contatore visite free skip to Main Content
info@salernoeconomy.it

I numeri dell'economia »

IX Censimento Generale. L’analisi delle strategie e dei fattori del contesto competitivo
Le imprese? Puntano sulla qualità, ma il credito le penalizza
Istat: Atteggiamenti difensivi, grandi ostacoli dagli oneri burocratici ed amministrativiSoffrono soprattutto le aziende di piccole dimensioni, deficit manageriale molto diffuso

Il sistema costituito dalle imprese italiane compete su più mercati, preferisce darsi modelli di gestione semplificati, ha attuato strategie di tipo difensivo nel periodo 2011/12, senza, però, fare a meno della qualità dei propri prodotti o servizi offerti, e trova grossi limiti alla propria competitività soprattutto da mancanza di risorse finanziarie, scarsità della domanda e oneri burocratici e amministrativi, ostacoli a volte insormontabili in particolar modo per le imprese di piccole dimensioni. Queste le principali informazioni emerse dal Report di approfondimento sulle tematiche oggetto della rilevazione svolta sulle imprese nell’ambito delle attività connesse al 9° censimento generale dell’industria e dei servizi, pubblicato dall’Istat con l’obiettivo di offrire un quadro generale delle strategie di impresa e dei fattori specifici e di contesto da cui esse dipendono.
Sui mercati esteri una impresa medio-grande su due.
Dall’analisi contenuta nel Report Istat, il 57,8 % delle imprese dell’industria e dei servizi con almeno 3 addetti svolge la propria attività esclusivamente su un mercato locale, circa una su cinque estende il suo raggio di azione al mercato nazionale e una quota di poco superiore si affaccia anche sui mercati esteri. Ma analizzando nello specifico il dato medio, si osserva un evidente aumento dell’importanza dei mercati nazionali e soprattutto esteri al crescere della dimensione aziendale: tra le imprese di medie (50-249 addetti) e grandi dimensioni (250 addetti e oltre) quasi una su due si affaccia su mercati internazionali, poco più di un’impresa su tre fa lo stesso tra le piccole (10-49 addetti) e meno di una su cinque tra le micro (3-9 addetti), anche se, in considerazione dell’ampiezza dimensionale di quest’ultima fascia, l’attività estera arriva a riguardare poco meno di 100 mila unità nella sola manifattura.
Il 70% delle imprese dei servizi sul mercato locale.
Rispetto alla attività economica esercitata, le imprese appartenenti ai servizi diversi dal commercio mostrano una maggiore propensione ad operare su un mercato locale (circa il 70%) mentre, all’opposto, circa il 46% di quelle dell’industria è attiva sui mercati esteri. Il settore del commercio – prosegue il Report Istat – risulta maggiormente polarizzato tra mercato locale (57,8%) e mercato internazionale (24,2%).
La forza del “gruppo”.
A determinare lo spazio competitivo delle imprese intervengono anche altri fattori indipendenti dalle caratteristiche produttive e dimensionali. In particolare è l’appartenenza a gruppi ad influenzare la propensione delle imprese ad ampliare il proprio raggio di azione. A dimostrarlo i dati che indicano come la quota che si rivolge esclusivamente al mercato locale scende sotto il 40% se l’impresa appartiene ad un gruppo, mentre la propensione ad operare su scala nazionale e su scala internazionale sale rispettivamente a circa il 30% e a poco meno del 40%. Meno rilevante di quanto si immagini risulta la dimensione mediamente più elevata delle imprese che fanno parte di gruppi: infatti anche per le microimprese inserite in un gruppo la propensione ad operare esclusivamente sul mercato locale scende al 41,4%.
Al Sud meno propensione all’internazionalizzazione.
Nel Meridione una larga prevalenza di imprese si rivolgono esclusivamente al mercato locale (circa il 79% nelle Isole e quasi due su tre nel Sud), mentre sono sensibilmente più rilevanti le quote di imprese che operano su mercati esteri nel Nord-ovest e nel Nord-est (oltre una su quattro), anche a parità di settori e dimensioni aziendali.
Sei imprese su dieci hanno come clienti aziende, P.A. ed istituzioni no profit.
Quasi il 40% delle imprese dell’industria e dei servizi dichiara di avere come clienti finali soprattutto le famiglie, mentre il rimanente 60% si rivolge ad altre aziende, alla pubblica amministrazione, al settore agricolo o a istituzioni non profit. Nelle imprese del commercio e degli altri servizi sale la percentuale di quelle che si rivolgono in misura maggiore alle famiglie (mediamente intorno al 50%) rispetto a quelle dell’industria in senso stretto e delle costruzioni (15,8 e 30,3%).
Gestione manageriale ancora poco diffusa.
Netta risulta la prevalenza, all’interno del sistema produttivo italiano, di modelli di governance relativamente semplificati, caratterizzati da un’elevata concentrazione delle quote di proprietà, un controllo a prevalente carattere familiare e una gestione aziendale accentrata. L’impresa, infatti, è gestita direttamente da membri della famiglia proprietaria e/o controllante nell’81,4% dei casi, la gestione è affidata a manager interni o esterni all’impresa in quasi il 5% (3,6 e 1,3% rispettivamente) mentre nel rimanente 13,7% dei casi si ricorre ad altre forme di management (gestione diretta da parte di imprese controllanti, affidamenti a trust, ecc.). La scelta di affidare a manager la conduzione dell’impresa è profondamente influenzata dalla dimensione aziendale e passa da un’incidenza del 3,2% nelle micro imprese al 10,1% nelle piccole fino ad arrivare a circa il 40% in quelle con almeno 250 addetti. La gestione familiare rimane comunque prevalente fino alle imprese di medie dimensioni (circa il 60% di queste), mentre in quelle più grandi scende a poco meno del 40% dei casi.
