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SALERNITANS. Due esempi di anti-sciatteria

di  Alfonso Schiavino

Il Mibact (Ministero dei beni culturali) ha pubblicato un sito web che “racconta le architetture italiane” contemporanee, con “oltre 100 opere rappresentative” realizzate fin dal secondo dopoguerra. L’iniziativa ha un certo interesse, anche se gli autori definiscono “Atlante” quello che è piuttosto un insieme di fotografie, forse discutibili per la qualità e la selezione. Se avete voglia di visitare il sito (linkato in fondo all’articolo), vi farete un’idea anche sulla struttura ipertestuale e sull’aria che vi si respira.

Ora un osservatore profano potrebbe ricavarne l’impressione che la progettazione delle grandi firme italiane (quelle che oggi chiameremmo archistar) sia stata una fredda ostentazione del cemento armato, talvolta addolcita da una soluzione artistica, in funzione del budget e del committente. Fra le eccezioni “positive” c’è un edificio del centro storico salernitano, unico rappresentante della nostra città. Fra poco vedremo.

Mentre ci pensate un po’, ne approfittiamo per ricordare altri due casi ambientati sul territorio urbano. La chiesa della Sacra Famiglia a Fratte è un’opera firmata da Portoghesi negli anni Settanta.

Ancor prima, sul finire dei Cinquanta, Zevi ideò il complesso di palazzine basse (senza ascensori) schierate a “Ciampa di cavallo”. Questo, infatti, è il nome popolare del rione orientale. Fra parentesi, i luoghi appaiono oggi come una perfetta dimostrazione della vecchia sciatteria urbanistica comunale: un’opera singolare è stata “asfissiata” da anonimi palazzoni e convive con qualche testimonianza di ambiente rurale.

Ma torniamo al punto.

Il sito del Mibact presenta una sola realizzazione salernitana. È il museo archeologico provinciale, ospitato negli spazi alto-medievali del convento benedettino. Fra il 1956 e il 1964 gli ambienti destinati a museo dovettero essere restaurati. Il progettista De Felice utilizzò agili elementi metallici per sostenere le strutture portanti ormai inaffidabili. Ne derivò – spiegano le note illustrative – una bella “operazione di «ingegneria visiva»”. Il lavoro rappresenta “uno degli episodi più significativi della storia del restauro e della museografia italiana del Novecento, tanto da meritarsi il Premio Nazionale In/Arch del 1966. De Felice vi sperimentò una progettazione innovativa che metteva in mostra le contraddizioni diacroniche e strutturali tra l’antico e il moderno, così da realizzare una sintesi (…) ricca di novità inventive e aderente alle correnti culturali contemporanee”.

Che ne dite? Vale la pena di farci una capatina? Sappiate allora che la domenica c’è un richiamo ulteriore. Fino al prossimo 5 maggio, alle 11 del mattino, potrete ascoltare una lettura critica della “Commedia” dantesca. L’autore è Rino Mele, uno dei rari veri intellettuali salernitani.

Il sito sull’architettura italiana contemporanea

La pagina del Museo archeologico provinciale

 


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