contatore visite free skip to Main Content
info@salernoeconomy.it

GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

La discussione sull’accorpamento delle Autorità Portuali di Napoli e Salerno evidenzia la “distanza” tra le “visioni” dall’alto e la reale situazione dell’economie dei territori.
Le riforme che non “funzionano”
Il decisionismo “verticale” si conferma una pratica molto diffusa nel corso degli ultimi anni tra i Governi centrali da Monti a Renzi. La debolezza della rappresentanza politica ed istituzionale meridionale “avalla” di fatto scelte penalizzanti per intere comunità produttive.

La criticità più devastante per le comunità locali del Mezzogiorno negli ultimi anni – al di là della “selezione naturale” operata dalla crisi rispetto al tessuto economico e produttivo – risiede prioritariamente nella caduta libera del loro peso reale in termini di rappresentanza politica ed istituzionale. La scarsa credibilità, la carenza di visione strategica, la mancanza di leadership politiche in grado di fare sentire la propria voce nelle sedi del Governo centrale e nell’ambito dei vari organismi dell’Unione Europea: sono tutti ingredienti che hanno azzerato qualsiasi possibilità di concorrere in maniera determinante alle scelte che si stanno concretizzando a livello centrale definendo di fatto per il Sud un ruolo sempre più marginale da ogni punto di vista. In altre parole si sono drammaticamente incrociate due tendenze: da un lato la manifestazione dell’irrilevanza politica ed istituzionale (oltre che di altre forme di rappresentanza); dall’altro l’accelerazione dei processi di concentrazione delle scelte nelle sedi lontane dai territori (Unione Europea e Governo nazionale) in base al nuovo paradigma del verticalismo decisionale ritenuto a torto – e molto spesso strumentalmente – l’antidoto alla “palude” burocratico/amministrativa che è ben altra cosa rispetto alla costruzione paziente di meccanismi di condivisione delle scelte. Insomma, non è che la “rottamazione” del personale politico consenta automaticamente il ricambio effettivo dei partiti; non è che l’accorpamento di Enti ed Istituzioni significa operativamente rendere efficienti gli Enti e le Istituzioni che non funzionano. Si ha quasi la sensazione che si agisca per parole d’ordine senza meditare bene quali conseguenze deriveranno da scelte che hanno sicuramente un ottimo impatto mediatico, ma che alla prova dei fatti appaiono destinate a non dare i risultati sperati (o, meglio ancora, mille volte preannunciati). Non si tratta di stare a difendere in maniera anacronistica localismi o municipalismi che nell’era della glocalizzazione spinta non hanno più alcun senso. Ma, semplicemente, di richiamare l’attenzione sull’attivazione di processi che non tengono conto – in maniera persistente ed “ostinata” – delle differenze che nel Mezzogiorno ed in Campania fortunatamente ci sono anche nel bene (oltre che nel male, purtroppo). Non si può, cioè, in nome della semplificazione o addirittura della spending review (mai realmente praticata in maniera significativa) rimanere sordi rispetto alla necessità di un confronto aperto ed obiettivo che occorrerebbe attivare immediatamente sulle grandi scelte strategiche da prendere in considerazione in Campania.
Il verticalismo decisionale che si avverte – per fare l’esempio più attuale – nel caso dell’accorpamento delle Autorità Portuali di Napoli e Salerno, produce l’effetto collaterale di stimolare anche le altre componenti della “filiera” istituzionale a comportarsi, più o meno, come il Governo centrale: con lo “scudo” mediatico della ricerca dell’efficientismo e del risparmio della spesa si procede così al varo di provvedimenti che, in realtà, “camminano” letteralmente sulle istanze dei singoli territori. Ed in alcuni casi determinano anche scenari incomprensibili. Sempre per rimanere ai porti della Campania, per quale motivo privare dell’autonomia gestionale lo scalo di Salerno che vanta ottime perfomance amministrative e commerciali? Convenendo sull’esigenza di “coordinare” in maniera più complessiva le scelte riguardanti la piastra logistica campana – ma esiste davvero? – perché mettere le mani su un meccanismo di partenariato pubblico/privato che negli ultimi decenni ha prodotto reddito diffuso e lavoro? Domande che difficilmente avranno una risposta concreta.
Nel frattempo le comunità locali della Campania e del Mezzogiorno devono constatare che la loro voce è sempre più flebile, al punto che a Roma e a Bruxelles non si sente quasi più.
Ernesto Pappalardo @PappalardoE

83228211252015174438-1
Back To Top
Cerca