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Il primo best-seller di gastronomia italiana uscì nel 1891 a firma di Pellegrino Artusi.
Ricettari del Sud, l’arte di mangiare (bene)
Una guida ante-litteram che descrive le tipicità salernitane è di Vincenzo Corrado: la cultura agricola e pastorale viene passata in rassegna con tutte le produzioni alimentari di cui vengono segnalate le eccellenze (1792 ).

di Maristella Di Martino

I ricettari del Sud o, potremmo dire, la tradizione storica a tavola che diventa arte. Se ci chiediamo da dove vengono le ricette che prepariamo ogni giorno con orgoglio, eccovi servita la risposta. Tra Settecento e Ottocento esistono davvero pochi libri di cui i grandi cuochi possono servirsi per avere qualche dritta quando si sacrificano ai fornelli per i nobili che li assoldano per cui tutti i procedimenti, gli ingredienti e le tecniche di taglio, conservazione e cottura degli alimenti sono sempre legati alla perizia e alla fantasia dei monzù. Questi cuochi arrivati dalla Francia alla corte dei Borbone portano con sé un patrimonio di saperi che difficilmente sarebbe stato replicabile anche qui da noi se non ci fossero stati i loro testi che, più che ricettari, vanno definiti canovacci gastronomici. Nei loro manoscritti vengono solo accennati procedimenti e indicati ingredienti alcuni dei quali ormai introvabili ma il bagaglio culturale che contengono è superlativo.

Gli antichi ricettari del Sud.

Ma cominciamo a fare nomi e cognomi. Il primo best-seller di gastronomia italiana è “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” uscito nel 1891 a firma di Pellegrino Artusi ma ancor prima, nel Seicento e precisamente ne 1692, il riferimento è solo “Lo scalco alla moderna, o vero l’arte di ben disporre i conviti” di Antonio Latini. Molti decenni dopo troviamo, operante a Napoli, il frate celestino Vincenzo Corrado (1736-1836), cuoco-gastronomo-letterato autore de “Il cuoco galante” (alla cui prima versione del 1773 seguono altre sette fino al 1857),“Il Credenziere di buon gusto” (del 1778 ma poi più volte ristampato con l’aggiunta di due trattati storici sulla cioccolata e il caffè nell’edizione 1820), “Il cibo pitagorico, ovvero erbaceo per uso dei nobili e dei letterati” (1781). Tutte e tre queste edizioni sono stampate a Napoli con una dizione curiosa nei frontespizi: si legge “opera meccanica” per sottolineare che si parla di cultura materiale, lavoro e produzioni e non filosofia”.

La prima guida dei prodotti tipici di Salerno.

Una guida ante-litteram su prodotti tipici è sempre a firma di Vincenzo Corrado: la cultura agricola e pastorale viene passata in rassegna con tutte le produzioni alimentari di cui vengono segnalate le eccellenze ed il titolo è “Notiziario delle particolari produzioni delle province del regno di Napoli” (1792 ). Agrumi e sanginella di Giovi, riso di Fuorni, vino “santa spina” di Giffoni, triglie di Vietri sul Mare, pasta di Amalfi e carrube di Minori, erbe medicinali e aromatiche di Capo d’Orso e ricotte vaccine di Tramonti e Lettere, castagne di Scala e patate di Cava de’ Tirreni, gamberi e capitoni del fiume Sarno sono solo alcune delle produzioni della provincia di Salerno a cui si fa riferimento insieme ai polli capponi di Nocera, a mirto, alloro, rose selvatiche e gelsomini di Capaccio, i cinghiali di Campolongo, i latticini della piana del Sele, i caciocavalli e i salami di Policastro Bussentino e le pernici di Casaletto.

 

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