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Sempre più diplomati e laureati riscoprono attività “possibili”, per evitare di essere costretti a partire.
La ruralità? Diventa ricerca di nuova “urbanità”
La lezione cinese per ritrovare contatti effettivamente connessi al recupero del senso della vita incentivato dagli ecosistemi innovativi per il “saper fare”. Non mancano esempi virtuosi anche in provincia di Salerno.

di Pasquale Persico

Come raccontato da Lidia Decandia in riferimento alla Sardegna, il fenomeno è strisciante e comincia ad essere interpretato attraverso un nuovo protagonismo che possiamo considerare endogeno: diplomati e laureati riscoprono attività possibili, invece di essere costretti a partire. Purtroppo le politiche per le aree interne, spesso, non hanno una visione macro sulle cose da fare ed i modelli di governance adottati sono ancora poco efficaci. In Cina, per esempio, la nuova tendenza  vede milioni di cittadini ritornare alle fattorie dei nonni e dei bisnonni per dare vita a una varietà di attività: negozi online, vendite in live streaming e consegne contactless, oltre che modelli evolutivi della nuova urbanità, tutto questo in contesti difficili in termini di libertà e sussidiarietà dal basso.

Il grande ritorno all’agricoltura avrebbe coinvolto, negli ultimi anni, diciannove milioni di cinesi tra i quali migranti, laureati e veterani militari. I dati ripresi sono quelli forniti dal ministero dell’Agricoltura e degli Affari rurali. Lo scorso anno circa dieci milioni di cinesi sono tornati alle aree di campagna per avviare imprese, con un aumento del 19% rispetto all’anno precedente, il livello più elevato degli ultimi anni in qualsiasi altro contesto.

Da noi l’attenzione è ancora spostata sui bacini elettorali metropolitani e lo slogan su cultura e turismo – nelle città d’arte – per lo sviluppo nasconde la possibilità di alcune politiche orizzontali decisive. Non si tratta di trovare lavoro dove si è cresciuti, ma di aprire gli occhi sulle nuove comunità rurali ad urbanità misurabile, dove la sostenibilità è valutata in termini di nuovo modo di contabilizzare i risultati non più in termini di Pil, ma in termini di FiL, Fertilità interna lorda. Oppure con misure che tengano conto del modo in cui spingere verso una nuova cultura ambientale, una nuova cultura sulla socialità e, soprattutto, un modello di governance più legato alla reciprocità ed alla sussidiarietà. Il bilancio sociale per le piccole imprese con un mixage di bilancio di sostenibilità, capace di fare emergere le economie di scopo e di rete, potrebbe aiutare la politica industriale italiana a definire nuovi incentivi a favore delle imprese più connesse al tema proposto, invece dei sussidi a pioggia. Non il vecchio comparaggio agricolo, ancora utile ma residuo, ma un modello che coltivi la società plurale, alla fine dovrebbe emergere. I linguaggi introdotti, sono  imitati dalla nuove iniziative speculative sull’abitare l’urbano nelle città capoluogo, e coltivano visioni di breve periodo.

Sempre secondo il “China Daily”, a partire da giugno dello scorso anno, la Cina ha istituito 4.849 incubatori di imprese tecnologiche e 620.000 aziende per attrarre talenti al fine di promuovere l’innovazione nelle campagne e incentivare i lavori rurali di nuova urbanità.

Allora, prestare attenzione ai Giganti delle economie dei continenti, dovrebbe scuotere il modo di partecipare alle nuove politiche economiche della Ue, senza attardarsi a recepire il potenziale delle aree non urbane, legandole alle politiche di area vasta ancora non immaginate nella dimensione regionale giusta (Macroregioni).

I fenomeni sono presenti nei nostri territori con soggettività isolate, il rammendo urbano deve prendere una direzione ancora più larga di quella individuata e già suggerita, (e anche interpretata da altri), a vantaggio della rendita urbana residua nelle aree urbanizzate.

Una nuova contabilità per i giovani e le persone che hanno invertito la rotta deve emergere ed essere ampliata a vantaggio di un Pnrr rivoluzionato.

 

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Pasquale Persico
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