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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

Dopo le primarie permangono i dubbi sulla capacità di ritrovare la piena unità dei democrat.
Pd, finirà mai la “guerra” tra territori?
Terminata la competizione per individuare il candidato governatore, si pone il problema di avviare un reale percorso di condivisione del progetto politico capace di aggregare in una visione di crescita tutte le aree della regione.

E’ stata una settimana infarcita di analisi e di commenti sul dopo-primarie del Pd. Si è scritto, per la verità, di tutto. Approfondimenti, dotte disquisizioni sotto il profilo giuridico per provare a capire bene che cosa accadrà in caso di vittoria di Vincenzo De Luca e via discorrendo. Eppure, si è letto poco o nulla – come prevedibile, per la verità – su alcuni temi che dovrebbero, invece, essere al centro di quello che un tempo si declamava come il “progetto politico” dei candidati in corsa. Perché la verità è che nell’era della meta/comunicazione disintermerdiata – e cioè della comunicazione della comunicazione che imperversa sui social network bypassando (nel bene e nel male) i “famosi” cancelli delle redazioni, con buona pace dei sempre più auto/referenziali e solitari giornalisti (o di quel che ne resta) – più che il racconto della realtà, conta la narrazione di tutto quello che è necessario per creare consenso. E, allora, prende forma un tipo di approccio ai problemi ed alle cose che si dovrebbero fare al servizio dei cittadini della Campania che è quasi totalmente orientato in base ad un registro “epico”, capace di evocare quelli che gli anglosassoni definiscono “animal spirits”. Parole come “guerra”, “lotta”, “vittoria”, “sconfitta” vengono trasportate nella dimensione “manichea” del “bene” e del “male”, dell’”amico” e del “nemico”. Insomma, non è più una sfida politica, ma una “battaglia per la vita”. Con quale risultato pratico? Prima di tutto il passaggio nel retrobottega della campagna elettorale di tutto quello che alimenta “eccessivo” dispendio di energie intellettuali. La discussione? Il contraddittorio? L’approfondimento? Per carità, comportano “rischi mediatici” e non producono “consenso”, ma “noia” nell’elettorato. E, poi, ogni candidato si sceglie le domande alle quali (non sempre) rispondere. Di conseguenza, via libera ad un tipo di relazione con i potenziali votanti a dir poco imbarazzante. Si comunica (?) per parole-chiave, slogan e – nei casi più importanti – per slides. Su che cosa, poi, si comunica si potrebbe aprire (in questo caso sul serio) un dibattito.
Ma questi aspetti sono solo una parte di quello che accade e che condiziona in maniera negativa il rapporto con la politica ed i politici di una larga fetta di cittadini in attesa da tempo di non essere considerati soltanto “target” di consumatori ai quali fare “acquistare” il “prodotto” (politico), perché si ritengono persone pensanti in grado di costruirsi un’idea precisa in ragione della quale esprimere il proprio voto.
La domanda, quindi, ora diventa un’altra. Ma si può provare ad uscire da questa sindrome della “guerra permanente” contro qualcuno o qualcosa? E’ davvero necessario alimentare sempre una falsa voglia di rivincita? Contro chi o che cosa? E’ possibile, cioè, ritornare ad un’idea mite della politica? Una politica che aggrega i territori e non li mette in contrapposizione sfidando le regole dell’economia in una regione che non ha proprio bisogno di municipalismi che sanno di “epica” addirittura omerica e non sono certo la faccia di un futuro che ha senso soltanto se valorizza in maniera inclusiva le specificità, le diversità, le tante identità produttive che fanno della Campania un giacimento di risorse che ha pochi competitor al mondo.
E’ questo il problema vero del Pd e dei democrat non solo salernitani. Ma ora il “gioco” deve necessariamente finire. Non ci sono più le condizioni per rimanere nella “logica” dei salernitani che “conquistano” Napoli. Come non c’è posto per la “logica” dei napoletani che si percepiscono come “conquistati” da Salerno. I prossimi cinque anni – chiunque siederà sulla poltrona di governatore – saranno forse gli ultimi per trascinare la Campania non solo in Italia, ma in Europa. Il rischio che si corre, pare di capire, è di impantanarsi in una battaglia (questa sì, senza virgolette) di retroguardia tra territori di una stessa regione. Uno scenario triste che ci riporta indietro alle guerre (senza virgolette) tra presunti ricchi (aree costiere e più demograficamente influenti sul voto) e veri poveri (aree interne). Forse è giunto il momento che – a cominciare dal linguaggio e dai messaggi sempre e comunque soltanto mediatici – si inizi a tessere la tela di un grande progetto politico ed istituzionale per ricostruire la Campania, senza stare a controllare il Dna territoriale dei suoi cittadini e delle sue imprese.
ERNESTO PAPPALARDO direttore@salernoeconomy.it

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