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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

Indagini e approfondimenti recenti rilevano le motivazioni alla base della ricerca di un’occupazione e confermano la nuova “importanza” degli interessi personali.
Tutti insieme, sospesi nella bolla del nulla (che quasi mai accade)
Nel vuoto che ci ha inglobati, si perdono di vista progetti e iniziative per provare a spingere il carro dell’economia. Il lavoro non è più centrale, prevale la logica dello stipendio che consente di credere a tutto resto.

Può capitare di rimanere fermi e provare ad ascoltare, magari distrattamente, come si “muovono” le cose, forse si incamminano per il verso giusto o, al contrario, assecondano sempre vecchi percorsi, senza mai ricordare che fino a questo momento  non hanno portato a raggiungere, almeno, qualche obiettivo rilevante. No, non è l’inizio di un racconto letto più volte, ma solo la constatazione – abbastanza noiosa – che da qualche anno a questa parte (da quando si è più o meno usciti dall’emergenza sanitaria) non è accaduto assolutamente niente di rilevante (non solo sotto l’aspetto economico). Al contrario, si è andati veramente oltre ogni tipo di immaginazione che, pure, avrebbe dovuto sollecitare, quanto più possibile, prudenza e saggezza nell’operare scelte in grado di porci al riparo da tempeste che – al momento – è ancora difficile governare. No, troppo semplice entrare in quest’ordine di idee. Meglio procedere con spirito di avventura (oltre la politica) e inseguire la cattura di un consenso più diffuso, sganciato da ideologie, partiti, rimproveri: è nato – a pensarci bene – un altro format, forse addirittura ideologico, fermamente ideologico, che ha una sola traccia di percorso: attenzione, state tranquilli se potete, qui ci siamo noi a guidare la carovana, a pensare più o meno a tutti. Un po’ di sacrifici, questo sì, ma andiamo avanti. E’ questa la nuova filosofia che il pensiero dominante – non sempre coincidente con quello governante – in qualsiasi parte d’Italia (e non solo) impone e mette al centro dell’attenzione. E il fatto nuovo è che, tutto sommato, va bene così, perché la parte di popolazione che tenta di stare meglio di qualche anno fa, trova rimedi molto più variegati di prima (e in ogni caso, apparentemente, praticabili).

E’ questo il ritratto che più sembra conforme a tutto quello che siamo diventati, perdendo (definitivamente?) di vista ambizioni (sociali, economiche…), progetti, iniziative che, pure, erano al centro di realizzazioni da compiere, dopo averle inseguite per anni e anni e ora sparite. Ci hanno spiegato, per capire meglio e fino in fondo, che il lavoro non è più (o quasi) l’ambizione esistenziale in grado di cambiarci e di cambiare, tutto sommato, il mondo. No, anche il lavoro, soprattutto nelle nuove generazioni, deve consentire di vivere, ma non è esso stesso una ragione di vita, ma solo una ragione per la vita. E non è questione di parole da mettere insieme. E’ il cambio della filosofia che è alla base di vite da mettere insieme, di vite da vivere senza più cedere a motivazioni che hanno perso senso. Il senso di esistenze che prendevano forma intorno al lavoro, al lavoro che diventava percorso, modo di vivere (o non vivere). Ora non è più così, la vita prende la sua forma e il lavoro non può diventare il progetto di vita, perchè il lavoro consente di vivere e, quindi, è di fatto il supporto economico (o anche psicologico) per vivere. Abbiamo attraversato un percorso inimmaginabile qualche decennio fa, quando lavorare consentiva di vivere e sopravvivere. Siamo diventati, quindi, protagonisti del millennio che sta prendendo forma. Nel bene e nel male. Quante cose ci siamo lasciati indietro, quante cose non abbiamo capito (e non capiremo mai), quanti dubbi ci accompagneranno sempre?

In fondo, anche se il progresso ci incalza e ci spinge avanti, permane la sensazione che non siamo andati del tutto avanti, a cambiare, a migliorare, a vivere meglio. Né è possibile ritornare indietro, tra quelle insicure certezze che, in qualche modo, contraddistinguevano le nostre vite. Ora, siamo rimasti, per così dire, appesi, sospesi, senza un percorso chiaro da compiere. E, alla fine, nel vuoto che ci ha inglobati, proviamo a camminare, senza cambiare nulla. Nel vuoto ci sentiamo tutti leggeri, senza nulla da comunicare. Viva i social, viva il “niente” che prende forma e ci consola.

Per il resto ci vorrà un po’ di tempo. O forse di più, ma a chi realmente importa?

Ernesto Pappalardo

direttore@salernoeconomy.it

 

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