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L’epidemia in atto si manifesta anche attraverso nuove fenomenologie quotidiane.
Vocabolario minimo (tre voci appena) ai tempi del Covid 19
Come la scienza medica assorbe gli altri linguaggi – in primis la politica – segnando il percorso di un loro sostanziale cambiamento, al momento solo confusamente intuibile.

di Mariano Ragusa

L’epidemia in atto si manifesta anche attraverso il linguaggio. Coniando nuovi termini e restituendo ad altri il significato originale, dopo la propria trasmigrazione in altri ambiti linguistici e di comunicazione.

Vocabolario minimo (tre voci appena) ai tempi del Covid 19.

Con una premessa di carattere generale. Per ovvio effetto della assoluta centralità che il dato medico assume nella nostra corrente quotidianità, è lo schema concettuale della scienza medica ad assorbire gli altri linguaggi – in primis la politica – segnando il percorso di un loro sostanziale cambiamento, al momento è solo confusamente intuibile. Ma che non par fuor di luogo iniziare a declinare soprattutto per gli effetti che potrebbe assumere nella riconfigurazione della nostra socialità.

Virale.

E’ la natura dinamica della patologia, la sua trasmissione come contagio. La certificazione del nostro essere connessi, ovvero posti in relazione. Il termine riscatta se stesso dall’ostaggio in cui era stato preso nel linguaggio della Rete. Virale ha connotato (forse continuerà a farlo) la velocità di diffusione, e l’estensione della platea dei fruitori, dei messaggi e di prodotti affidati alla Rete. La spinta nella dimensione virtuale è alla massima inclusione senza barriere (prima fra tutte quella della competenza). Il virus scopre il volto maligno della connessione (reale). Due condizioni, in senso ampio, di comunicazione che convivono e resistono. La connessione virale attivata dal virtuale è protettiva. L’opposto quella reale pesantemente condizionata dalla patologia. Cosa, a veder bene, è saltato? Cosa tende a venir meno? Cosa ci è sottratto? In una parola si risponderebbe: l’esperienza. In una angolazione, però, peculiare. Il dominio del virtuale è stato (ed è ancora) la bolla nella quale la durezza della realtà veniva assorbita e rinominata. Il “comunicato” si è imposto, ha preso la forma e la consistenza del “fatto”. La realtà fattuale (chiamiamola così) non era stata dissolta. Tutt’altro. Serviva (e serve) al completamento della dinamica (anche linguistica) della virtualità. Ne è stata (ed è) il campo di certificazione della sua azione e anche di manipolazione. Il suo linguaggio è digestione e deiezione della realtà fattuale che a questa si sovrappone ed in essa si incorpora in un processo in-finito. Il Covid 19, se non lo rompe, certamente altera questo equilibrio. Si può dire/comunicare “su” o “intorno” a qualcosa. Il comunicare non è più la “cosa”. Perché la “cosa” è svuotata dalla malattia. E’ un caso se il Movimento delle Sardine che sulla ecologia della comunicazione aveva fondato uno dei suoi profili identitari, in questi giorni tace?

Distanziamento sociale.

E’ la regola imposta da scienziati e autorità medico-sanitarie per evitare il contagio e contenere la diffusione del virus. In termini sociali (e fattuali) segnala ed orienta un allentamento dei legami e delle relazioni interpersonali. L’altro da me, il mio “prossimo” non è opportunità e occasione (per il mio io) ma rischio e perdita (di me stesso). La nuova direttiva del governo (“state a casa”) rafforza questo immaginario. Riprende spessore – per serissime ragioni di profilassi sanitaria – quel confine pubblico/privato che la narrazione della virtualità (ma in senso lato dell’intera mediasfera) aveva assottigliato. Anche qui non manca di evidenziarsi un nuovo (o perdurante) equilibrio “sbilanciato”. Di fronte alla fattualità “interdetta” assume potenza e pervasività la medialità ed il virtuale. Che struttura il vissuto reale (un esempio per tutti: la spinta allo smart working) e potenzia la relazionalità, istituendosi essa come dominante condizione di relazionalità. Vogliamo cogliere in questi micro/macro cambiamenti, il sintomo aurorale di una possibile “grande trasformazione”? Un grande laboratorio che prepara il salto ulteriore della rivoluzione tecnologica che radicalmente modifica la vita, la sue forme, i suoi comportamenti organizzati? Non è fuori luogo provare a rifletterci. Sforzandoci di capire come, dove e in quali forme si strutturerà (probabilmente sta già accadendo) il potere sulla e nella mediasfera.

Fidarsi della scienza.

E’ il nuovo valore circolante nel discorso pubblico contagiato dall’epidemia. La potenza della tecnica e della scienza (nei suoi intrecci produttivi con l’economia) che hanno fatto vacillare il presunto “primato” della politica, celebra un’altra vittoria. Guadagnata sul terreno biopolitico nel quale l’unico confine è quello tra la vita e la morte. Fidarsi della scienza perché è l’unica potenza che quel confine può spingere per lasciar guadagnare terreno alla vita. E la politica, le istituzioni non possono fare altro che cedere la propria (residua) sovranità alla scienza. Terribile il discorso circolato sulla scelta di “chi salvare” che incomberebbe sui medici alle prese con la complicatissima gestione dei ricoveri e dei trattamenti nei reparti di rianimazione. E’ reale questo discorso? La risposta potrebbe non essere univoca e per ciò stesso complessa. Non è qui la sede per perlustrazioni culturali in profondità. Si può invece riconoscere che quel discorso è funzionale. A cosa? A usare e gestire la paura come strumento di governo psicologico dell’emergenza. Ma altrettanto a generare una diffusa pressione sul decisore politico chiamato a fare o accelerare l’adeguamento del sistema sanitario: lo stress da emergenza epidemica serve anche a misurare i vulnus (non visti) della normalità operativa del sistema stesso. Di buono c’è tuttavia che i sostenitori delle medicine alternative (ricordate i NoVax) sono oggi i primi a non perdere occasioni mediatiche per sciogliere elogi alla scienza. Meglio tardi che mai? Anche sì, a patto del pubblico riconoscimento di un danno (culturale) già arrecato.

M. Ragusa-dictionary-390027_960_720
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