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Salerno Economy XII.14 – 21.04.2023

La consistenza effettiva - con tanto di record - è aumentata di 21,6 miliardi di euro, toccando quota 2.772 miliardi.

Il debito pubblico? 100 miliardi (e in aumento) di interessi

Le cifre spese o da spendere: nel 2022, 84 miliardi di euro; nel 2023 74,67 miliardi; nel 2024, 86,21 mld; nel 2025, 91,28 mld, fino al 2026 (100 mld).
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Progressioni
Alla fine, il conto è di 100 miliardi di euro. E’ questo il costo degli interessi sul debito pubblico che l’Italia si accinge a pagare nei prossimi anni, così come segnala il Def (Documento di economia e finanza) approvato dal Consiglio dei Ministri. Ma andiamo con ordine e ricapitoliamo - anno per anno - le cifre spese o da spendere (per gli interessi): nel 2022, 84 miliardi di euro; nel 2023, 74,67 miliardi; nel 2024, 86,21 mld; nel 2025, 91,28 mld e nel 2026, appunto, oltre 100 miliardi di euro. Il ciclo in progressione è esattamente questo che appare concatenato.
Altri numeri per comprendere bene il “processo di formazione” del nostro debito pubblico. Si tratta di un aggregato che si è avviato a prendere particolare consistenza tra l’inizio degli anni ’80 e la prima metà degli anni ’90. In particolare si passò dal 57,7% sul Pil nel 1980 al 124,3% nel ’94 (da quel momento fu definito “spesa per interessi sul debito pubblico”) e si mantenne più consistente rispetto a quella degli altri Paesi europei. La spesa per interessi risultò in netta crescita e si aggregò dall’8% del Pil (1984) all’11,4%, il livello più consistente rispetto al resto d’Europa.
Deficit e debito della Pubblica Amministrazione, in rapporto al Prodotto interno lordo, sono destinati a incamminarsi verso una riduzione progressiva, ma attraverso - appare chiaro - un processo estremamente costoso dal punto di vista della spesa. Basta dare uno sguardo alle percentuali e agli obiettivi di indebitamento netto che il Governo individua in rapporto al Pil: 4,5% nel 2023; 3,7% nel 2024; 3,0% nel 2025 e 2,5% nel 2026. Vedremo cosa accadrà entro la fine di questo mese di aprile, quando il Def, prima di andare in Europa, dovrà convincere il Parlamento.
(https://presskit.it/2023/04/16/100-miliardi-di-euro-e-quanto-arrivera-a-pagare-litalia-per-gli-interessi-sul-debito-pubblico/).
(continua)
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Stagnazione. Confcommercio: “Continuano le incertezze sull’andamento dell’economia”.

I consumi alimentari diminuiscono ancora (-3,9)

I dati della congiuntura evidenziano a marzo un calo del Pil dello 0,3% su base mensile e un inflazione all’8,1% su base annua.
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In rallentamento
“Il primo trimestre del 2023 si dovrebbe essere chiuso con una sostanziale stagnazione dell’economia italiana. La stima, pure allontanando l’ipotesi della modesta recessione tecnica, non elimina le incertezze e le preoccupazioni sul prosieguo dell’anno, anche in ragione del peggiorato quadro internazionale”. E’ questo l’analisi del direttore dell’Ufficio Studi - Mariano Bella - sui dati della Congiuntura Confcommercio del mese di aprile. “In Italia - spiega Bella - il mercato del lavoro ha evidenziato confortanti segnali di tenuta anche a febbraio, nonostante il rallentamento dell’attività registrato tra la fine del 2022 e gennaio 2023. Questo elemento ha permesso, in termini aggregati, di contenere la perdita del potere d’acquisto subita dalle famiglie a causa dell’elevata inflazione. La variazione dei prezzi al consumo ha comunque decelerato in misura significativa dopo aver toccato il punto di massimo a novembre 2022”.
Nel mese di aprile, “dopo un primo trimestre di sostanziale stasi (la variazione nulla pur evitando la recessione tecnica indica un significativo rallentamento nel percorso di recupero iniziato nel primo trimestre del 2021), si dovrebbero essere consolidati i moderati segnali di risveglio dell’attività economica”. Nel mese in corso il Pil “è atteso registrare una variazione congiunturale dello 0,3%. Su base annua la crescita sarebbe nulla”.
(Fonte: confcommercio.it/14.04.2023)
(continua)
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“In Italia siamo di fronte a manovre speculative con un deciso aumento delle importazioni di grano duro dal Canada”.

