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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

Josè Màrio dos Santos Félix nasce il 26 gennaio 1963 a Setùbal, piccolo centro portoghese vicino Lisbona.
Mourinho, il racconto che prende la forma della storia
Nel 2010 l’Inter porta a casa la Coppa Italia, vince lo scudetto e, soprattutto, conquista la Champions League.

La prima volta che vinse con il vestito da allenatore fu nel 1990. Con la squadra allievi del Vitoria Setùbal – contro il Racing Club de Paris – riuscì a portare a casa un prezioso 3-0 nella finale di Guyancourt (Versailles). Era l’inizio di una carriera che lo avrebbe visto diventare, subito dopo, assistente di João Alves e Jesualdo Ferreira (Estrela Amadora) e di Bobby Robson allo Sporting Lisbona (dove si occupava anche di fare l’interprete ed il preparatore dei portieri), allenatore che lo tenne accanto come vice al Porto e al Barcellona.

Josè Màrio dos Santos Félix Mourinho nasce il 26 gennaio 1963, naturalmente a  Setùbal, piccolo centro portoghese vicino Lisbona. Gioca a calcio per poco tempo, con risultati non esaltanti: nel 1987 si ritira e decide di lavorare. Sceglie di fare il professore di educazione fisica nelle scuole medie. Dopo la collaborazione con il padre (che fa l’allenatore) – segue le squadre avversarie, analizza schemi e tattiche – si iscrive al corso per ottenere il patentino Uefa. Nella sua mente si erano già ben profilati miti e riferimenti importanti: l’allenatore ungherese Béla Guttmann (che negli anni ’60 conquista sulla panchina del Benfica ben due Coppe dei Campioni), Helenio Herrera, sono i riferimenti centrali nella mente di Mourinho per mettere a punto una strategia chiara e precisa, che puntava in alto, molto in alto.

Svolge un percorso lungo e molto articolato al seguito di allenatori di primaria importanza che lo scelgono come assistente: Sir Bobby Robson e Louis Van Gaal (Barcellona). Quando transita al Benfica e riesce ad arrivare al Porto (gennaio 2002) – che può considerarsi il vero esordio della sua carriera di mister – deve fare i conti con un campionato molto difficile e con una squadra che ha bisogno di un tecnico a tutti gli effetti. Raccoglie la fiducia e la stima di tutti e riesce a qualificarsi anche per la successiva Champions League. Da allenatore del Porto vince la Coppa Uefa e anche, ovviamente, la Champions League, alla quale non riusciva a credere davvero nessuno. Contro il Manchester United è una rete a tempo scaduto di Costinha (all’Old Trafford) che gli consente di battere gli inglesi al ritorno degli ottavi: 9 marzo 2004. E’ questa la fase più mitologica che porta Mourinho a diventare subito, immediatamente, lo Special One più osannato del calcio europeo e contemporaneo. Il Porto, che vince in finale proprio quella Champions League, entra a tutti gli effetti nella storia del calcio e Mourinho si consegna agli archivi del football, senza avere per niente voglia di fermarsi.

Si trasferisce – nel 2004 – al Chelsea e in una conferenza stampa, che apre un ulteriore ciclo di profezie e di propagazione dei messaggi del mister (che si trasforma in oracolo), sceglie che è giunto il momento di proclamarsi come Special One. Inutile dire che con il Chelsea si aggiudica la Premier League al primo colpo. La difesa di ferro di herreriana memoria incassa solo 15 reti in 38 partite.

Ma Mourinho non ha finito di stupire il mondo del calcio, dopo l’Inghilterra si profila l’Inter a partire dal 2008. In poco tempo i nerazzurri, che già avevano portato a casa importanti vittorie, recepiscono la variabilità degli schemi dettati da Mourinho: un gioco semplice, quasi rozzo, ma capace di sorprendere e paralizzare gli avversari con la classe estrema di una filiera di giocatori di altissimo livello. Restano infisse le stelle di Zanetti, Stankovic, Materazzi, Milito e tanti altri che segnano la storia del calcio in un flusso di continuità con la grande magia delle Coppe europee degli anni ’60. E nel 2010 l’Inter porta a casa la Coppa Italia, vince lo scudetto e, soprattutto, conquista la Champions League. Restano nella mente e nel cuore dei tifosi nerazzurri le sfide (vinte) con il Chelsea (ottavi di finale), con il Barcellona guidato da Guardiola e con Messi in campo, fino ad arrivare alla finale contro il Bayern che si trova costretto dalla superiorità tattica e fisica a constatare che il principe Diego Milito deve mettere in rete due palloni che esaltano tutta la squadra.

Per Mourinho non può esserci un trionfo più adeguato a una carriera dorata. Da questo contesto scaturisce la conquista del Triplete. Ma è giunto il momento di prendere ancora il volo: Mourinho dice addio all’Inter e proprio nella notte di Madrid saluta tutti, l’abbraccio a Marco Materazzi significa anche questo e molto altro.

Il grande sogno è finito. La storia ci metterà del tempo a scoprire che, in fondo, si può provare a continuare. Come sta accadendo nelle giornate più recenti di mister Inzaghi.

Ernesto Pappalardo

direttore@salernoeconomy.it

 

Roma's coach Jose Mourinho from Portugal (L) hugs Inter Milan's coach Simone Inzaghi from Italy ahead of the Italian Serie A football match between Inter Milan and AS Roma at San Siro stadium in Milan on April 23, 2022. (Photo by MARCO BERTORELLO / AFP) (Photo by MARCO BERTORELLO/AFP via Getty Images)
Passato (?) e presente.
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