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Una certezza, tra tante incognite, è avere messo a nudo l’ampia impreparazione dei governi.
Se si rafforza l’ideologia degli interessi nazionali . . .
L’opportunità legata alla possibilità di coniugare sviluppo sostenibile e convenienti investimenti infrastrutturali corre un pericolo mortale. Solo un’aggregazione politico/istituzionale che punta su interventi strategici di area vasta potrà allontanarci da questo grave problema.

di Pasquale Persico

La  comparsa della pandemia da coronavirus ha cambiato molte ipotesi di sviluppo e ha fatto emergere per la comunità globale l’inesplorato abisso del vortice dell’incertezza. Ad oggi non sappiamo se questo cigno nero sanitario, arrivato solo poco dopo quello finanziario, cambierà veramente il nostro modo di pensare ed agire. Sappiamo però che  i nostri modelli di vita non sono adeguati. Una certezza, tra le tante incognite, è però quella di aver messo a nudo un’ampia impreparazione dei governi nazionali e delle istituzioni internazionali nel rispondere all’emergenza con una adeguata offerta di beni pubblici, quali strutture e servizi sanitari e un efficace coordinamento globale. Una certezza è che, al termine dell’emergenza, ma anche, in parte, lungo il suo imprevedibile decorso, sarà necessario un imponente programma di intervento pubblico per ricostruire un’economia mondiale compressa da una combinazione senza precedenti di shock simmetrici di domanda e di offerta, (vedi recente articolo su Formiche.net di Pasquale Lucio Scandizzo). Per Scandizzo “la pandemia ha contribuito a fare saltare completamente gli schemi di politica fiscale, dando una spinta, per ora abbastanza indifferenziata, alle manovre di spesa e all’indebitamento”.

Domanda semplice, risposta difficile.

Tutti sottolineano la frase (ovvia) di Draghi: gli investimenti da finanziare debbono essere “produttivi”. La produttività, però, è spesso una spugna che assorbe tutte le ricette e non fa uscire il flusso giusto che influenza il sistema complesso delle infrastrutture complesse che sono poggiate sui territori ed influenzano la resilienza organizzativa e sociale. Ci vengono incontro i concetti di X-Efficienza, oppure i concetti di efficienza economica ed efficacia delle organizzazioni, ma la parola produttività dei sistemi complessi rimane un processo più ampio di quelli di “efficienza ed efficacia”, che sono il vocabolario abusato nell’analisi dei progetti pubblici e nelle valutazioni raccomandate nelle “best practice” internazionali.

Pasquale Lucio Scandizzo ci ricorda che “la nozione economica moderna di produttività, in particolare, include il duplice concetto di sostenibilità sociale e ambientale. Essa abbraccia l’idea di innovazione e richiama l’attenzione sulla importanza di dirigere le risorse verso la costruzione di capacità quali la resilienza e la adattabilità, creando opportunità, che consentano non solo di affrontare l’emergenza attuale e le esigenze di ripresa dell’economia, ma anche la adattabilità a future emergenze, di cui il cigno nero attuale può essere considerato un segnale di allarme”.

Emergono, quindi, tutte le difficoltà di chi deve selezionare i progetti se non si definisce la macroarea di riferimento per rendere esplicite sia la nozione di opportunità che quella degli effetti da misurare. L’opzione reale di cui parla Scandizzo presuppone che si possa stabilire  un riferimento di area, ad esempio il Mezzogiorno, e la necessità di una riserva di destinazione, il 34 % delle risorse: definisco, quindi, ex ante l’opzione reale e condiziono la valutazione dei benefici senza avere valutato il potenziale di altre opzioni. La destinazione delle risorse riguarda, invece, il peso del settore pubblico e del settore privato da eleggere a destinatario, appunto, delle risorse. Un quadrante di riferimento da immaginare  è, pertanto, già divisibile in quattro parti: Nord, Sud, settore privato e settore pubblico. La selezione dei progetti da assegnare ai quattro quadranti macro deve irrobustirsi perché le quattro macroare operative di riferimento potrebbero non soddisfare il criterio europeo di macroarea strategica e nello stesso tempo trovare obiezioni insormontabili nella Conferenza Stato-Regioni, specie dopo il voto, Conferenza estesa alle parti sociali ed ai sindaci. Gli assetti istituzionali sono rilevanti e spesso trascurati e quella che la letteratura chiama “Anticipatory Governance” è completamente assente nelle pratiche di selezione dei progetti strategici di area vasta.

