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Lo speciale 1 »

Sempre più orientati allo sviluppo, guidati dai valori della fiducia e della collaborazione.
Politica economica, ora è il momento
Nel breve periodo, per tutta la durata dell’emergenza sanitaria, bisogna mettere in tasca alle famiglie il denaro per vivere. Siamo già vicini alla recessione e sarà necessario evitare la depressione.

di Virgilio Gay*

Per troppo tempo la politica ha abdicato alla propria funzione di essere guida del mondo, lasciando all’economia il timone della nave Terra e alla sua mano invisibile la tenuta della rotta. Per dirla con Kierkegaard siamo finiti nel paradosso: “la nave è ormai in preda al cuoco di bordo e ciò che trasmette al microfono del comandante non è più la rotta, ma ciò che mangeremo domani”. Solo che bisogna immettere subito liquidità nel sistema, per potere continuare a mangiare. Anche se non basterà la sola politica monetaria. Serve un progetto comune di politica economica e non più di economia politica. Nel breve periodo, per tutta la durata dell’emergenza sanitaria, bisogna mettere in tasca alle famiglie il denaro per vivere. Siamo già in procinto della recessione e sarà necessario evitare la depressione. Per la parola denaro la lingua ebraica usa il termine damim, che trova la sua radice in dam, cioè sangue. In effetti, il valore (vitale) del denaro, come per il sangue, consiste nella sua capacità di circolare nel modo giusto. Infatti, come ha sostenuto Ben Bernanke l’errore della Fed all’epoca della Grande Depressione sarebbe stato proprio quello di non inondare il mercato di dollari freschi di stampa.

Al contempo, bisogna elaborare una politica di sviluppo comune, perché l’interconnessione globale rende sistemica ogni lacerazione del tessuto economico. Così il problema diventa, come sempre, un problema di governance. In ambito locale come in ambito globale.

Nei territori si dovranno tessere relazioni orizzontali di filiera interconnessa, integrando l’offerta per trasformarla in prodotto, brandizzandola per aumentarne il valore percepito dal mercato e per poterlo ridistribuire localmente.

Su scala globale il G20 non ha struttura e contesto utile per il numero delle voci in campo e la difficoltà, oggettiva, di giungere a negoziati operativi. Mentre l’attuale compagine del G7 non corrisponde più al summit degli attori economici (e militari) del mondo. A questo tavolo bisogna creare lo spazio per Cina, Russia e una rappresentanza degli emergenti. Per fare ciò l’Europa dovrebbe presentarsi unitariamente. La sfida attuale ne potrà favorire l’integrazione, o necessariamente ne accelererà la disgregazione. Finora, più che come communitas, essa si è caratterizzata come societas, tenuta insieme da parziali interessi convergenti. Non c’è più tempo per infingimenti, né per temporeggiamenti. Serve finanziare la ripresa con indebitamento comunitario a lungo termine, per orientare riconversioni necessarie e nuovi modelli di fruizione dei servizi. Servono alleanze globali.

In effetti, l’insegnamento dell’attuale crisi sanitaria può sintetizzarsi nella consapevolezza che a problemi globali servono soluzioni sistemiche; a problemi complessi servono visioni prospettiche molteplici. La sintesi può essere soltanto una politica orientata allo sviluppo, guidata dai valori della fiducia e della collaborazione.

*Esperto di marketing territoriale

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Soldi per vivere
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