pericolosa ossessione”. La sua tesi era che la crescita a lungo termine deriva dall’aumento della produttività, che avvantaggia tutti, piuttosto che dal tentativo di migliorare la propria posizione relativa rispetto agli altri e acquisire la loro quota di crescita. L’approccio adottato nei confronti della competitività in Europa dopo la crisi del debito sovrano sembrava dimostrare la sua tesi. Abbiamo perseguito una strategia deliberata volta a ridurre i costi salariali gli uni rispetto agli altri e, combinando ciò con una politica fiscale prociclica, l’effetto netto è stato solo quello di indebolire la nostra domanda interna e minare il nostro modello sociale.
Ma la questione fondamentale non è che la competitività sia un concetto errato. Il fatto è che l’Europa ha avuto un focus sbagliato. Ci siamo rivolti verso l’interno, vedendo i nostri concorrenti tra di noi, anche in settori come la difesa e l’energia in cui abbiamo profondi interessi comuni. Allo stesso tempo, non abbiamo guardato abbastanza verso l’esterno: con una bilancia commerciale positiva, dopo tutto, non abbiamo prestato sufficiente attenzione alla nostra competitività all’estero come una seria questione politica. In un ambiente internazionale favorevole, abbiamo confidato nella parità di condizioni globale e nell’ordine internazionale basato su regole, aspettandoci che altri facessero lo stesso. Ma ora il mondo sta cambiando rapidamente e ci ha colto di sorpresa. Ancora più importante, altre regioni non rispettano più le regole e stanno elaborando attivamente politiche per migliorare la loro posizione competitiva. Nella migliore delle ipotesi, queste politiche sono progettate per reindirizzare gli investimenti verso le loro economie a scapito delle nostre; e, nel peggiore dei casi, sono progettati per renderci permanentemente dipendenti da loro.
La Cina.
La Cina, ad esempio, mira a catturare e internalizzare tutte le parti della catena di approvvigionamento di tecnologie verdi e avanzate e sta garantendo l’accesso alle risorse necessarie. Questa rapida espansione dell’offerta sta portando a un significativo eccesso di capacità in molteplici settori e minacciando di indebolire le nostre industrie.
Gli Stati Uniti.
Gli Stati Uniti, da parte loro, stanno utilizzando una politica industriale su larga scala per attrarre capacità manifatturiere nazionali di alto valore all’interno dei propri confini - compresa quella delle aziende europee - mentre utilizzano il protezionismo per escludere i concorrenti e dispiegano il proprio potere geopolitico per riorientare e proteggere catene di approvvigionamento. Non abbiamo mai avuto un “accordo industriale” equivalente a livello Ue, anche se la Commissione ha fatto tutto ciò che era in suo potere per colmare questa lacuna. Pertanto, nonostante una serie di iniziative positive in corso, manca ancora una strategia generale su come rispondere in molteplici aree.
Le nuove tecnologie.
Ci manca una strategia su come tenere il passo in una corsa sempre più spietata per la leadership nelle nuove tecnologie. Oggi investiamo meno in tecnologie digitali e avanzate rispetto a Stati Uniti e Cina, anche per la difesa, e abbiamo solo quattro attori tecnologici europei globali tra i primi 50 a livello mondiale. Manca una strategia su come proteggere le nostre industrie tradizionali da un terreno di gioco globale ineguale causato da asimmetrie nelle normative, nei sussidi e nelle politiche commerciali. Un esempio calzante è rappresentato dalle industrie ad alta intensità energetica. In altre regioni, queste industrie non solo devono far fronte a costi energetici più bassi, ma devono anche far fronte a un minore onere normativo e, in alcuni casi, ricevono massicci sussidi che minacciano direttamente la capacità delle aziende europee di competere. Senza azioni politiche strategicamente progettate e coordinate, è logico che alcune delle nostre industrie ridurranno la capacità produttiva o si trasferiranno al di fuori dell’Ue.
(continua)
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In carriera ha totalizzato complessivamente 21 presenze in serie A e 124 partite e 11 reti in serie B.

Sollier, il calciatore politico che lavorava a Mirafiori

Salutava con il pugno chiuso, rivolgendosi ai tifosi del Perugia, un gesto che non mancò di suscitargli critiche da parte delle curve orientate a destra.
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Sollier in azione a Perugia nel 1974, al tiro contro il Catanzaro.
Paolo Sollier nasce figlio di un dipendente dell’azienda elettrica, nel quartiere Vanchiglietta a Torino dove si avvicina da ragazzo all’impegno sociale con il Gruppo Emmaus e con Mani Tese, che si sofferma a definire “gruppi cattolici del dissenso”. Dopo lascia l’associazione - nel 1968 - e si iscrive alla facoltà di Scienze politiche, che, poi, deve abbandonare circa un anno dopo perché inizia a lavorare allo stabilimento della Mirafiori (Fiat). Ma riuscì a svolgere l’attività di calciatore a tempo pieno, senza però rinunciare all’impegno politico. “La critica principale che mi è stata rivolta è come si conciliava la mia militanza a sinistra con i guadagni da calciatore, ndr”, ma “il mio era lo stipendio di un buon impiegato. Se mi sentivo un privilegiato era per un altro motivo, perché facevo il lavoro dei miei sogni, il calciatore. Una fortuna che capita a pochi”. Divenne ancora più noto con il libro intitolato “Calci e sputi e colpi di testa” (1976), nel quale racconta la sua militanza in “Avanguardia operaia” e parla del mondo del calcio in un modo diverso ai colleghi. Fu deferito dalla FIGC (Federazione gioco calcio). Salutava con il pugno chiuso, rivolgendosi ai tifosi del Perugia, un gesto che non mancò di suscitargli critiche da parte delle curve, evidentemente orientate a destra, come quella della Lazio. Tanto che ricordò qualche tempo dopo: «Non era propaganda. Non era un gesto indirizzato ai tifosi ma a me stesso, per ricordarmi ogni volta chi fossi e da dove venivo. E per far sapere ai miei amici che restavo quello di sempre. Il ragazzo che al campetto, tanti anni prima, così si rivolgeva a loro. Con quello che per noi era un segno di riconoscimento». Al punto che, dopo il ritiro dall’attività agonistica, collaborò con quotidiani e riviste, tra cui Reporter, Il Mattino di Padova, Tuttosport e MicroMega. Allenò anche squadre di categorie inferiori e nel 2008 pubblicò il libro “Spogliatoio”, scritto a quattro mani con Paolo La Bua. E, poi, uscì la riedizione di “Calci e sputi e colpi di testa”, arricchita con articoli dell’epoca e recensioni.
Nei primi 70’ gioco in Serie C con Cossatese e Pro Vercelli. Si trasferì, in seguito, al Perugia dove, a metà del decennio, contribuiscì alla vittoria nel campionato di serie B e, poi, partecipò alla prima stagione in serie A della squadra umbra. Militò per tre anni nel Rimini nei cadetti, per, poi, proseguire la carriera in serie C, di nuovo a Vercelli e poi nella Biellese.
(continua)
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