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Troppo forti i sudamericani: superiori per qualità tecniche al punto di bucare la nostra rete con quattro gol.
Mexico ’70, il mitico Brasile che affondò gli azzurri
La stella di quelle giornate fu, naturalmente, Edson Arantes do Nascimento detto Pelé: il più grande di tutti i tempi. Quando l’Italia perse la finale del nona Coppa del Mondo - “Jules Rimet” - (21 giugno del 1970) vivevamo in un altro pianeta.

(Er.Pa.) – Per capire di quale tipo di calcio stiamo parlando, è importante tenere conto delle parole di Tarcisio Burgnich a proposito del colpo di testa di Pelè (18 minuti dall’inizio della finale del Mondiale di calcio Mexico ’70): “Pensavo fosse un essere umano. Salto e poi, quando la forza di gravità mi richiama a terra, lui è ancora lassù”. La stella di quelle giornate fu, naturalmente, Edson Arantes do Nascimento (Três Corações, 23 ottobre 1940-San Paolo, 29 dicembre 2022) detto Pelé: il più grande di tutti i tempi. E stiamo parlando della finale del nona Coppa del Mondo “Jules Rimet”, 21 giugno del 1970, stadio Azteca di Città del Messico: contro il Brasile, di un altro pianeta, l’Italia ne prese 4 (mettendo in rete un solo gol, quello di Boninsegna). Il primo tempo si rivelò abbastanza equilibrato, gli azzurri, in qualche modo, misero in rete il pareggio di Roberto Boninsegna dopo la rete del Brasile su colpo di testa di Pelé. Ma nel secondo tempo non ci fu nulla da fare: troppo forti i sudamericani: superiori per qualità tecniche al punto di bucare la nostra rete con altri tre gol. La Coppa Rimet fu una loro storia: vincitori per la terza volta.

“Togliamoci il cappello di fronte ai campioni brasiliani – scrisse con lucidità di lettura e acume tattico il grande Gianni Brera – e non recriminiamo più oltre. Più di questo, in effetti, non potevamo attenderci, ed è quindi doveroso ringraziare gli azzurri per quanto ci hanno regalato di emozioni e di soddisfazioni in campo internazionale. Certo non è che abbiano fatto una brillante figura. La parità del primo tempo torna loro molto onorevole, ma nel secondo si sono disfatti. Le crepe della squadra si sono rivelate appieno nella loro scarna evidenza”. Brera, poi, sintetizzava: “Il gol di Boninsegna è stato in verità prodotto del suo tempismo e del suo coraggio più che di un’azione che testimoniasse di una validità tecnica e tattica da parte degli italiani. Nel secondo tempo la situazione del centrocampo italiano si è ancor più aggravata. Non avveniva mai che un filtro purchessia venisse realizzato da De Sisti, Mazzola, Bertini e Domenghini. I brasiliani, palleggiatori sicuri, a volte anche deliziosi, sempre erano in condizione di portare l’attacco fino alla conclusione”.

Questa la più autentica ricostruzione dell’episodio calcistico vero e proprio, ma la finale messicana fu un evento straordinario che riportò l’Italia in un’epopea dove l’entusiasmo abbracciò quel mondo del calcio che, in realtà, da molto tempo, rimaneva abbracciato solo ai calciatori-idoli, ma non riusciva ad esprimere quasi nulla di nuovo. Eppure, quella formazione di Ferruccio Valcareggi, a sentire i nomi, fa ancora emozionare: Albertosi, Burgnich, Facchetti, M. Bertini (74’ Juliano), Rosato, Cera, Domenghini, A. Mazzola, Boninsegna (84’ Rivera), De Sisti, Riva. Dall’altra parte, in campo, c’erano i campioni brasiliani: Felix, Carlos Alberto, Everaldo, Clodoaldo, Piazza, Brito, Jairzinho, Gerson, Tostão, Pelé, Rivelino, (Ct M. Zagallo).

Ma di quel mondiale rimane bene impressa in mente non tanto la finale con il Brasile, ma un pezzo di storia del calcio e prima ancora del nostro Paese: “Che meravigliosa partita, ascoltatori italiani”, esclamò in diretta Nando Martellini dopo il gol del 4-3 di Gianni Rivera in Italia-Germania Ovest (stadio Azteca di Città del Messico, 17 giugno 1970). La  partita del secolo, la semifinale, che ancora vale la gioia del ricordo e ci fa amare sempre il calcio.

Ernesto Pappalardo

direttore@salernoeconomy.it

Primo gol Pelè Messico 1970 (Sky Sport)
Il primo gol di Pelé nella finale contro l'Italia
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