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Salerno Economy VIII.11- 15.03.2019

La “disattenzione” della parte pubblica in merito alla realizzazione di campagne divulgative.

Stili di vita, notizie (e non notizie) e comunicazione

Resta ancora largamente inesplorato il versante dell’informazione istituzionale agganciata esclusivamente a principi incentrati sulla documentazione scientifica e su un’adeguata descrizione dell’area dei rischi sostenibili.
Glocal comunicazione
Formazione-disintermediazione
La rivoluzione in atto nell’approccio all’alimentazione e alla tutela della salute disegna nuovi scenari sociali, economici e politici che autorizzano a prevedere sostanziali cambiamenti nella relazione tra processi produttivi e contesto ambientale di riferimento. La crescente attenzione a verificare e controllare le conseguenze di una scarsa qualità del cibo dal punto di vista delle potenziali ricadute patologiche da un lato e l’aumentata consapevolezza di come sia determinante l’impatto sui territori del sistema industriale in termini di vivibilità complessiva della popolazione residente dall’altro, sono due directory destinate ad influenzare sempre più comportamenti quotidiani e scelte politiche. Gli effetti di questo mutamento così radicale e profondo si colgono al momento – soprattutto nelle aree in ritardo di sviluppo – in maniera disorganica e spesso contraddittoria. In molti casi la scarsa informazione ancora dominante consente di procedere a massicce campagne di strumentalizzazione (politica e non).
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All’interno della Gdo si segnala l’exploit dei discount con un + 6,2%.

Negozi, dinamica ancora negativa

Confesercenti: “Rispetto a gennaio 2018 perdite pari a circa 40 milioni di euro per le piccole imprese, mentre per la grande distribuzione fatturato in crescita di circa 300 milioni”.
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"Flussi" divergenti
Continua il periodo nero per gli esercizi di prossimità rispetto ai canali della grande distribuzione, sebbene la dinamica complessiva delle vendite al dettaglio rientri in campo positivo. E’ questo il quadro generale tracciato dalla Confesercenti in base alle stime diffuse nei giorni scorsi dall’Istat. “Il dato di gennaio sulle vendite del commercio al dettaglio - è scritto in una nota di sintesi dell’associazione - se, da un lato, indica un avvio d’anno moderatamente positivo - ed infatti la variazione del fatturato rispetto a gennaio del 2018 è dell’1,3%, quella congiunturale dello 0,5% - dall’altro fa risaltare di nuovo la spaccatura fra le dinamiche relative alla grande distribuzione e ai piccoli esercizi: rispetto al gennaio 2018 stimiamo che le perdite ammontino a circa 40 milioni di euro per le piccole imprese, mentre la grande distribuzione dovrebbe aver aumentato il proprio fatturato di circa 300 milioni”. La Grande Distribuzione “registra una variazione in valore del 2,8%, più del doppio del dato medio. All’interno del comparto, poi, va segnalato senz’altro l’exploit dei discount con una crescita del 6,2%".
(Fonte: confesercenti.it/ 07.03.2019)
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Preoccupa il possibile aumento nell’anno in corso delle tasse locali a causa della rimozione del blocco delle aliquote.

Il valore delle vendite? Cresce solo nella Gdo

L’analisi della Cgia: “Negli ultimi 10 anni la spesa delle famiglie meridionali è crollata di 170 euro (-7,7 per cento): era pari a 2.212 euro nel 2007 ed è scesa a 2.042 euro un decennio dopo”.
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"Contrazione" nell'area meridionale
La spesa delle famiglie è ancora inferiore agli anni antecedenti la grande crisi. L’Ufficio Studi della Cgia di Mestre in una nota analitica evidenzia la contrazione delle uscite rispetto al pagamento delle bollette, all’acquisto di beni (alimentari e non) e ai servizi (sanità, trasporti, alberghi, ristoranti). “Se nel 2007 - spiega la Cgia - le uscite mensili medie erano pari a 2.649 euro, 10 anni dopo, sebbene dal 2013 sia in corso una lenta ripresa, la soglia si è attestata a 2.564 euro (-3 per cento, pari in valore assoluto a -85 euro). Se al Nord (- 47 euro) e al Centro (-75 euro) le contrazioni registrate sono al di sotto della media nazionale, preoccupa, invece, la situazione del Sud. Negli ultimi 10 anni, infatti, la spesa delle famiglie meridionali è crollata di 170 euro (-7,7 per cento): era pari a 2.212 euro nel 2007 ed è scesa a 2.042 euro un decennio dopo”.
(Fonte: Comunicato Stampa CGIA Mestre/ 09.03.2019)
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Lo scenario che emerge dall’analisi dei dati elaborati da InfoCamere e Unioncamere.

