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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

I dati della Svimez evidenziano nelle regioni meridionali la prima timida uscita dal campo negativo.
Ma il Nord è davvero lontano
Le previsioni di un ritorno del Pil al segno più (la prima variazione positiva di prodotto del Sud da sette anni a questa parte) non cancellano le distanze in termini di ricchezza pro capite e di standard di qualità della vita.

In queste ultime settimane si sono succedute varie interpretazioni/predizioni sull’economia del Sud. E’ bastato che la Svimez diffondesse le previsioni sul Pil nel 2015 e nel 2016 per accendere facili ottimismi che – con tutta la buona volontà di non essere catalogati alla voce “gufi” – è davvero difficile condividere. Partiamo come sempre dai numeri. Secondo la Svimez nel 2015 il Pil italiano dovrebbe crescere dello 0,8%, percentuale che deriva dal +1% del Centro-Nord e dal +0,1% del Sud. Va detto che si tratterebbe – in caso questo scenario si verifichi al termine di quest’anno – della prima variazione positiva di prodotto dopo ben sette anni. Questo trend di crescita si rafforzerebbe – sempre secondo le previsioni della Svimez – nel 2016 : il Pil a livello nazionale aumenterebbe del +1,3%: +1,5% nel Centro-Nord e +0,7% al Sud. Bene anche gli investimenti fissi lordi: +2% il dato nazionale (+2,5% al Centro-Nord e +0,5% al Sud). Buone notizie pure sul versante occupazionale: +0,8% Italia; +0,9% al Centro-Nord e +0,6% al Sud.
Questo il quadro in base al quale si ragiona da giorni e giorni sulla ripresa che è arrivata, sulla fiducia, sull’ottimismo di famiglie ed imprese etc etc. Naturalmente, si tratta di elementi molto importanti: senza fiducia nel futuro non riparte nessuna economia, non si inserisce alcuna cesura reale tra i vari cicli economici. Ma non è neanche possibile che prenda piede, invece, un atteggiamento politico e mediatico (ormai è quasi la stessa cosa) che sembra dimenticare il contesto vero e proprio nel quale ci muoviamo.
In questo caso i numeri che occorre richiamare alla memoria collettiva non sono aggregati in previsioni, ma sintetizzano quanto già accaduto. Se facciamo riferimento al Pil pro capite, “il Mezzogiorno – spiega sempre la Svimez – nel 2014 è sceso al 53,7% del valore nazionale, un risultato mai registrato dal 2000 in poi”. E ancora: “In valori assoluti, a livello nazionale, il Pil è stato di 26.585 euro, risultante dalla media tra i 31.586 euro del Centro-Nord e i 16.976 del Mezzogiorno”. Nel Mezzogiorno la regione con il Pil pro capite più elevato è stata l’Abruzzo (22.927 euro); seguono la Sardegna (18.808), la Basilicata (18.230 euro), il Molise (18.222 euro), la Puglia (16.366), la Campania (16.335), la Sicilia (16.283).
In base a questi dati appare chiaro che il Sud è sempre più povero del Nord. Ma c’è molto di più. Il 62% guadagna al massimo il 40% del reddito medio. La povertà assoluta negli ultimi anni – ricostruisce la Svimez – è più che raddoppiata. Sul totale della popolazione è passata dal 2008 al 2013 dal 2,7% al 5,6% nel Centro-Nord, e dal 5,2% al 10,6% al Sud. Nel 2013 “se nel Centro-Nord si è trovato esposto al rischio di povertà 1 persona su 10, al Sud il dato invece è di 1 persona su 3”. E “a livello regionale, al Sud, la forbice è compresa tra il 16,5% dell’Abruzzo e quasi il 42% della Sicilia”. Nelle altre regioni meridionali “sono a rischio oltre il 30% dei cittadini lucani, molisani e calabresi ed anche il 37% dei campani si trova in questa situazione”. Nel Centro-Nord “oltre il 50% delle persone guadagna dall’80 al 100% del reddito medio regionale; al Sud questo vale solo per una persona su cinque. Al contrario, il 61,7% delle persone guadagna al massimo il 40% del reddito medio, con punte del 66% in Campania, del 70% in Molise, e addirittura del 72% in Sicilia”. Questo quadro, ovviamente, si riflette sulla dinamica dei consumi. “Nel 2014 i consumi pro capite delle famiglie del Mezzogiorno sono stati pari al 67% di quelli del Centro-Nord”.
Insomma, c’è poco da aggiungere. La sofferenza sociale è elevatissima ed è proprio da questo fronte che occorrerebbe partire senza indugiare ancora in provvedimenti con ricadute lentissime. Nelle more di un effettivo avvio del ciclo di ripresa è l’emergenza/povertà che andrebbe affrontata senza demagogie e trovando le necessarie coperture attraverso tagli drastici sulla spesa che alla fine non arrivano mai nella misura annunciata. Ma, purtroppo, si intravede solo confusione. E tutto annega nella narrazione politica che di fronte alle due Italia guarda quasi sempre dalla parte di quella più ricca.
ERNESTO PAPPALARDO direttore@salernoeconomy.it

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