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Il tentativo di vedere oltre il buio dell’emergenza pandemica che ci costringe a guardare solo all’immediato.
Villa Pamphili e l’Europa che verrà
Restano sul tappeto i temi fondamentali in questo periodo: salute, formazione e lavoro, fino all’inclusione sociale. Dimensioni di sviluppo che hanno bisogno di un quadro di investimenti bene integrati e strategici, cioè indirizzati - fin dal principio - a generare aumento di produttività totale per non fare andare in emergenza le generazioni future.

di Pasquale Persico

Max Nahaus designer di valore mondiale dello spazio percepito, suggeriva di  ascoltare e saper vedere prima di progettare, ribadendo che comprendere l’invisibile aiuta a capire la complessità dei processi che ci portano a realizzare investimenti strategici, oggi necessari, come impegno del nostro Paese e dell’Europa. A Villa Pamphili i riflettori europei, insieme con quelli nazionali – cioè tutti coloro che riflettono – hanno cercato di vedere oltre il buio dell’emergenza pandemica che ci costringe a guardare solo all’adesso, all’immediato. La Villa si è mostrata con la sua qualità di grande “pausa urbana”, nel cuore della città metropolitana di Roma; “pausa” che invita a  rilanciare, puntando sulla sua valenza culturale ed  ambientale, tutti i temi del manifesto del terzo paesaggio di Gilles Clement (ed Einaudi). La bellezza e lo stupore di quel rifugio urbano con la sua biodiversità potenziale, culturale e naturale, sono apparsi come somma delle riserve e degli insiemi trascurati da cui ripartire. Poniamoci una domanda per introdurre i temi e riflettere sul potenziale “vantaggio” di esserci liberati della Gran Bretagna come componente della Ue. Quante varietà di querce ci sono in tutta la Gran Bretagna e quante a Villa Pamphili? La risposta – oltre a chiarire il perché le affinità tra Gran Bretagna ed Europa hanno mostrato asimmetrie culturali – ispira anche il primo tema emerso dal confronto internazionale: solo due specie di querce possono essere ritrovate nell’intera isola britannica mentre ben otto abitano nello spazio urbano del parco annesso alla Villa, alcune alte oltre 20 metri e con età vicine ai quattrocento anni, storia e lungimiranza insieme.

Il potenziale della biodiversità connesso al risanamento ecologico delle città urbanizzate è il tema che è venuto fuori con forza dal confronto sulle politiche da abbracciare. L’ecologia è diventata il centro della nuova visione delle macroaree europee da riposizionare, in termini di investimenti strategici e di politiche del welfare di popolazione da realizzare. Ecologia ed inclusione sociale – ancora  parole chiave – della sfida che riposiziona l’Europa  nel nuovo spazio della globalizzazione che verrà, il tema forte della prima giornata degli Stati Generali. Certo anche l’innovazione è  al centro dei temi della digitalizzazione, ma forse anche per la suggestione del luogo, il  riconoscere tutto quello che nel panorama della storia italiana – connessa alla industrializzazione ed alla urbanizzazione – è diventato residuo, rappresenta un evento di vitale importanza.  Il “precedentemente prodotto”, sfruttato ed abbandonato, del territorio ha origine molteplice: rurale ed agricolo, industriale ed urbano, turistico e  paesaggistico, etc …

Il primo suggerimento, pertanto, che arriva dalla Villa riguarda l’inventario di questo potenziale per sottrarlo al territorio antropizzato e non, per riposizionarlo nel nuovo “paesaggio ecologico” di riferimento, dove i progetti strategici connessi alla produttività del sistema Italia ed Europeo,  riposizionano i temi della salute, della scuola, del lavoro e del benessere, facendo uscire le popolazioni residenti dall’attuale spaesamento dell’abitare e del vivere.

In questa visione il criterio europeo di valutazione degli investimenti deve connettere la capacità di questi di abbassare sia il debito ecologico che quello strutturale del dopo crisi. Questo messaggio è uscito chiaro da Villa Pamphili, e proprio il commissario Gentiloni lo ha ribadito in inglese ed italiano, perché uscisse forte questa voce europea, per far sentire anche a coloro che fingono di non capire. La metafora della Città e dell’Altra città da riconnettere come tema di inclusione sociale va perciò poggiata sulla nuova idea di paesaggio dell’Italia che verrà, dove i casi di Taranto e Bagnoli non saranno più all’ordine del giorno come emergenza residua, perché inseriti finalmente dentro una consapevolezza irrinunciabile delle strade da percorrere.

Ecco consolidarsi  il secondo suggerimento  che arriva dalla Villa con le sue  bellezze architettoniche ed il giardino planetario che avvolge il suo manufatto. La manutenzione del nostro patrimonio culturale deve  diventare potenziale di nuova umanità

Da quella Villa arrivano altri suggerimenti, un pavimento in cotto emerge come splendore artigianale e si riflette negli specchi dei saloni della villa;  il cotto di Rufoli, della Fornace De Martino delle colline salernitane, ricorda che la globalizzazione e i processi di standardizzazione connessi alla omogeneità stilistica dei prodotti non devono schiacciare i saperi locali accumulati dalla storia dei popoli che si sono insediati  nei luoghi specifici; questi mille luoghi dell’Italia e dell’Europa hanno esaltato il potenziale delle risorse riconoscibili come beni di merito, cioè appartenenti ai saperi accumulati dalla storia dei luoghi stessi.

L’Italia e l’Europa hanno questa ricchezza manifatturiera che è  ancora fortemente in campo; questi vantaggi competitivi localizzati  devono proteggersi dall’approccio tecnologico allo sviluppo che da oltre un ventennio viene veicolato dall’OCDE alla Commissione Europea come ricetta unica per il mondo che verrà.

