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Durante il Ventennio fascista era diffuso, da parte del regime, confinare i dissidenti e gli oppositori. In tale contesto oppressivo, nel 1938 arrivò sull’isola di Ventotene Eugenio Colorni, filosofo antifascista; al suo fianco vi era la sua bellissima moglie di origine tedesca, Ursula Hirschmann. Poco dopo arrivarono altri due confinati, Ernesto e Manlio Rossi. Durante il suo forzato soggiorno a Ventotene, Colorni lavorò, assieme a loro, attorno alla sua idea di Europa unita, una unione che avrebbe portato finalmente la pace. Nella tarda primavera del 1941 arrivarono sull’isola altri due confinati, il comunista Altiero Spinelli e il dirigente di Giustizia e Libertà Ernesto Rossi. Entrambi si avvicinarono alla famiglia Colorni (Spinelli di più) e con il filosofo passarono ore ed ore a discutere di come avrebbe potuto essere una Europa unita. Lo spirito kantiano e visionario di Colorni pose le basi del manifesto che vedeva nell’Europa unita la possibilità di eliminare le divisioni nazionali ed essere il veicolo trainante nella cooperazione dei popoli. La forma di governo possibile di questa agognata Unione poteva essere solo democratica e, quindi, rappresentativa e garante di ogni cittadino comunitario. Colorni era certo che questa unione federale avrebbe portato lunghi anni di pace e per lui, che aveva vissuto da bambino il dramma della prima guerra mondiale, subendo sulla pelle la seconda, era una necessità da raggiungere. Queste idee furono condivise, discusse ed ampliate assieme a Spinelli e Rossi che apportarono al progetto le forti idee antifasciste. Negli anni a cavallo tra la fine del 1941 al 1943 i tre, uno alla volta, lasciarono l’isola. Successivamente, il 27 agosto del 1943, a Milano Altiero Spinelli (raggiunto da Ursula Hirschmann) aveva dato vita al Movimento Federalista Europeo (è molte probabile che vi fosse anche Colorni). Nel 1944, a Roma, Eugenio Colorni riuscì a fare stampare clandestinamente alcune copie del Manifesto e a farlo circolare negli ambienti repubblicani. In quel periodo gli eventi erano incalzanti, gli anglo-americani risalivano lentamente l’Italia, la Repubblica di Salò, sotto il comando tedesco, cercava di frenare l’inevitabile fine. In un clima di terrore, diversi dissidenti ripararono in Svizzera, altri si diedero alla macchia, altri si misero a combattere per la liberazione. A questi ultimi si uniformò Eugenio Colorni portandosi presso la capitale, dove partecipò attivamente alla lotta insurrezionale partigiana, dando grande prova di valore. Il 28 maggio 1944, sempre a Roma, cadde sotto i colpi di pistola degli uomini della banda criminale Koch. Morì due giorni dopo, “ solo”. Morì anche per gli altri che avevano dato impulso alla sua visione. Morì, probabilmente, tenendo negli occhi il sogno della sua Europa. Nel 1946 gli è stata conferita, postuma, la medaglia d’oro al valor militare con questa motivazione: «Indomito assertore della libertà, confinato durante la dominazione fascista, evadeva audacemente dedicandosi quindi a rischiose attività cospirative. Durante la lotta antinazista, organizzato il centro militare del Partito Socialista Italiano, dirigeva animosamente partecipandovi, primo fra i primi, una intensa, continua e micidiale azione di guerriglia e di sabotaggio. Scoperto e circondato da nazisti li affrontò da solo, combattendo con estremo ardimento, finché travolto dal numero, cadde nell’impari gloriosa lotta».