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I numeri dell'economia »

L’incertezza spiega l’annunciato boom dei contratti a termine. Si agisce sul tempo breve-medio.
Lavoro, occupazione e contenimento del danno
La situazione del sistema economico nazionale ed il ridisegno di quello globale spingeranno inevitabilmente verso politiche di sostegno la cui qualità (e umanità) non deriverà soltanto da garanzie assolute.

di Mariano Ragusa

Sul pannello dei settori produttivi brilla il segno “più” che vuol dire ripresa in corso. Diffuso, non senza punti di caduta, da spingere gli esperti alla rivalutazione dell’aumento del Pil indicato adesso nel +5%. Ne ha dato conto, incrociando più dati attinti da fonti autorevoli, il Corriere della Sera in un articolo firmato da Dario Di Vico. Anche rispetto ai consumi, benchè ancora con marcata impronta psicologica, il sentiment è positivo. Segnali diffusi di ripartenza grazie evidentemente ad un clima generale alimentato dalla fiducia.

Nel quadro di analisi c’è anche il lavoro, tema cardine nella prospettiva di ripresa della crescita e caldo in queste settimane per il nodo licenziamenti al centro del confronto tra sindacati e imprese con il governo chiamato a comporre una non facile mediazione. La questione è decisiva. La materializzazione dello spettro della disoccupazione renderebbe plastico il passaggio dalla crisi sanitaria, subita con la pandemia, alla sua traduzione in crisi sociale. Costi umani già pagati, con il flagello del Covid, ad altri che se ne aggiungerebbero. E’ doloroso affermarlo: la situazione del sistema economico nazionale ed il ridisegno di quello globale spingeranno inevitabilmente verso politiche di sostegno la cui qualità e “umanità” deriverà più che da garanzie assolute, dal massimo contenimento del danno in termini di perdita di posti di lavoro.

Non tutti (aziende e lavoratori ad esse legati) potranno essere salvati. Lo ha detto – e non solo oggi che ha massime responsabilità di governo – il premier Draghi. Ne è consapevole l’intero governo non a caso impegnato in una mediazione con le parti sociali, volta a dare ai licenziamenti venturi dopo il blocco, il ritmo della gradualità e della selezione per settori produttivi.

Le posizioni in campo sono distanti. Il sindacato preme per la proroga del blocco almeno fino ad ottobre (chiedendo nelle more la riforma degli ammortizzatori sociali). Confindustria chiede il rispetto della scadenza fissata rassicurando che non vi sarà la temuta macelleria sociale scandita da centinaia di migliaia di disoccupati.

Dati sul punto ne offre alcuni interessanti ancora l’analisi del Corriere della Sera alla quale abbiamo fatto riferimento. Uno studio dell’Ufficio parlamentare di bilancio stima in 70mila i possibili licenziamenti. A fronte di una tale quantificata perdita di posti di lavoro è prevista – da fonti di categoria – un boom dei contratti a tempo determinato.

I dati sintetizzano certezze rilevate al momento e tecnicamente ignorano le variabili che potranno scattare in un diverso scenario. Insomma si naviga, ragionevolmente, nell’incertezza sulla fase che iniziamo ad attraversare.

Del resto l’incertezza spiega l’annunciato boom dei contratti a termine. Ovvero: si operano scelte e si agisce sul tempo breve-medio. Comprensibile.

Incrociando queste due variabili (licenziamenti e nuovi contratti a termine) che immagine di Paese possiamo intravedere? Un altro tassello è necessario per avere una più compiuta fisionomia. Lo suggerisce ancora Confindustria con la proposta del ricorso al “contratto di espansione” per accompagnare i licenziati al prepensionamento. L’intenzione è delineare un percorso non traumatico per quei lavoratori mettendoli al riparo dal dramma della disoccupazione.

E qui l’immagine di Paese che vorremmo delineare assume il suo preciso profilo. Via dalla produzione figure ancora potenzialmente attive ed operative con il loro passaggio all’ambito del reddito inattivo delle indennità pensionistiche come risorsa che sostiene la tenuta delle famiglie di appartenenza e ancora chiamate ad esercitare il ruolo storico di ammortizzatore sociale.

Non saranno figli anche di quelle famiglie i destinatari dei contratti a termine (chiamiamoli di “incertezza addomesticata”) dei quali si pronostica il boom?

Immagine semplificata, forse pessimistica. Può darsi. Cogliamola allora come un allarme per dire che nella distanza più che intuibile tra l’economica reale (quella che genererà i licenziamenti prossimo venturi) e quella nutrita di visione (la transizione dei profili professionali, la loro innovazione e specializzazione urgenti e richieste ma solo per ora indicate dal Recovery plan) si apre una terra di mezzo dove assistenza e precarietà continueranno a convivere. Per quanto tempo lo potrà decidere solo la politica e le scelte coerenti e radicali che dovrà assumere. E’ accettabile quel cambio di filosofia che propone ai governi di “salvare i lavoratori” e non solo “i posti di lavoro”, con tale distinzione intendendo investimento constante sulla risorsa umana chiamata ad un continuo e veloce aggiornamento delle proprie competenze per essere appetibile da parte di un mercato del lavoro caratterizzato dalla accelerata modificazione. Il nodo è il come si costruisce questo percorso che sia anche socialmente sostenibile. Non si possono nascondere i rischi di una perdurante incertezza che effetti non secondari potrebbe avere sulla psicologia delle persone, sul senso della propria utilità personale e sociale e sulla ragionevole idea di futuro che desiderano coltivare. Che magari non è un diritto. Ma certamente doveroso almeno provare a garantirla.

 

 

 

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