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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

Come rendere attuali le tracce e le consistenze che permangono (e si ripropongono) del nostro patrimonio sociale.
Le identità perdute e il “filo” della storia (o delle storie)
Dietro di noi non manca l’eredità di tanti tesori artistici e culturali che hanno le potenzialità per accendere luci, riaprire discorsi, accompagnarci a capire come siamo diventati o come diventeremo anche in base a tracce di passato così consistenti.

Da non poco tempo sarebbe utile assistere all’approfondimento di tutti quei temi che – in ogni città – diventano, in buona sostanza, predominanti per delineare la prospettiva non improvvisata delle cosiddette “politiche di recupero” della nostra identità sociale e culturale. In poche parole: da anni Salerno ricerca una discussione – utile e produttiva di cose da fare – in grado di mettere a fuoco le coordinate di non poche “eredità” materiali e immateriali che possono consentire di immaginare come rendere attuali – anche in termini, per esempio, di promozione turistica della città, nella loro valenza senza dubbio storica – le tracce e le consistenze che permangono (e si ripropongono) del nostro patrimonio sociale, culturale, artistico, letterario e via dicendo.

Eppure, a guardare negli anni – non troppo recenti (ormai) – non sono mancate occasioni e discussioni importanti, approfondite, che hanno lasciato tracce ben identificate nella memoria della città. A metà degli anni ’90, per esempio, le manifestazioni organizzate dal Comune per i cinquant’anni di “Salerno Capitale” del Paese restano un ottimo precedente, che aprì un’ampia e approfondita rievocazione storica del secondo dopoguerra. In quell’occasione emersero importanti spunti di riflessione e si aprirono non poche prospettive di approfondimento che hanno sicuramente inciso sulla riflessione che ne è, poi, seguita negli anni.

Nel momento attuale – nel vasto panorama di eventi che pure si susseguono, soprattutto quando si sta tentando di mettere alle spalle la profonda crisi dovuta alla pandemia – riprendere il “filo del discorso” che si era avviato (in maniera, ovviamente, non proprio chiara e condivisa), diventa prioritario.

La domanda che accompagna questa riflessione è, però, inevitabile: ma siamo sicuri che questa esigenza, in fondo, sia veramente avvertita e condivisa? E che non sia, a ben vedere, solo una cosiddetta  “nostalgia” di una parte di salernitani non più, per la verità, giovanissimi? La sensazione che si avverte quando si pensa a queste tematiche non secondarie, è che, in fondo, il “racconto” della città – di quello che cioè noi siamo o siamo diventati – sia soprattutto un problema di “storie singole” e non più “collettive”, primariamente “singole”, che solo in seguito, forse, hanno assunto il perimetro di un quadro più generale. Perché bisogna fare i conti con le eredità storiche che prendono il sopravvento, in ogni caso: siamo certi che accomunarsi nel termine “salernitani” abbia mantenuto lo stesso significato di vent’anni fa, trent’anni fa, quarant’anni fa?

Ma anche andare a delineare questa nuova articolazione sociale e politica del nostro percorso verso la lettura o la rilettura di quello che siamo stati e che siamo, mentre ci muoviamo confusi – questo appare abbastanza certo, non solo a Salerno – verso il tempo che ci arriva addosso, potrebbe rivelarsi estremamente importante.

Dietro di noi non manca l’eredità di tanti tesori artistici e culturali che hanno le potenzialità per accendere luci, riaprire discorsi sulle identità perdute, accompagnarci a capire come siamo diventati o come diventeremo anche in base a tracce di passato che permangono senza essere scalfite da questi primi decenni del Duemila.

Tutto resta, in ogni caso, avvolto nella sfera della riflessione che sembra non prendere mai forma. Ma non importa: la storia, prima o poi, diventa sempre un’occasione unica per rimettersi in moto.

Ernesto Pappalardo

direttore@salernoeconomy.it

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