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Le parole composte - ecologia profonda, quinta urbanità e civiltà plurale - per la ricerca del fare.
Storie di andata e ritorno, Milano e il quarto paesaggio
Globale, liquida, cosmopolita, capitale economica d’Italia; concettualizzazioni aperte di una città che c’è e non c’è nella nuova geografia che prende forma.

di Pasquale Persico

Forse per il caldo eccessivo, ma, questa volta, il viaggio mensile a Milano era stato più malinconico del solito. Da quando aveva deciso di vivere nel borgo dove era nato suo nonno, aveva notato una strana luce nei suoi occhi. La storia si ripeteva, con diversa intensità, ogni volta che il viaggio finiva per avviare la riflessione sul contenuto dell’insegnamento universitario: città ed etica della comunicazione. Il ragionamento partiva da un ricordo e questo si moltiplicava per diventare catalogo dei luoghi del suo vissuto a Milano. L’etica e la morale erano spariti da tempo dai comportamenti della cosiddetta società civile e la verità della comunicazione appariva drammatica. Prendeva forma la prospettiva non desiderata del distacco definitivo da una città che aveva  smarrito la sua identità liquida di città accogliente, civile ed innovativa, con la sua fiera e la sua rete di servizi avanzati a velocità contemporanea. Eppure tutta la comunicazione dei media – concentrata sull’evento Expo 2015 – parlava di rinascita dell’humus e le statistiche sui flussi pubblicate da PopulationData.net, riportavano Milano al top delle aree urbane più importanti al mondo. La sua forza di irradiamento sembrava all’improvviso in forte crescita e l’elenco dei luoghi di rigenerazione urbana stava crescendo ogni giorno.

I suoi occhi diventavano vividi di malinconia ed i luoghi scorrevano nella sua mente:  Brera, Duomo, S. Ambrogio, Sempione, Tortona, Navigli, Bresso, Cinisello, Bovisa, Loreto, Città studi, Centrale, Garibaldi, Bocconi ed a seguire tanti altri.  Ma che tipo di malinconia era sopraggiunta, perché quei luoghi non riuscivano più ad evocare qualcosa che portasse il sorriso nei suoi occhi?

Per un momento pensava che come avviene per coloro che vengono colpiti da un glaucoma, la perdita del visivo avviene e non ce ne accorgiamo, la perdita di capacità percettiva finisce, cioè, per trasfigurare le forme del vivere ed a poco a poco non riconosciamo più i luoghi della nostra identità desiderata.

Ma questa sua perdita da dove arrivava, da una nuova capacità di vedere e confrontare i luoghi?

Aveva riconosciuto nella luce del paesaggio-patrimonio Unesco, che da qualche anno l’abbracciava con intensità nuova, la cura di in-oculazione necessaria a rivedere cose, sentimenti e luoghi (ed il catalogo dei luoghi questa volta appariva consolatorio).

La Valle delle Orchidee di Sassano, Il monte Cervati del Parco Nazionale del Cilento, La Casa di Ortega, il Golfo di Policastro, il Monte Gelbison, gli Alburni, le Grave di Laurino, Fontana quando Piove, Capelli di Venere, Tortorella, Il GeoParco Unesco ed  il paesaggio degli ingredienti della dieta mediterranea, erano diventati luoghi dell’anima. Eppure, nonostante la gioia del pensare ai luoghi della sua nuova città – città  del quarto paesaggio, (nella elaborazione di Giarletta e Persico) – la malinconia ritardava a sparire, e non era questione di età.

Senza volerlo si stava esercitando a pensare in termini di ecologia della mente, vedeva con gli occhi degli altri, delle persone che incontrava nel Cilento; oppure, vedeva con gli occhi delle persone illustri che erano vissute nel suo borgo, ed erano poi diventate cittadine del mondo.

Sapeva che  il padre della psicoanalisi aveva definito, questa malinconia, come perdita di un bene astratto, di una fede, di una speranza, di un’utopia realizzabile. In epoca elisabettiana, la stessa malattia  era stata battezzata come malinconia civile, cioè perdita della speranza del cambiamento. Una società corrotta, senza ideali, senza progetti continuava a riprodursi, per fortuna, poi, arrivò la rivoluzione industriale e tutte le aspettative vennero riposizionate.