Prezzo pasta al +18% ma il grano scende del 30%

Coldiretti: “In controtendenza rispetto ad una decelerazione generale, stabilità della crescita tendenziale per i beni alimentari, (in media +12,9%)”.
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Movimento
“Aumenta del 18% il prezzo della pasta nell’ultimo anno mentre il grano duro per produrla viene pagato agli agricoltori il 30% in meno nello stesso periodo”. E’ questo il quadro evidenziato dalla Coldiretti in occasione della diffusione dei dati Istat sull’inflazione a marzo “che, in controtendenza rispetto ad una decelerazione generale, evidenzia una stabilità nella crescita tendenziale dei prezzi dei beni alimentari, in media a +12,9%”. Va detto che la pasta “è ottenuta direttamente dalla lavorazione del grano - sottolinea la Coldiretti - con l’aggiunta della sola acqua è non trovano dunque alcuna giustificazione le divergenze registrate nelle quotazioni, con la forbice dei prezzi che si allarga e mette a rischio i bilanci dei consumatori e quelli degli agricoltori”. Questa situazione “appare chiara anche dall’andamento dei prezzi medi al consumo che secondo l’Osservatorio del Ministero del Made in Italy variano per la pasta da 2,3 euro al chilo di Milano ai 2,2 euro al chilo di Roma, dai 1,85 di Napoli ai 1,49 euro al chilo di Palermo, mentre le quotazioni del grano sono pressoché uniformi lungo tutta la Penisola a 38 centesimi di euro al chilo”.
Queste caratterizzazioni del mercato inducono la Coldiretti a sostenere l’esigenza di “indagare anche sulla base della nuova normativa sulle pratiche sleali a tutela delle 200mila imprese agricole che coltivano grano. I ricavi non coprono infatti i costi sostenuti dalle imprese agricole e mettono a rischio le semine ma anche la sovranità alimentare del Paese. Le superfici agricole coltivate a frumento duro, secondo le prime previsioni del Masaf per quest’anno, sono in flessione per un investimento di 1,22 milioni ettari con una riduzione di circa il 2% rispetto all’anno precedente. Le difficoltà del mercato dei cereali sono peraltro confermate dalla decisione di Polonia ed Ungheria di bloccare le importazioni di grano dall’Ucraina, contestata dalla Commissione Europea”.
(Fonte: coldiretti.it/17.04.2023)
(continua)
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L’esperienza di “Mediamo”, agenzia che sperimenta nuove iniziative per consolidare ed ampliare il proprio bacino di riferimento.

La pubblicità? E’ sempre l’anima del commercio

Intervista a Enrico Memoli, storico ed esperto protagonista del mercato salernitano (e non solo), che analizza il complesso momento attraversato da imprese ed attività terziarie. “E’ già nata la rivoluzione professionale di giovani operatori che, per fortuna, hanno capito che occorre formarsi e puntare sulla qualità delle proposte”.
Foto enrico e pietro
In primo piano Enrico e (in piedi) Pietro Memoli
Tra i segmenti professionali più attenti a percepire - soprattutto in questo momento particolarmente delicato per le mutevoli prospettive di aggregazione di spazi di mercato - le reali esigenze delle aziende (con un’attenzione sempre più specifica per quelle piccole, anzi piccolissime, oltre che medie e anche grandi), rientra, naturalmente, quello pubblicitario e, più in generale, quello che si può definire relazionale dal punto di vista commerciale, o, più in generale, promozionale e comunicativo. Tra le agenzie che operano in questo ambito di servizi per le imprese - un’area abbastanza ampia ed anche particolarmente confusa - nel panorama salernitano ha da tempo conquistato uno solido spazio la “Mediamo”, che, fin dalla nascita, si è avvalsa dell’esperienza di Enrico Memoli, che ha, poi, aggregato non pochi giovani, basandosi sul criterio della selezione incentrata sul parametro non sempre (quasi mai) tenuto in considerazione della formazione professionale valorizzata dalle competenze (studiate e sperimentate attraverso percorsi di studio), oltre che dalla passione personale che, in fondo, si rivela (quasi) sempre l’elemento vincente.
I principi di riferimento di “Mediamo” sono, in realtà pochi perché “nel corso del tempo - spiega Memoli a salernoeconomy.it - anche in questo mestiere, come in tutti gli altri, conta il principio dell’onestà intellettuale, oltre che del rispetto dello sforzo economico che il cliente mette in campo, soprattutto in momenti difficili come quello che stiamo attraversando”. La necessità di fare fronte ad una crisi rafforzata dal restringimento delle risorse un tempo disponibili, rivela la cautela di commercianti ed imprenditori rispetto ad investimenti che, in realtà, si confermano strategici.
E' del tutto chiaro che la pubblicità sia (e resti) l’anima del commercio, è una costante espansiva dei cicli economici, soprattutto in un arco di tempo che deve fare i conti non solo con i riflessi (diretti e indiretti) degli eventi bellici (una guerra che continua e non sembra arrestarsi), ma anche con le conseguenze dell’inflazione che permane a livelli allarmanti, a dispetto di richiami e spiegazioni che tendono a considerarla, al più presto, in discesa (ma, intanto, così non è).
(continua)
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