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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

La vista corta della politica (ma non solo) condiziona le prospettive di crescita dei territori del Mezzogiorno.
Modelli di sviluppo e futuro perduto
Se non si prende consapevolezza anche in termini di appostamento delle risorse (non solo di origine Ue) della nascita di nuove e vincenti filiere produttive, perderemo ancora terreno rispetto ai primi della classe e ne pagheremo le conseguenze in termini di qualità della vita e di opportunità occupazionali.

Si parla poco di futuro. Non è soltanto un problema della politica – appiattita nel vortice sempre più deleterio della dimensione mediatica di quello che resta della sua identità costitutiva – ma di quasi tutte le componenti della società (un tempo definita “civile”). La verità è che nello scollamento più totale tra attese/aspettative della popolazione e risposte effettive della Pubblica Amministrazione da tempo si è insinuato il disincanto per ogni disegno di più lungo respiro, per ogni visione che provi ad immaginare la realizzazione di un’idea, di un progetto in un arco di tempo di due/tre o più anni. Naturalmente è questa la conseguenza delle decine di migliaia di bugie che i governi nazionali e locali hanno beffardamente raccontato per anni (e continuano, è ovvio, a raccontare) ai cittadini. Ma soprattutto quando si riflette sui modelli di sviluppo di un territorio non si può rinunciare a descrivere il paradigma di programmi che non possono/devono tenere conto di logiche eminentemente elettorali o clientelari, a tutela di rendite di posizione che hanno prodotto poche ricchezze ed estese povertà.

Che cosa – per entrare nel ragionamento che ci interessa più da vicino – diventeranno Salerno e la sua provincia, per esempio? O che cosa sono già diventate e, probabilmente, in tanti non se sono accorti, non solo sul versante pubblico, ma anche su quello privato? Siamo sicuri che il modello al quale si fa ancora riferimento sia sempre valido? Siamo, cioè, convinti che la classica ripartizione dei settori e delle filiere (agricoltura, industria, commercio/servizi/turismo, terziario avanzato eccetera eccetera) sia ancora quella che realmente innerva il territorio salernitano? E siamo certi che il futuro – per quanto ci riguarda già abbondantemente iniziato – sia in continuità con questa rappresentazione?

I numeri ci dicono che i nuovi spazi di crescita e le nuove opportunità di inserimento occupazionale – anche dal punto di vista dei profili specializzati e professionalmente collocabili nelle fasce alte delle piante organiche aziendali – sono nati e stanno nascendo in un ambito di riferimento innovativo. Un “terreno” sul quale si mescolano in particolare alcune tipologie di contaminazione: la sperimentazione di business che prendendo spunto dalla propria capacità produttiva principale sforano inevitabilmente in aree contigue o anche non tanto contigue. Si pensi, per fare un esempio “classico”, all’azienda agricola che si propone in ambito turistico/ricreativo o che diventa attività di ristorazione o che si trasforma in centro di formazione/sperimentazione professionale, arrivando perfino a brevettare sistemi di monitoraggio delle colture oggetto di attente analisi previsionali. In altre parole il salto da azienda agricola a centro di ricerca sperimentale che un tempo appariva arduo (se non impossibile) oggi è una realtà realizzabile e realizzata, fino a diventare emblema di quelle filiere asimmetriche descritte già da qualche anno dal Censis.

Come pure i numeri ci dicono che le imprese manifatturiere green ed export oriented sono ben presenti in provincia di Salerno e – in linea con quanto accade nel resto d’Italia – realizzano perfomance superiori a quelle che non investono in tecnologie a basso impatto ambientale.

Manca ancora, però, una più capillare diffusione della cultura della coesione, una maggiora apertura, cioè, all’interattività con le comunità ed i territori di riferimento. Ma non dipende soltanto dal mondo economico e produttivo. E’ un processo complesso che chiama in causa le filiere delle pubbliche amministrazioni che, è evidente, sono ben lontane (nella stragrande maggioranza dei casi) da un atteggiamento di apertura e di condivisione delle problematiche quotidiane (oltre che di medio e di lungo periodo) che le imprese (di ogni dimensione) si trovano ad affrontare con enorme dispendio (spreco) di risorse umane e finanziarie.

Il lavoro da fare per tentare di delineare un modello di sviluppo realmente in sintonia con quanto è già nato e sta nascendo spontaneamente dal basso è oltremodo difficile. Ma se non si prende consapevolezza – anche, è bene sottolinearlo, in termini di appostamento delle risorse (non solo di quelle di origine Ue) – che il futuro è già arrivato, perderemo ancora terreno rispetto ai primi della classe e ne pagheremo le conseguenze in termini di qualità della vita e di opportunità occupazionali (senza distinzioni di età e di professionalità).

Ernesto Pappalardo

direttore@salernoeconomy.it

@PappalardoE

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Prove tecniche di cambiamento dal basso
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