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Censis/Gli appuntamenti del ciclo “Un mese di sociale” sul tema “I vuoti che crescono”
Laureati? Occupati in professioni con “skill” medio-bassi
Il fenomeno dell’overeducation colpisce le lauree “deboli” (Scienze Sociali ed Umanistiche, 43,7%) e quelle ritenute “forti” (Scienze economiche e Statistiche (57,3%)

Per il sistema educativo italiano emerge un quadro molto critico dalla riflessione che si è sviluppata nel corso del terzo dei quattro incontri del tradizionale appuntamento del “Censis” – “Un mese di sociale” – dedicato quest’anno a “I vuoti che crescono”. Sul tema “Il vuoto della sfiducia crescente nella scuola” si sono succeduti gli interventi del Presidente del Censis Giuseppe De Rita, del Direttore Generale Giuseppe Roma, della responsabile del settore Formazione Claudia Donati, di Luigi Berlinguer, Presidente del Comitato per lo sviluppo della cultura scientifica e tecnologica del Miur, di Angelo Deiana, Presidente di Confassociazioni, e di Stefano Molina, dirigente di ricerca della Fondazione Giovanni Agnelli.Lo studio non è più un “ascensore sociale”.
Con la perdita della capacità di garantire sbocchi occupazionali, lo studio non è più considerato, così come tempo fa, uno strumento per aspirare ai gradini più alti della scala sociale: solo il 16,4% dei nati tra il 1980 e il 1984, al primo impiego, è riuscito a migliorare la propria posizione sociale rispetto alla condizione di provenienza, mentre, invece, il 29,5% ha addirittura subito una mobilità discendente rispetto alla famiglia di origine. Poco consistente anche l’apporto dato dalla scuola a favore del riequilibrio sociale per i ragazzi provenienti da famiglie svantaggiate: l’abbandono scolastico ha interessato solo il 2,9% tra i figli dei laureati, il 7,8% tra i figli dei diplomati, ma sale al 27,7% se i genitori hanno frequentato solo la scuola dell’obbligo. Tale uscita precoce dai circuiti scolastici riguarda il 31,2% degli studenti i cui genitori svolgono professioni non qualificate, contro appena il 3,9% di quelli con genitori che svolgono invece professioni qualificate.
Livelli di studio più bassi favoriti rispetto alla “overeducation”.
La crisi di credibilità del sistema educativo trova conferma anche nei dati relativi alla domanda di lavoro che in Italia, tra il 2008 ed il 2013, ha interessato soprattutto i livelli di studio bassi, gli unici a registrare un andamento positivo (+16,8%), a scapito sia dei titoli medi (-3,9%), sia di quelli più elevati (-9,9%), con conseguente aumento del 32,7% di diplomati e del 36,6% di laureati occupati in professioni che richiedono bassi skill. Il cosiddetto fenomeno dell’”overeducation” ha così colpito sia le lauree considerate deboli, come quelle in scienze sociali e umanistiche (43,7%), sia le lauree ritenute più forti, come quelle in scienze economiche e statistiche (57,3%). Da ciò la scarsa fiducia dei giovani italiani sul futuro (47,8%) rispetto al resto d’Europa (circa i due terzi).
Le carenze fin dall’asilo.
I problemi del sistema educativo italiano cominciano sin dall’asilo, con solo il 55% dei comuni che ha attivato servizi per l’infanzia (asili nido e servizi integrativi), riuscendo a soddisfare appena il 13,5% dell’utenza potenziale, con i comuni capoluogo di regione che non riescono a coprire la domanda per il 35,2%. Tali carenze vanno a minare, fin dall’inizio, il rapporto fiduciario tra famiglie e sistema scolastico.
Abbandono scolastico sempre consistente.
Un importante risvolto della sfiducia verso il comparto scolastico è dato dai consistenti numeri forniti nell’ambito della dispersione scolastica: solo nell’ultimo anno scolastico ben 164mila giovani hanno “lasciato” la scuola nell’arco di un quinquennio, il 27,9% degli studenti. Ben l’11,4% di essi ha abbandonato gli studi tra il primo e il secondo anno, un altro 2,5% tra il secondo e il terzo anno. Non a caso il numero dei diplomati in Italia, nel 2013, è stato pari al 77,9% dei giovani tra i 20 ed i 24 anni contro l’81,1% della media europea.
In crisi rapporto genitori-insegnanti.
Altri elementi che confermano la discesa del rapporto fiduciario con l’istituzione scolastica sono forniti dalla diminuzione del numero dei genitori che partecipa alle elezioni degli organi collegiali (solo il 10%) e dal consistente calo dell’atteggiamento collaborativo da parte delle famiglie, sottolineato dal 24,6% dei dirigenti scolastici. In aumento, invece, i ricorsi al Tar che nel settore dell’istruzione, nel 2012, hanno raggiunto il numero di 1.558 procedimenti amministrativi, con un incremento del 17,1% rispetto all’anno precedente.
Le Università perdono iscritti.
Tra i 30-34enni solo il 20,3% sono laureati contro il 34,6% della media europea. Risulta in crisi anche l’andamento delle immatricolazioni: nell’anno accademico 2011/2012 si sono registrate circa 9.400 immatricolazioni in meno (-3,3%) rispetto all’anno precedente ed un tasso di passaggio dalla scuola all’università tra i 18-19enni sceso dal 50,8% del 2009/2010 al 47,3% del 2011/2012. Alto anche il numero di chi abbandona gli studi: nel 2011/2012 il 15,4% tra il primo e il secondo anno degli iscritti alle lauree triennali e il 10% degli iscritti alle lauree a ciclo unico. Solo il 55% degli immatricolati arriva a conseguire il titolo triennale contro i 70%, in media, nei Paesi dell’Ocse.
Per lo studio è “fuga” all’estero.
Migliore qualità e maggiori prospettive occupazionali alimentano la “fuga” all’estero per i giovani italiani che ne hanno le possibilità: tra il 2007 e il 2011 il numero di studenti italiani iscritti in università straniere è cresciuto del 51,2%, passando da 41.394 a 62.580, a conferma di un crescente pessimismo nei confronti di un sistema educativo nazionale che stenta a tenere il passo con il mondo della globalizzazione.
(Fonte: censis.it/26.06.14)

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