Ma quale rivoluzione doveva avvenire? Quella auspicata dal Papa dell’affermazione dell’ecologia integrale? O  una versione adattiva della vecchia identità delle città? La speranza dell’improbabile non arrivava e la sua malinconia rimaneva dentro, più profonda di quella delle storie del poeta  paesologo  Franco Arminio.

Milano non ha più una borghesia volitiva e progettuale? Milano non ha più una classe politica capace di far funzionare le istituzioni? Milano accoglie generazioni di giovani che dimenticano di innamorarsi del progetto giusto? Milano è una città dalla quale anche gli scienziati, i poeti e gli artisti vogliono fuggire?

Pensieri e domande sopraggiungevano con sempre maggiore frequenza, ma sentiva di non voler dare una risposta a tutte queste domande, voleva, però, raccontarsi la  solitudine che vedeva nel suo girovagare a Milano, la sua incapacità di sollevare la testa, la sua incapacità di essere ancora  Milanese.

La malinconia si stava facendo avvolgente, ed il suo recente  viaggio aveva instaurato dubbi, perfino gli amici di Milano erano diventati inesistenti, più che traditori,  persone da poter dimenticare.

Doveva moltiplicare i viaggi verso altri luoghi come già faceva da tempo e rompere  la gabbia dei suoi pensieri.

Questa cronaca del sentire e vivere i luoghi di Milano è antecedente all’Expo; Milano dopo l’Expo ha cambiato la sua percezione e le parole risveglio e rinascita sono più volte al centro della riflessione sul suo futuro.

Oggi la Milano da raccontare, quella del post pandemia, deve fare un altro salto culturale ed  essere al centro della politica economica per la città e l’altra città. Per il  dopo pandemia si ripropone il viaggio da fare evitando, però, di coltivare l’idea di portare il concetto di paese borgo in città. Eppure  gli inviti a ripensare la città in termini di città dei quindici minuti (Carlos Moreno) e/o la filosofia dell’amministratore delegato di Nhood Marco Balducci propongono una ricetta post pandemia che sposa l’idea di modernizzare il concetto di borgo, fino a individuarlo come modulo della riqualificazione delle città, anche in termini di rammendo per riparare al debito ecologico.

Invece, bisogna sciogliere l’enigma in maniera più coraggiosa: devo morire per far nascere mia madre; questa è la strada per definire i nuovi confini della città; la città nuova  deve vivere in rete con le altre città  nella macroarea ad ecologia profonda, per trovare le  risposte  adeguate alla rivoluzione culturale necessaria per stare in un mondo globale a metamorfosi accelerata. Pasquale Lucio Scandizzo, del cosidetto gruppo dei venti,  nel suo articolo su Formiche.net accenna con forza alla ricerca da fare in termini di politica economica. Nella  pandemia l’efficacia delle città nell’affrontare le emergenze sia ambientali che sanitarie si è rivelata spesso inesistente e la politica urbanistica ha svelato la sua arretratezza culturale. Su questa premessa si denunciano gli approcci semplicistici per affrontare il tema dei fallimenti del mercato (es: il riposizionamento della rendita urbana implicito nell’avvicinarsi alla città dei 15 minuti o nella filosofia della metamorfosi di Piazzale Loreto) per allargare la scala della governance strategica, ispirata da istituzioni multilaterali. A partire dalla nuova Europa,  si dovrà acquisire la capacità di correggere la crisi fiscale dei singoli Stati per dare alla politica economica per le città una visione integrata e di scala in grado di affrontare il tema del cambiamento del clima, della mobilità e delle  modalità  di accesso ai diritti fondamentali (standard immateriali di nuova urbanità, ricerca e sviluppo, istruzione, formazione continua, salute e cultura).

Le parole composte – ecologia profonda, quinta urbanità e civiltà plurale – devono essere le parole nuove della ricerca da fare.

Milano ha avuto, come definizione di identità, diversi aggettivi, quasi a volere descrivere sia la sua storia passata che futura: città globale, città liquida, cosmopolita, capitale economica d’Italia; queste sono concettualizzazioni aperte di una città che c’è e che non c’è; Milano è  anch’essa una città di passaggio e deve, pertanto,  battersi con le altre città per non uscire  prematuramente dalla storia  e dalla geografia della nuova era che è già sopraggiunta.

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Pasquale Persico
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