E commerce, si moltiplicano le imprese al Sud

In termini relativi le regioni cresciute a ritmo più sostenuto sono state Campania, Abruzzo e Calabria (tutte oltre la media del 35% all’anno) seguite da Puglia, Basilicata e Sicilia con aumenti medi superiori al 25% in ciascuno dei dieci anni considerati (2009-2018).
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Tendenza positiva
“Se la perdurante crisi dei consumi e i veloci cambiamenti nelle abitudini di spesa fanno decollare il ruolo di internet come il marketplace più ambito dagli italiani, le imprese non si fanno pregare a raccogliere la sfida. Accanto a brand globali come Amazon, Zalando, Booking, Alibaba o e-Bay, negli ultimi dieci anni è letteralmente esploso l’esercito delle imprese tricolori che hanno alzato le loro saracinesche virtuali sul web, con un’offerta che va dall’abbigliamento ai cosmetici, dall’arredamento e design agli articoli per bambini o per la pesca. Ma anche auto e moto, casalinghi, food, biciclette, parquet, prodotti farmaceutici, libri, occhiali, giocattoli fino alle piante di acqua dolce, ai sistemi di allarme e ai servizi di pompe funebri”. E’ questo il ritratto del fenomeno che emerge dai dati elaborati da InfoCamere e Unioncamere sulla base del Registro delle Imprese delle Camere di Commercio. “Se in termini assoluti le regioni a più alta crescita sono state Lombardia, Campania e Lazio (rispettivamente +2.634, +2.018 e +1.555 unità) - si legge in una nota di sintesi - in termini relativi quelle che sono cresciute a ritmo più sostenuto sono state Campania, Abruzzo e Calabria (tutte oltre la media del 35% all’anno), seguite da Puglia, Basilicata e Sicilia con aumenti medi superiori al 25% in ciascuno dei dieci anni considerati”.
(Fonte: unioncamere.gov.it/ 06.03.2019)
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Le connessioni molto strette tra cibo e inquinamento. Il 26% dei millenials è vegetariano.

Gas serra, diete e consumo (eccessivo) di carne

Tra le varie “ricette” per conciliare alimentazione e tutela degli equilibri ambientali il “flexitarianism” è ritenuto un tipo di nutrizione sufficientemente adeguato.
Foto D’Antonio Giuliano
Giuliano D'Antonio
di Giuliano D’Antonio*

Alcuni studi molto autorevoli di recente pubblicazione - sintetizzati ed illustrati su asvis.it (il sito web dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile) in un articolo di Flavio Natale - confermano ulteriormente che la riduzione del consumo di carne non solo fa bene alla salute dell’uomo, ma è in grado di evitare l’aumento di gas serra. Il problema è esteso a tutte le aree del globo, ma va evidenziato come alcune zone del pianeta siano da inquadrare in un contesto di maggiore criticità. Secondo le linee guida della rivista medica “Lancet” in Nord America lo squilibrio è tale che si ritiene necessaria una drastica riduzione dell’84% del consumo di carne rossa. Dieta rigida anche per i cittadini dei Paesi europei: 77% di carne rossa in meno e il 15% in più di noci e semi. Stesso orientamento si riscontra sulla rivista “Nature”: “per evitare di incrementare i livelli di gas serra, deforestazione e scarsità delle acque è richiesta una riduzione del consumo di carne del 90%”. Come raggiungere questi obiettivi? Ritorna il tema della diffusione delle informazioni e dell’avvio di indispensabili campagne di formazione.
*Presidente Fonmed (Fondazione Sud per la Cooperazione e lo Sviluppo del Mediterraneo)
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