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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

Siamo di fronte a un modo di indirizzare il consenso che non punta più a convincere gli elettori in nome di una scelta partitica.
Non conta più la politica, ora (stra) vincono i leader
Gli schieramenti non sono esattamente quelli di cinque o dieci o venti anni fa, ma sembrano altre tipologie di strutture agganciate a un volto, a un personaggio (non più a una persona) che porta voti (ma pochi valori). Tutto è cambiato.

Tentare di descrivere quello che accade nello scenario politico interno – tra gli angusti confini di un quadro complessivo che ha accusato il duro colpo di una prolungata fase regressiva, di fatto arrivata alla vigilia del rinnovo del voto per il Parlamento europeo (scadenza quanto mai importante in questo periodo sovrastato dall’emergenza economica) – è molto complesso, difficile e, forse, per molti versi impossibile, a considerare bene l’improvvisazione degli attori in campo. Come scritto la settimana scorsa, la novità più attuale si ravvisa nella non del tutto prevedibile “resistenza” – non solo alla regressione economica sempre più affiorata in questi mesi – messa in campo non tanto dall’entità partito che si configura nel Pd, ma dalla stessa fetta di “popolo” (circa il 20 per cento) che in esso si riconosce, pur magari non ravvisando del tutto nella parte specifica quella più in grado di rappresentare quell’entità di popolazione che, pure, ritrova nel simbolo stesso del Pd le ragioni per schierarsi nella partita che si sta in questo momento giocando. Se da un lato, quindi, nell’alleanza di centrodestra viaggia da oltre un anno un numero, consistente, di elettori in vantaggio su tutto il resto degli schieramenti che si fronteggiano, con uni specifico partito (FdI) che traina e guida tutti gli altri, dall’altro abbiamo il Pd che, tra mille difficoltà, si prepara (se non accade null’altro di elettoralmente inspiegabile) a impersonare il ruolo di forza trainante della sinistra: termine che mai come in questo caso assume la valenza “variegata” di diverse coloriture politiche che – guardando con la prioritaria attenzione necessaria al contesto di numeri e percentuali, e più specificamente anche alle soglie necessarie per i più piccoli, particolarmente interessati a non disperdersi nel nulla – avvertono, nonostante se stessi, la necessità di rendersi conto che sono arrivati fino al confine della sopravvivenza vera e propria. Sì, perché le prossime elezioni europee potrebbero significare il limite (politico) di una scelta sostanziale, che assumerà con chiarezza il significato, in un certo senso, testamentario di una scelta che per molti anni (almeno cinque) apparirà irreversibile (per quanto valore possa mai assumere nella realtà attuale questa specifica terminologia, proprio nel momento della cangiabilità esistenziale, e figuriamoci, quindi, politica vera e propria). E il vero punto da provare a sottolineare è proprio questo: siamo di fronte, cioè, a un indirizzo del voto destinato a sostenere, o a contrastare, il tentativo di abbattere senza più troppe mediazioni tutte quelle impalcature politiche che ci hanno dominato, solo nell’ultima fase storica per circa  un ventennio, se non di più. La destra, ora, appare in grado di trovare una forte alleanza tra varie aggregazioni di schieramenti conservatori, forse ancora più a destra di quello che a noi appare in Italia: e vuole giocarsi, come è giusto che sia, la sua partita. Serve il moderatismo centrista (e conservatore) per rafforzare, ulteriormente, la destra italiana? Forse sarà propria quella la chiave giusta per scardinare il socialismo moderato e più volte “cangiante”, appunto, fino ad avviare una fase (davvero) nuova non solo tra i confini Ue veri e propri, ma un po’ in tante altre aree del mondo (vedi quanto accaduto in Argentina).

Ecco noi, in Italia, siamo proprio qui, a questo punto della vicenda che è, è bene ricordarlo, di particolare importanza. Va ricordato, però, che proprio adesso i partiti non sono esattamente quelli di cinque o dieci o venti anni fa, ma sembrano – lo dicono in tanti in queste giornate così lontane da quello che è stata la politica italiana per decenni interi – altre tipologie di strutture, forse neanche politiche ma soltanto leaderistiche, agganciate, cioè, a un volto, a un personaggio (non a una persona) che porta voti (pochi valori), spesso lontani dalla stessa “ideologia” (e le virgolette sono necessarie) alla quale si è ispirato il partito al quale fa riferimento.

Vedremo quanto accadrà. Ma tutto è cambiato. Occorre rendersene conto. E anche in fretta.

Ernesto Pappalardo

direttore@salernoeconomy.it

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A caccia del consenso
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