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Mario Grimaldi/Il tempo e la memoria. Pirandello, niente maschere per “l’uomo dal fiore in bocca”

Luigi Pirandello è stato, probabilmente, il più grande drammaturgo italiano di sempre. Premio Nobel per la letteratura nel 1934, nacque ad Agrigento il 28 giugno del 1867.  Durante la sua vita ha scritto molto racconti in italiano e anche nella lingua della sua terra, la magnifica Sicilia. Da tutta la critica internazionale è stato considerato  il drammaturgo che ha rivoluzionato il teatro  del XX secolo. A tutto ciò va aggiunto la sua immensa capacità di “leggere” l’essere umano nelle sue più profonde sfaccettature, scavando nei meandri nascosti dai volti, ossia delle maschere che ognuno porta. Pirandello analizza i costumi della società del suo tempo, ne scorge le ipocrisie, le speranze, le paure e le riporta fedelmente su foglio e chiunque legga non può fare a meno di esclamare:” è vero”. Certo, lui nello scrivere non può fare a meno di dare un taglio tragicomico perché, probabilmente, avverte che le miserie umane sono fugaci momenti legati ad un tempo che inesorabilmente scorre portando via ogni cosa.  Dal teatro siciliano con le opere come Pensaci Giacomino, Liolà, oppure con le opere successive come Cosi è (se vi pare), il berretto a sonagli, la giara, il piacere dell’onestà, la patente, il giuoco delle parti, sei personaggi in cerca d’autore, Enrico IV, l’uomo dal fiore in bocca e tante ancora, Pirandello si diverte a mescolare il “giuoco delle parte”, dove le maschere a volte cadono mettendo in luce la coscienza del proprio io. Come non rimanere soggiogati dal visionario dramma dei “sei personaggi in cerca d’autore” i quali hanno l’essere e non la ragion d’essere. Questa è un’opera ( forse la più famosa) in cui le tante le implicazioni sociologiche  portano gli spettatori ad avere le proprie chiavi di lettura. Si è scritto che l’autore abbia tentato di “abbattere la quarta parete” del teatro dove chi assiste si fonde tutt’uno con i “personaggi” dando loro “la ragion d’essere”.  Il mistero della morte  viene affrontato da Pirandello nell’Uomo dal fiore in bocca. Egli sa, come tutti, che la fine dei giorni arriva, ma ciò che non si conosce è quando, mentre nel dramma l’uomo dal fiore in bocca sa dei giorni prossimi alla fine. Il protagonista vive rincorrendo le emozioni del tempo, dei piccoli gesti, dei ricordi lontani, ricerca in ciò la forza di trascinarsi al “traguardo”. Egli, qui, abbandona ogni maschera cercando di essere solo sé stesso. In questo suo peregrinare vi è  la donna che lo ama. Lei, discreta, lo cerca tra un bar e una taverna e lui, commosso e attonito, ogni volta si nasconde. La fugge perché ella ha il volto disperato di chi non cede alla rassegnazione e ancora prega, lui, invece, cerca di esorcizzarla con ironia con un avventore del bar:  .. il primo cespuglio d’erba …ne conti i fili per me… Quanti fili saranno, tanti giorni ancora io vivrò. Ma lo scelga bello grosso, mi raccomando. È tremendo come Pirandello, in questo dramma, ci faccia togliere la maschera davanti alla brevità della vita. Il suo non è pessimismo ma chiaro realismo del tempo, del nostro tempo. “Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti”.


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