Basterebbe fare la cronaca delle scelte fatte nella fase 1 e 2 della pandemia. Per la incapacità di definire le competenze attive del processo di governance strategica, che rendeva obsolete alcune scelte del giorno prima (es: guanti per tutti).

Ecco, allora, l’incrocio decisivo: come articolare le scelte invece che sul concetto Nord o Sud e privato/pubblico, sul concetto di infrastruttura complessa da individuare e specificare per area vasta, in modo da definire la densità degli interventi in rete? Emerge, quindi, il campo dove l’Europa e le Nazioni fanno venire fuori il ritardo in termini di politica economica per le aree vaste o macroregioni di riferimento; riappare l’ideologia degli interessi Nazionali ed a cascata la miriade di rivendicazione delle identità locali; città e paesi come aggregati di richieste politiche. Il cosiddetto pranzo gratis o a poco prezzo dovuto alla incredibile disponibilità di fondi per investimenti è una tentazione che la politica non si farà sfuggire.

L’opportunità unica legata alla possibilità di coniugare lo sviluppo sostenibile con convenienti investimenti infrastrutturali corre un pericolo mortale e solo un’aggregazione politico istituzionale capace di specificare il concetto di investimenti strategici di area vasta potrà allontanarci da questo pericolo. Sentire che ci sono 2 mila o quattromila progetti da selezionare è un chiaro segno di questo pericolo imminente.

Sempre Scandizzo ci ricorda che  l’Ocse ha svolto un ruolo chiave nella promozione di nuovi strumenti e approcci al fine di indirizzare i finanziamenti  ​​per lo sviluppo sostenibile, specie i privati che sono decisivi. A tal proposito si possono citare: la finanza strutturata, il cui obiettivo principale è la mobilitazione di ulteriori finanziamenti per lo sviluppo; gli investimenti che perseguono un impatto sociale esplicito attraverso ritorni misurabili; e la finanza verde, orientata alla trasformazione ecologica.

Tra questi, possiamo aspettarci che gli investimenti a impatto sociale come strutture e servizi sanitari globali avranno un posto di rilievo, così come altre infrastrutture pubbliche finanziate da un’ampia ondata di obbligazioni europee? Oppure che la risalita della naturalità nelle aree urbanizzate (il tema delle foreste nelle aree metropolitane) si un’opzione credibile dopo tanta assenza istituzionale e negligenza nella politica dei Parchi o della difesa della Biodiversità delle Regioni?

Il Ponte Morandi e la sua ricostruzione rapida ha dimostrato che l’efficacia questa volta ha trascurato la domanda principale, ma il ponte Morandi è l’infrastruttura strategica prioritaria dell’area vasta della città metropolitana di Genova?

Quali sono i segni che la governance strategica intertemporale possa essere capace in termini di efficienza ed efficacia di  influenzare la produttività totale dei fattori produttivi che operano nel Nord e nel Sud del Paese?

La storia cammina e si può raccontare dopo ma non è il compito degli economisti che, invece, brillano in questo tipo di racconto, e prefigurare scenari di governance strategici. E’ più rilevante, in questa fase, discutere dei singoli progetti, che andranno a comporre il mosaico delle scelte. Queste devono essere orientate alla correzione dell’errore per la complessità della sfida diminuendo il peso della difesa degli interessi connessi al consenso di oggi.

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Pasquale Persico
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