GLOCAL di Ernesto Pappalardo »
Alla fine, il conto è di 100 miliardi di euro. E’ questo il costo degli interessi sul debito pubblico che l’Italia si accinge a pagare nei prossimi anni, così come segnala il Def (Documento di economia e finanza) approvato dal Consiglio dei Ministri. Ma andiamo con ordine e ricapitoliamo – anno per anno – le cifre spese o da spendere (per gli interessi): nel 2022, 84 miliardi di euro; nel 2023, 74,67 miliardi; nel 2024, 86,21 mld; nel 2025, 91,28 mld e nel 2026, appunto, oltre 100 miliardi di euro. Il ciclo in progressione è esattamente questo che appare concatenato.
Altri numeri per comprendere bene il “processo di formazione” del nostro debito pubblico. Si tratta di un aggregato che si è avviato a prendere particolare consistenza tra l’inizio degli anni ’80 e la prima metà degli anni ’90. In particolare si passò dal 57,7% sul Pil nel 1980 al 124,3% nel ’94 (da quel momento fu definito “spesa per interessi sul debito pubblico”) e si mantenne più consistente rispetto a quella degli altri Paesi europei. La spesa per interessi risultò in netta crescita e si aggregò dall’8% del Pil (1984) all’11,4%, il livello più consistente rispetto al resto d’Europa.
Deficit e debito della Pubblica Amministrazione, in rapporto al Prodotto interno lordo, sono destinati a incamminarsi verso una riduzione progressiva, ma attraverso – appare chiaro – un processo estremamente costoso dal punto di vista della spesa. Basta dare uno sguardo alle percentuali e agli obiettivi di indebitamento netto che il Governo individua in rapporto al Pil: 4,5% nel 2023; 3,7% nel 2024; 3,0% nel 2025 e 2,5% nel 2026. Vedremo cosa accadrà entro la fine di questo mese di aprile, quando il Def, prima di andare in Europa, dovrà convincere il Parlamento.
Nel complesso, va ricordato che la consistenza del debito pubblico italiano (febbraio 2023) – con tanto di record – è aumentata di 21,6 miliardi di euro rispetto al mese precedente, “toccando quota 2.772 miliardi”. La Banca d’Italia ha spiegato che l’incremento “è dovuto al fabbisogno (12,9 miliardi) e alla crescita delle disponibilità liquide del Tesoro”. Come pure, ha inciso “l’effetto complessivo di scarti e premi all’emissione e al rimborso della rivalutazione dei titoli indicizzati all’inflazione e della variazione dei tassi di cambio (0,1 miliardi)”.
Ed è da segnalare che “il debito delle amministrazioni centrali è aumentato di 21,6 miliardi, mentre quello delle amministrazioni locali e quello degli enti di previdenza è rimasto pressoché invariato”.
Progressioni