Grande merito agli studiosi di quella organizzazione indipendente dei Paesi sviluppati, che ho conosciuto da vicino fin dal 1987 in qualità di consultant in Scienze e Tecnologia, ma proprio il mio impegno di allora, insieme ad altri esperti,  per  misurare, da econometra,  il contributo del capitale tecnologico allo sviluppo del reddito e della produttività nei diversi Paesi del mondo, suggerisce oggi di attenuare il contenuto ideologico di tale proposta, pezzo forte della Commissione Colao.

L’idea dell’innovazione connessa all’effetto moltiplicato degli investimenti in ricerca e sviluppo delle tecnologie ICT nasce oltre un mezzo secolo fa e fa riferimento alle caratteristiche di queste tecnologie che sono labour saving e capital saving e rivoluzionano la catena del valore globale perché alimentano cognitività, conoscenza e reciprocità.

Ma la riflessione è semplice e la ricetta europea  di portare, per l’Italia e le altre nazioni in ritardo,  la spesa in ricerca e sviluppo oltre il 3 % del  Pil, pone il corollario che gli investimenti strategici non devono scendere dal 25% del Pil: gli investimenti strategici devono  rimanere una componente strutturale della domanda aggregata che, invece, per la sopravvivenza dei ceti legati al consenso elettorale, si è spostata sulla spesa connessa alla spesa corrente ed al consumo distorto.

Ecco l’errore da non fare, se vogliamo conservare la ricchezza della diversità manifatturiera del nostro Paese, non dobbiamo separare teoricamente l’attività innovativa da quella connessa alla condivisione di senso degli investimenti strategici.

Solo così, saremo nuovamente protagonisti nel ricomporre il potenziale del doing by learnig connesso  al potenziale del  learnig by doing, fino a generare un intreccio tra attività innovativa e attività delle interdipendenze relazionali che stanno nel processo progresso-sviluppo tecnologico e saperi localizzati; è questa interrelazione che  spinge in alto la produttività totale dei territori. Un intreccio già verificatosi negli anni del cosiddetto boom dell’Italia manifatturiera quando venne moltiplicato sia il processo di aggiornamento tecnologico che quello di produzione di progresso tecnico specifico legato al Made in Italy. La tecnologia diviene il risultato di processi innovativi realizzati con l’attività di investimento, subendo perciò le influenze dei fattori istituzionali e politici, spesso da rimuovere perché  dominanti. E ritorno al cotto di Rufoli per il tema burocrazia, giustizia  e governance.

David Chipperfiel, architetto di fama internazionale, oggi direttore della rivista Domus, arrivato a Salerno, nel 1996, per il concorso “edifici mondo”, riconobbe nel prodotto cotto di Rufoli un linguaggio simbolo del Made in Italy, un prodotto che da secoli era diventato, per il territorio, un vantaggio competitivo localizzato dai saperi accumulati.  L’architetto inglese, ispirato dalla connessione tra giustizia e spazio culturale della nuova urbanità, temi della sua  Biennale di Venezia di qualche anno fa, nel progettare il Palazzo di Giustizia di Salerno, usò il linguaggio del cotto come comunicazione del valore del paesaggio urbano. Approntò con accuratezza il progetto esecutivo del Palazzo affinché l’appalto potesse realizzare, chiavi in mano, il progetto strategico voluto dalla città di Salerno come componente della “Grande Salerno di Area Vasta”. Da quel lontano 1996 ad oggi le vicende dell’appalto raccontano delle difficoltà di far camminare innovazione e sviluppo tecnologico insieme al processo di investimento; oggi il  Palazzo ha bisogno, per il completamento, ancora di risorse doppie dell’appalto iniziale.

Ecco il nodo burocrazia connesso al tema “investimento strategico” in “giustizia territoriale”;  è nella storia complessa di quell’investimento che emerge il tema di come risolvere il problema della governance territoriale di area vasta, che  deve salire di scala di efficacia e di efficienza. Credo pertanto che i suggerimenti che arrivano dall’ascolto di quanto è maturato a Villa Panphili  semplifichino la lettura del Piano Colao e delle altre proposte, ed invitano anche le  opposizioni a  proiettare la loro riflessione sul tema del significato di investimento strategico e del come trovare la strada per la loro efficacia ed efficienza.

Nei  prossimi giorni  al “Progetto Italia”  deve essere data  un’anima europea di condivisione, integrando le mille esigenze delle persone che saranno coinvolte sia nei processi di inclusione che in quelli di esclusione, avendo, però, il conforto che la strada del diritto ai beni universali è stata in parte già percorsa, mentre  altre  appaiono all’orizzonte.

La raccomandazione principale rimane e fa riflettere anche chi non ha visto o ascoltato i suggerimenti della Villa: i temi della salute, della formazione e del lavoro, fino a quelli dell’inclusione sociale hanno bisogno di un quadro di investimenti bene integrati e strategici, cioè indirizzati fin dal principio a generare aumento di produttività totale per non far andare in emergenza le generazioni future oppresse e dipendenti dal debito ecologico e da quello finanziari. In tale prospettiva lo sviluppo tecnologico non è un processo autonomo ed unidirezionale come appare spesso nei documenti tecnici, ma diviene, connesso all’attività di investimento, un processo di selezione delle scelte che rende evidente i risultati da perseguire, generando consenso ed inclusione nel processo complesso di aggregazione del consenso, orientato a generare la nuova civiltà europea, riconoscibile come civiltà plurale in dialogo con altri continenti.

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Pasquale Persico
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