Credito bancario e autofinanziamento gli approcci finanziari più utilizzati.
Le fonti di finanziamento di gran lunga più utilizzate dalle imprese italiane sono costituite dal credito bancario (sia di breve sia di medio/lungo termine) e dall’autofinanziamento. Al credito bancario fa ricorso il 62,5% delle imprese, ma la percentuale sale al 72% fra le medie (73,0%) e al 73% fra le piccole che appartengono a gruppi o che si rivolgono a mercati internazionali. L’autofinanziamento, praticato da circa il 60% delle imprese, è relativamente più diffuso fra le microimprese (62,0%) rispetto alle piccole (53,4), alle medie (56,8) e alle grandi (59,9%), per quelle che si rivolgono al mercato locale (61,2%) e che non appartengono a gruppi (circa 60%). Il ricorso ad altri strumenti finanziari – che includono la raccolta di fondi sui mercati finanziari, diverse forme di prestito, incentivi pubblici, ecc. – rappresenta invece la scelta effettuata da circa un’impresa su tre: più frequentemente da quelle dell’industria in senso stretto (39,5%), dalle imprese che appartengono a un gruppo (circa 45%) e da quelle di maggiori dimensioni (53,6 e 62,8% rispettivamente per le medie e le grandi).
Strategie aziendali “difensive” soprattutto per le piccole.
Il mantenimento della propria quota di mercato è risultata essere la strategia prevalente adottata dalle imprese italiane (70,5% dei casi). A questo orientamento, tuttavia, si affiancano o si sostituiscono strategie più complesse, in particolare quelle volte ad ampliare la gamma di prodotti e servizi offerti (41,1% dei casi), accedere a nuovi mercati (22,2) o ad attivare/incrementare collaborazioni con altre imprese (11,7%). Circa il 6% delle imprese segnala la scelta di dover ridimensionare la propria attività. In ogni caso il profilo strategico delle imprese è condizionato in modo rilevante dalla dimensione aziendale, all’aumentare della quale crescono sia il numero delle strategie adottate sia la rilevanza di quelle più complesse.
Interazioni tra imprese più frequenti per aziende di grandi dimensioni.
Commessa e subfornitura costituiscono le principali relazioni di tipo produttivo tra aziende, coinvolgendo circa il 40% delle imprese, e risultano adottate prevalentemente dalle aziende di dimensioni più elevate. Presso le grandi imprese è anche più diffuso il ricorso agli accordi formali (es. consorzi, joint venture, associazioni temporanee d’impresa), mentre quelli informali sono relativamente più frequenti tra le imprese di piccola (12,0% delle imprese) e media dimensione (10,8%). L’appartenenza a un gruppo influisce sulle scelte strategiche: l’aumento della gamma di prodotti e servizi offerti e l’accesso a nuovi mercati sono strategie adottate da oltre la metà delle aziende che si rivolgono al mercato estero, con incidenze pari al 48,2 e al 45,4% nelle microimprese, al 59,7 e al 62,7% nelle piccole, al 67,2 e al 71,7% nelle medie aziende e al 73,3 e al 71,6% nelle imprese di maggiori dimensioni. Quasi un’azienda su cinque tra quelle che operano su scala nazionale intende intensificare le relazioni con altre imprese.
La qualità il primo fattore di competitività delle imprese italiane.
Qualità del prodotto o del servizio offerto risultano essere il principale fattore su cui si basa la competitività delle imprese italiane, così come indicato dal 76,2% delle aziende. Altri fattori competitivi indicati risultano la competizione basata sul prezzo (35,1% delle imprese), la flessibilità produttiva al variare della domanda, la diversificazione dell’offerta di prodotti e servizi (poco più del 21% per entrambi).
Risorse finanziarie, scarsità della domanda e burocrazia i maggiori ostacoli.
I maggiori ostacoli alla competitività delle aziende italiane vengono individuati principalmente nella mancanza di risorse finanziarie (40,4% delle imprese), la scarsità o mancanza di domanda (36,8), negli oneri amministrativi e burocratici (34,5) e nel contesto socio-ambientale sfavorevole (23,2%). I vincoli di tipo finanziario sono avvertiti dal 41,5% delle micro imprese, dal 37,3% delle piccole, dal 29% delle medie e dal 22,8% delle grandi. In ogni caso la mancanza di risorse finanziarie è segnalata da circa il 50% delle imprese come ostacolo all’introduzione di innovazioni.
Mancanza di risorse economiche più percepita al Sud, freno burocrazia maggiore per il Nord.
Il Report dell’Istat, infine, evidenzia come, dal punto di vista territoriale, la mancanza di risorse finanziarie tende a ridursi spostandosi da Sud verso Nord, mentre i problemi causati dalla burocrazia e dalla scarsità della domanda sono segnalati meno frequentemente dalle imprese del Sud e delle Isole. La rilevanza del contesto socio ambientale tende anch’essa ad essere più elevata nelle regioni del Sud e delle Isole e più bassa nel Centro e nel Nord-est.
Mario Gallo
(Fonte: istat.itdel07.11.13)

66352511132013164911-1
Back To Top
Cerca