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(Micro) Glocal. Il cambiamento “light” di Zingaretti? Non può bastare al solito Pd rissoso ed inconcludente.

di Ernesto Pappalardo

La tentazione di credere ad una parvenza di ritrovata unità nel Pd si è infranta non appena il neo-segretario Nicola Zingaretti ha varato il primo provvedimento “strutturale” dal punto di vista politico/organizzativo. E’ bastato nominare la sua squadra – la sua squadra, non indicare ministri o sottosegretari – per scatenare la reazione dei renziani peraltro per niente distratti dalla vicenda Lotti-Csm. Insomma, il Pd è tornato immediatamente a fare il Pd, un partito, cioè, che si distingue sempre per una guerra interna permanente e particolarmente aggressiva. Una guerra che ha indotto una massiccia parte di suoi elettori a disamorarsi e a migrare altrove. A nulla, quindi, è servita la dieta massiccia di consensi di questi anni. L’ipotesi di una scissione da parte dei renziani orientata verso il centro e, soprattutto, verso il voto in uscita da Forza Italia si rafforza e si indebolisce in base all’avvicinarsi o all’allontanarsi delle urne. Salvo rientrare precipitosamente non si sa bene perché. La verità – sembra di capire – è che i margini per una ricomposizione di profondità – duratura e, soprattutto, in grado di generare una nuova stagione di programmi condivisi e di strategie non meramente finalizzate alla conquista del potere – sono davvero esigui. E’ del tutto chiaro che mentre si consuma l’ennesima rissa, militanti e potenziali elettori di ritorno hanno già ben compreso che senza un rinnovamento nei territori, piuttosto che nelle stanze romane, ogni tentativo di individuare e consolidare leadership radicate e di lungo respiro è destinato a fallire. Insomma, il cambiamento light e diplomatico che stava prendendo forma non poteva e non può bastare. E non è bastato.


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