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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

Si infiamma la polemica politica, ma non si intravedono programmi e strategie concreti.
Per “uscire” dalla crisi? Una Regione “intelligente”
Partiti e candidati alle prese con le “demagogie” e le strumentalizzazioni in vista del voto. Mancano idee chiare e condivise per rimettere in moto l’economia della Campania.

Diventa sempre più evidente la forbice tra i problemi reali e l’approccio che gli schieramenti in campo per le elezioni regionali riservano alle varie emergenze attraverso le quali naviga da troppo tempo la Campania. Perché la Campania – al di là dei racconti strumentali che i candidati alla carica di governatore per il prossimo quinquennio si sforzano di proporre ad uso e consumo del circuito mediatico – nell’arco della legislatura regionale che si aprirà a partire dal 1° giugno si troverà di fronte ad un bivio: da un lato il dilagare della deriva (peraltro già difficilmente colmabile) rispetto alle dinamiche virtuose dell’economia di standard europeo; dall’altro il recupero di livelli di competitività accettabili per non accumulare ulteriori ritardi di crescita. Che cosa significa? Significa che nessuna delle forze politiche probabilmente destinate a prendere in mano le redini di questa regione ha la piena consapevolezza della difficoltà di una partita che dovrebbe fare tremare i polsi, piuttosto che alimentare un vortice di proclami e di polemiche che non giova realmente a nessuno.
Il vero nodo da sciogliere – come ha ripetuto in diversi circostanze il prof. Gianfranco Viesti – non è soltanto il ritorno alle buone pratiche amministrative (o la loro implementazione nei casi in cui già sono in atto): questo è un principio scontato e propedeutico ad ogni ipotesi di vera ripartenza economica. Ma anche quello che appare scontato – si dirà – in Campania e al Sud più in generale così scontato non è. Vero. Ma non è che la politica economica di una regione come la Campania si possa ridurre – va detto con forza – soltanto alla predicazione di una buona amministrazione: non basta affatto. In altre parole, il passaggio cruciale (copyright sempre del prof. Viesti) non è solo spazzare le macerie della crisi che, in ogni caso, da queste parti non appare così superata (come ci tengono insistentemente, invece, a spiegare da Roma). L’unica e cruciale partita è un’altra che non pare proprio all’ordine del giorno – oltre gli strombazzamenti propagandistici e demagogici senza alcun rispetto del livello medio di intelligenza della platea degli elettori – inseriti nelle piattaforme programmatiche dei partiti e dei candidati.
Di quale partita si tratta? Semplice semplice: elaborare un’idea chiara e precisa (condivisa e non calata dall’alto) di che cosa deve diventare questa Regione in termini di operatività del suo apparato organizzativo ed operativo. E’ indispensabile pensare a come promuovere e sostenere le imprese che funzionano, gli imprenditori che intendono investire perché hanno tra le mani un business competitivo, i Comuni consapevoli di dovere fare rete tra di loro (dal basso) per captare risorse in virtù di progetti che insistono su vocazioni reali (ambiente, turismo, beni culturali, per esempio) e non campate in aria. Insomma, senza un’idea di Regione “intelligente” – che guarda alla creazione di ricchezza effettiva per i propri abitanti attraverso l’attivazione di nuovo e vero lavoro – non si va da nessuna parte.
Ma non bisogna inventare niente di niente. Questa è la verità che rende ancora più incomprensibile il modo di porsi della politica nostrana. Veneto, Lombardia, Piemonte, Toscana, Emilia Romagna offrono numerosi esempi concreti di come una Regione può trasformarsi in prezioso ed ineludibile riferimento per le dinamiche di sviluppo dei sistemi economici e produttivi (glo)locali. Dalla capacità di spendere i fondi europei senza sprechi e con una visione strategica agganciata alle realtà specifiche delle singole aree territoriali (e nei tempi giusti) all’effettivo sostegno anche finanziario alle imprese che vogliono investire; fino all’”intelligente” (è questa ovviamente la parola-chiave fondamentale) utilizzo di risorse per il recupero di aziende con piani industriali convincenti, ma in momentanea difficoltà. Per non parlare delle politiche di promozione turistica messe in atto dalle Regioni sopra citate che (con giacimenti naturali e culturali ben al di sotto della dotazione campana) stanno facendo la differenza in termini di flussi di visitatori mai avvistati al Sud perché sapientemente “catturati” nel Centro-Nord. E l’elenco potrebbe continuare a lungo. Insomma, non c’è veramente da inventare nulla.
Che cosa manca? La qualità di quella che un tempo si definiva (o auto-definiva) classe dirigente. Tutti si candidano a fare tutto. E la politica resta il rifugio, nella stragrande maggioranza dei casi, di chi non è in possesso di un preciso profilo lavorativo o professionale. Questa è la verità. Se i partiti non riscoprono in fretta una modalità di selezione più seria di quella ispirata ai criteri dell’appartenenza e del servilismo utilitaristico che ha preso maggiormente il sopravvento – come è naturale che accada – dove il bisogno economico è più forte, continueremo ad attendere l’uomo della Provvidenza o a seguire le leadership “carismatiche” con tutto quello che ne consegue. Nel bene (poco per la verità) e nel male (troppo, sempre per la verità).
ERNESTO PAPPALARDO direttore@salernoeconomy.it

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