Occorre interrogarsi sulle origini del fenomeno e soffermarsi sulle responsabilità dei partiti al governo fino al 4 marzo.
Se prevale il “rancorismo”
Nell’ambito della “rivoluzione” dei meccanismi di rappresentazione del conflitto politico (ed istituzionale) alla quale stiamo assistendo, è evidente che questa “categoria” mediatica ha assunto le caratteristiche di valore-notizia predominante.

Captazione del consenso
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La prima esperienza nazionale di offerta formativa terziaria professionalizzante.
La “ricetta” Its? Salerno in ritardo
In Campania attivati 9 Istituti Tecnici Superiori, ma nella nostra provincia al momento non risulta censito alcun percorso di questo genere (secondo il più recente monitoraggio Miur-Indire).

Nuove frontiere
di Ernesto Pappalardo
Tutte le analisi convergono su un dato: il mercato del lavoro provinciale (specchio fedele di quanto accade in Campania ed in larghissima parte del Mezzogiorno) sconta il mancato incrocio tra domanda ed offerta di profili professionali. In altre parole, al di là delle dinamiche strutturali dei singoli settori produttivi, anche quando le imprese si muovono alla ricerca di nuovi addetti, molto spesso non riescono facilmente a rintracciare le competenze necessarie ad implementare la propria pianta organica. Le previsioni più recenti di Unioncamere evidenziano che nei prossimi 5 anni (2019-2023) ad alimentare i contratti di lavoro saranno “la rivoluzione digitale (big data, intelligenza artificiale, internet of things) e la domanda di ecosostenibilità”. E’ chiaro, quindi, come diventi indispensabile per i singoli territori “attrezzarsi” dal punto di vista delle “filiere” formative innovative per orientare l’offerta.
Lo strumento, sperimentato con successo in molte aree d’Italia, è stato individuato già nel 2010. Gli Istituti Tecnici Superiori (Its) si configurano come la prima esperienza italiana di offerta formativa terziaria professionalizzante. In Campania ne sono stati attivati 9 (il numero più alto dopo la Lombardia), ma in provincia di Salerno - secondo il monitoraggio della Banca Dati Nazionale Its, settembre 2018) - al momento non è ancora stato censito alcun percorso di questo genere.
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Le elaborazioni InfoCamere su dati del Registro Imprese-Accredia pubblicate a dicembre 2017.
Imprese bio, valore aggiunto per il territorio
Per numero complessivo la provincia di Salerno è quella più densamente “popolata” in Campania da aziende “green” certificate.

Giacimenti naturali
di Ernesto Pappalardo
In provincia di Salerno operano 1.054 imprese biologiche che hanno ottenuto la relativa certificazione. Per numero complessivo la provincia di Salerno - elaborazioni InfoCamere su dati Registro Imprese-Accredia (settembre 2018) - è quella più densamente “popolata” in Campania da questa tipologia di aziende. Seguono le province di Benevento (839); Avellino (797); Caserta (532) e Napoli (305, ultimo posto nella graduatoria nazionale). Se, invece, prendiamo in considerazione l’incidenza su ogni 10.000 imprese iscritte ai registri camerali, il Salernitano (87) si colloca alle spalle del Sannio (235) e dell’Irpinia (178), ma precede il Casertano (57) ed il Napoletano (10).
Da un punto di vista generale si può affermare che l’agricoltura biologica “sfrutta la naturale fertilità del suolo con lo scopo di rispettarla e favorirla ricorrendo a interventi limitati” (nota Unioncamere, 27 dicembre 2018). Sulla base di questi elementi, è evidente che la diffusione della cultura del biologico tra le imprese rappresenta un fattore di crescita che va ben oltre la filiera dell’agro-alimentare in termini di opportunità sul versante della creazione di valore aggiunto complessivo che è possibile generare in provincia di Salerno.
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Ripresa delle vendite nei canali tradizionali e forte crescita degli acquisti diretti presso gli agricoltori.
La “svolta” salutista spinge i consumi di frutta e verdura
Coldiretti: “Nel 2018 quasi 9 miliardi di chili nel carrello, in aumento del 3% rispetto all’anno precedente”. E’ il record degli ultimi vent’anni.

Benessere
(Fonte: coldiretti.it/ 12.01.2019)
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I risultati della ricerca che il Censis ha realizzato per il Ministero dello Sviluppo Economico.
Lotta alla contraffazione e cultura della legalità
Il mercato del falso genera 100mila occupati in meno e sottrae risorse al fisco per 1,7 miliardi di euro. Nell'ultimo anno effettuati più di 13mila sequestri e ritirati dalla vendita 31,7 milioni di articoli “fake”. Ma occorre incentivare il coinvolgimento dei cittadini.

Giuliano D'Antonio
A leggere con attenzione alcune analisi che delineano il profilo e le abitudini di acquisto degli italiani occorre prendere atto che siamo in presenza di una serie di carenze molto gravi in materia di cultura della legalità. Non è certamente un dato nuovo, si dirà. E, purtroppo, è esattamente così. Ma di fronte all’entità dei numeri di alcuni fenomeni si resta davvero sorpresi. Una conferma di questo stato effettivo delle cose giunge da una ricerca che il Censis ha realizzato per il Ministero dello Sviluppo Economico (Direzione Generale Lotta alla contraffazione-UIBM) e resa nota lo scorso mese di dicembre.
“Nel 2017 - scrive il Censis in una nota di sintesi - gli italiani hanno speso 7,2 miliardi di euro per acquistare prodotti contraffatti: un valore in crescita del 3,4% rispetto al 2015”. Ma il ragionamento evidenzia ancora meglio la criticità della situazione se si prova a considerare il dato della produzione interna se non esistesse il fenomeno della contraffazione. In questo caso “la produzione interna registrerebbe un incremento di 19,4 miliardi di euro, con un valore aggiunto di 7 miliardi (un valore quasi uguale, ad esempio, a quello generato dall'intera industria metallurgica).
*Presidente Fonmed (Fondazione Sud per la Cooperazione e lo Sviluppo del Mediterraneo)
(Fonte: censis.it/ 19.12.2018)
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