GLOCAL di Ernesto Pappalardo »
Uno dei punti centrali delle diverse letture che si incrociano in un periodo come quello che l’Occidente europeo sta attraversando, riguarda, sostanzialmente, la descrizione di episodi storico/leggendari che, in qualche modo, mettono a fuoco momenti in grado di raccontare, più o meno, quello che siamo diventati, o, nella maggioranza dei casi, quello che storicamente, volevamo diventare. La domanda di fondo resta abbastanza confusa, ma, in parte, chiara: tutto quello che accade nelle guerre, nei conflitti, assume, poi, un riflesso molto più lungo di quanto possa apparire. Un riflesso che si diffonde, senza scomparire, nelle pieghe dei secoli di storia materiale (e letteraria), lasciando un percorso di tracce che, pure, saranno ricostruite, o, almeno, intraviste non tanto nei giorni, nei mesi e negli anni immediatamente successivi ai fatti, ma, appunto, solo secoli dopo. Fino ad assumere nel tempo, molto spesso silente, il contorno radicato di un’eredità in ogni caso accettata e diffusa nell’immaginario collettivo di un popolo che ben conosce cosa è diventato e – in realtà molto meglio – cosa voleva diventare (e non è diventato).
Questa “metodologia” aiuta, ma non in tutti i casi, a trovare dei solidi punti di riferimento proprio quando vengono a mancare troppe certezze acquisite superficialmente, come, per esempio, è accaduto ai popoli europei affacciati sul Mediterraneo che più hanno raggiunto forme contemporanee di benessere. Il “precedente”, effettivamente, “storico”, ha un nome che ha “navigato” e continua a “navigare”da tempo immemore nelle narrative che, poi, si trasformano in pensiero filosofico e letterario. Proviamo solo a dare qualche “traccia” per confermare quanto scritto finora. Il mito di un personaggio come Enea, se torniamo alle origini, offre subito una doppia lettura, che, poi, a sua volta ne suggerirà altre e altre ancora. La fonte di queste notizie è l’enciclopedia Treccani (versione on line).
“C’era sulla costa della Macedonia una città detta Enea (Aineia); questa pretese ben presto di essere stata fondata da Enea, da cui avrebbe ricevuto il nome. Nello stesso tempo il nostro eroe perdeva il carattere di guerriero che aveva avuto a Troia, e prendeva quello d’uomo pio. E la ragione di questo nuovo carattere non stava già in offerte fatte agli dei, come quelle di cui parlava l’Iliade, ma nel fatto che egli aveva salvati dall’incendio di Troia, insieme con la moglie Creusa e il figlio (Ascanio), gli dei patrî (gli dei famigliari) e il vecchio padre Anchise. Questa scena di Enea fuggente ci è rappresentata su una moneta della città di Enea, moneta che appartiene senza dubbio al sec. VI a. C. È la più antica raffigurazione che possediamo di questo mito”. Questa la prima “versione” del mito: siamo in Macedonia. “Ma in età non meno antica, Enea viene portato sulle coste della terra d’Occidente, l’Esperia, vale a dire l’Italia. Questa versione ignorava, a quanto pare, la fondazione della città sulle coste della Macedonia, poiché fa venir l’eroe direttamente dalla Troade in Italia. Così fa intendere la Tabula Iliaca capitolina, la quale rappresenterebbe gli avvenimenti della distruzione di Troia secondo il poema di Stesicoro (sec. VII-VI a. C.). Questa tavola ci mostra Enea che salpa coi suoi compagni dal Sigeo per l’Esperia”,
Dalla Macedonia all’Italia, con una nuova e precisa “storia”. “È probabile che la leggenda di Enea in Italia debba le sue origini agli abitanti della città di Cuma della Campania, che diedero nuova vita al mito d’un eroe famigliare alla Cuma eolica”, (op.cit.). E, quindi, le conclusioni: “C’erano dunque, nel sec. VI a. C. due leggende della migrazione di Enea: una lo portava sulle coste della Macedonia, un’altra in Italia. Altre poi ne sorsero, dovute principalmente a nomi locali”, (op. cit.).
Il “racconto” di Enea assume, quindi, varie specifiche evoluzioni e anche noi non facciamo altro che restare in bilico sull’orlo delle “storie” che si susseguono, ma poche volte riusciamo a porci qualche domanda e a ragionare. Non bastano i flussi smisurati e incontrollabili delle “informazioni” che si susseguono. Siamo noi che, prima di esprimere tante inutili certezze, dovremmo tentare se non di ragionare, almeno di ascoltare con attenzione. Non proprio semplice, ma necessario.
Ernesto Pappalardo

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