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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

La liberalizzazione a partire al 1°aprile apre una nuova falla nel sistema produttivo provinciale.
Senza quote latte i “piccoli” rischiano il baratro
In Campania ed in provincia di Salerno in discussione migliaia di posti di lavoro. Si prevede che sopravivranno a stento un migliaio di stalle rispetto alle circa 3.000 attualmente operative.

Nel silenzio più totale anche il territorio salernitano si avvia a vivere il dramma derivante dalla liberalizzazione delle quote latte che entrerà in vigore il prossimo 1°aprile. In termini concreti, secondo le stime di Confagricoltura, in Campania sopravvivranno a stento un migliaio di stalle rispetto alle poco più di 3.000 attualmente operative (erano circa 10.000 negli anni ’90). I posti di lavoro in ballo sono migliaia (considerando una media di tre addetti per impianto). Il problema è che i più piccoli non riusciranno a sostenere l’impatto di un mercato che privilegerà la quantità rispetto alla qualità: al di sotto di 0,40 centesimi di euro al litro (alla produzione) non pare proprio possibile che al Sud possano restare in campo tante micro-aziende che, pure, hanno assicurato nel corso degli anni l’immissione nella rete di vendita di un latte di alta gamma qualitativa. In Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia, solo per fare gli esempi più importanti – dove si concentra l’80 per cento della produzione “Made in Italy” – gli impianti sono di dimensioni più strutturate e, quindi, i costi sono più bassi. E’ nel Centro e nel Nord del Paese che si prepara il grande salto distributivo. Non è in queste regioni che il calo del prezzo del latte del 10 per cento (negli ultimi tre mesi) ha iniziato a mietere “vittime”. Mentre nel resto d’Italia è andata in crisi una stalla su quattro. Queste problematiche sono state al centro di un importante convegno che si è svolto nei giorni scorsi nell’azienda agricola “Maccarese SpA” (di proprietà della famiglia Benetton) alle porte di Roma sul tema:“Tutto quello che avreste voluto sapere sul latte e non avete mai osato chiedere”. Si sono confrontati, tra gli altri, Fernando Aiuti professore di allergologia e immunologia clinica alla Sapienza di Roma, il presidente ed Ad della Centrale del latte di Roma Antonio Vanoli ed il presidente di Confagricoltura Mario Guidi. I ragionamenti si sono intrecciati intorno a due aspetti fondamentali: il controllo dei livelli produttivi (se mai sarà ancora possibile attuarlo) e gli standard della qualità e della sicurezza alimentare. L’ondata di latte che travolgerà i confini nazionali, insomma, non preoccupa soltanto dal punto di vista delle conseguenze sull’apparato economico e produttivo del settore, ma anche sotto il profilo più generale della tutela della qualità media che sarà messa in circolazione. E’ emerso con chiarezza che a fare le spese del nuovo scenario di questa particolare ed importante filiera sarà principalmente il segmento del latte fresco di alta qualità (Decreto 185/1991) che rimane centrale nella sana e corretta alimentazione soprattutto dei bambini, oltre che degli adulti. Il latte resta – è stato sostenuto dagli autorevoli relatori – un alimento completo e ben equilibrato, purché, ovviamente, fresco. La normativa per il latte fresco di alta qualità in Italia è molto rigorosa, unica in Europa. Il confezionamento deve avvenire al massimo entro 48 ore dalla mungitura, con una scadenza di sei giorni per il consumo. Evidente che i costi connessi al raggiungimento di questa particolare tipologia di qualità – 32 grammi di proteine per litro – non siano davvero alla portata dei produttori del Sud.
“Cosa vuole che le dica – sottolinea Gioacchino Majone (presente al convegno alla “Maccarese”), presidente di “Agricola Vallepiana”, piccola azienda della provincia di Salerno che è posizionata proprio nella nicchia dell’alta qualità e presidente della sezione lattiero/casearia di Confagricoltura Campania – di fronte a quanto sta accadendo sentiamo parlare di programmi di comunicazione e di marketing a livello nazionale per diffondere la cultura del latte fresco che sicuramente è un’iniziativa utile. Ma, come sempre, la partita sarà molto più difficile da noi al Sud. Perché non siamo capaci di fare rete e di aggregarci e perché proprio i più piccoli sono lasciati più soli degli altri”.
Che dire? Il film sembra già visto. Si lascia disgregare un patrimonio di esperienze aziendali che ha giocato un ruolo non indifferente non solo nella trasmissione di un regime alimentare sano, ma anche (e non è affatto un particolare secondario) nella tutela di porzioni di territorio altrimenti destinate al degrado o all’abbandono. Insomma, un altro pezzo della nostra storia sta andando in frantumi, ma nessuno (o quasi) intende muovere un dito. Alla faccia del tanto sbandierato amore per il “Made in Italy”.
ERNESTO PAPPALARDO direttore@salernoeconomy.it

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