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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

La disintermediazione imposta dai social network ha cambiato il “viaggio” delle news.
Notizie, fatti e non fatti
La sfida quotidiana per tentare di distinguere le informazioni reali da quelle pre-fabbricate con l’obiettivo di captare consensi e profilare consumatori (ma anche elettori).

Tra le tante problematiche innescate dall’esito del voto del 4 marzo, vale la pena soffermarsi – anche – su quelle più strettamente legate alle dinamiche della comunicazione (e dell’informazione). E’ un aspetto che si è rivelato senza dubbio determinante fin dalla fase della formazione del consenso che è poi sfociato nell’esito delle elezioni. Si tratta di una tematica che pone molti interrogativi non solo agli utenti finali di quello che un tempo si definiva “viaggio della notizia”, ma (soprattutto?) a tutti gli attori che a vario a titolo interagiscono con la “filiera” dell’informazione, o, per  meglio dire, con i processi inerenti alla “fabbrica delle notizie”. Naturalmente, il punto di svolta è legato all’irruzione dei social network nella vita delle persone e, quindi, anche nella “vita” dei giornali e di tutte le varie tipologie di testate giornalistiche (e non giornalistiche, come molti blog, per esempio). Il processo di disintermediazione tra gli accadimenti – veri o presunti – ed il loro racconto al pubblico di riferimento da parte dei vari vettori mediatici, ha generato, tumultuosamente e senza alcun tipo di regolamentazione o auto-regolamentazione, una serie di meccanismi che producono ogni minuto informazioni senza alcuna verifica preventiva delle fonti.

Ovviamente si è complicato notevolmente il lavoro di tanta parte – quella più eticamente orientata al rispetto dei principi deontologici – del circuito giornalistico alle prese con la moltiplicazione delle notizie provenienti da percorsi – prevalentemente interni al web – che non consentono approfondimenti specifici o, almeno, non nell’ambito della tempistica accelerata relativa alla realizzazione di un prodotto quotidiano (per non parlare dell’on line permanente dei siti legati a testate giornalistiche o della radio e della televisione).

Ma questo è solo un aspetto del problema, quello più connesso all’inquinamento dell’artigianalità di un mestiere che resta, in ogni caso, incentrato sull’esigenza di verificare le notizie e sulla capacità di interagire con quelle fonti di natura fiduciaria che di fatto si basano sulla conquista da parte dei giornalisti di una relazione personale all’interno della quale è prevalente il riconoscimento di valori come la professionalità, la stima conquistata sul campo, la certezza della tutela della fonte e del rispetto del segreto professionale.

L’altro aspetto riguarda, invece, la disarticolazione del processo deontologicamente corretto di costruzione – in senso tecnico – di una notizia. La scientifica pianificazione di nuovi percorsi delle informazioni con l’obiettivo di spiazzare o, comunque, disorientare le diverse comunità giornalistiche attraverso varie tipologie di nuovi prodotti pre-confezionati – per esempio, il postare continuo di dichiarazioni, foto, video, slide etc etc etc – attraverso svariati percorsi digitali, ha prodotto un incremento esponenziale di quasi scoop o fatti del giorno che molto spesso travolgono le redazioni, scompaginando l’ordine tradizionale delle notizie e, quello che è peggio, generando momenti convulsi di confusione sull’effettiva importanza di un fatto o di un non fatto.

E, allora, diventa veramente difficile capire quanto dei contenuti immessi nei vari flussi dell’informazione e della comunicazione sia autentico e quanto sia, invece, pre-fabbricato ad arte per bypassare quello che resta del famoso cancello della redazione forse diventato un po’ troppo sguarnito.

La posta in gioco – questo è evidente – è molto alta. Influenzare la formazione dell’opinione vale per la politica come per l’economia e la finanza, ma vale anche per la grande macchina dei consumi. Le “narrazioni”, insomma, muovono i soldi e generano business giganteschi. Per non parlare delle “profilazioni” comprate e vendute e la privacy che diventa sempre più permeabile.

Forse, l’unica strada percorribile non è affatto nuova. In fondo, basta ricordarsi di una vecchia regola del mestiere giornalistico: quando arriva una notizia prima di tutto bisogna chiedersi a chi o a che cosa giova la sua diffusione. Insomma, non bisogna perdere mai di vista l’artigianalità della professione. Le relazioni – il patrimonio inestimabile delle fonti fiduciarie che sono il tesoro raccolto in una vita intera di lavoro da parte di un giornalista – contano molto di più delle interconnessioni. E il rispetto delle regole imposte dalla propria coscienza – la grande lezione di Enzo Biagi – conta molto di più di qualsiasi codice deontologico.

Ernesto Pappalardo

direttore@salernoeconomy.it

@PappalardoE

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