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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

Aumenta il grado di fiducia di imprese e famiglie, ma mancano ancora segnali concreti di inversione di tendenza
La ripresa e le occasioni da non perdere
Mentre in altri territori si accelera per “approfittare” di importanti dinamiche macro (QE, euro debole, Jobs Act, petrolio ai minimi) nelle regioni del Sud non si intravedono strategie operative per scuotersi dalla crisi.

Si fa un gran parlare negli ultimi giorni dei cosiddetti “segnali” della ripresa economica. Non manca il tentativo di “contagiare” l’opinione pubblica con una sorta di effetto-ottimismo da parte del Governo centrale. Insomma, la stimolazione dell’aspetto evocativo in senso positivo di fatti e notizie supera di gran lunga il ragionamento in senso stretto su temi ed argomenti precisi. Si tende, in altre parole, a disegnare profili capaci di sollecitare la fiducia di famiglie ed imprese in modo da giungere ad una rappresentazione che conforta e consolida le scelte che chi governa ha messo in campo. E’ un modo di procedere che riguarda tutti i livelli istituzionali. Accade, per essere chiari, anche in Campania con la “lettura” offerta dal governatore Caldoro sullo stato delle cose nella nostra regione. L’obiettivo, ovviamente, è lo stesso: captare consenso, fabbricare consenso, gettare un ponte sul futuro di breve periodo per chiedere il voto a proprio favore. D’altro canto, si è andata sempre più affermando la “dittatura” dei numeri e delle statistiche che domina incontrastata nel circuito mediatico, spesso, senza alcun approfondimento tecnico. Al punto che si può leggere sullo stesso argomento tutto ed il contrario di tutto. Anche le cifre sono, quindi, diventate strumento di propaganda (in un senso o nell’altro).
E’ in questa tipologia di racconto mediatico che diventa sempre più difficile orientarsi per provare a capire che cosa sta realmente succedendo – sotto il profilo delle dinamiche economiche produttive – nel Mezzogiorno ed in Campania. La situazione nel suo complesso non appare molto dissimile nel primo trimestre di quest’anno da quella della fine del 2014. Il sentiment percepito – come attestano diverse fonti – evidenzia un clima di fiduciosa attesa delle ricadute nei territori meridionali di importanti dinamiche macro: il quantitative easing varato dalla Bce; il calo delle quotazioni del petrolio; la maggiore competitività dell’euro rispetto al biglietto verde; il Jobs Act.
Prioritariamente le maggiori aspettative sono concentrate sull’atteggiamento che le banche assumeranno proprio in seguito al QE di Mario Draghi: cambierà qualcosa nella valutazione del rischio del credito? E’ questa una domanda di fondamentale importanza soprattutto per settori flagellati dalla crisi come, per esempio, le costruzioni: un comparto da sempre centrale per avviare meccanismi strutturali nei percorsi di ripartenza dell’economia anche in considerazione dell’estensione della sua filiera di riferimento. Al momento – ma è ancora troppo presto per tirare le somme – non solo nell’edilizia, ma anche in altri segmenti produttivi, non sembra tirare un’aria troppo diversa rispetto ai mesi scorsi. Ascoltando numerosi operatori bancari emerge che, in ogni caso, alle reiterate domande di ristrutturazione del debito iniziano ad affiancarsi, sebbene timidamente, richieste di linee di credito per investimenti in macchinari provenienti da aziende manifatturiere. Ma, naturalmente, per conclamare la tanto attesa “ripartenza” non possono bastare soltanto questi accenni: negli anni della crisi proprio la qualità delle linee produttive ha subito una netta battuta d’arresto (a causa della scarsa liquidità circolante non si è proceduto a rinnovarle) e, quindi, oggi si pone il tema – per le aziende sopravvissute – di riqualificare in via preliminare il patrimonio di attrezzature per non perdere ulteriore competitività. Insomma, siamo più in uno scenario ancora “difensivo” piuttosto che all’interno di una vera e propria strategia di attacco ai mercati.
Se questo è il quadro nei primi tre mesi del 2015, appare in tutta la sua drammaticità la confusione che si evince dai messaggi che arrivano sulle politiche economiche per il Sud (e non solo) dai vari livelli istituzionali. In recenti interviste di consiglieri economici del governo-Renzi, per esempio, è riemersa la necessità ineluttabile dei singoli territori di attrezzarsi al meglio per rendersi più attrattivi rispetto ai capitali (soprattutto stranieri) in cerca di posti dove allocarsi. Insomma, è riapparso il richiamo al dinamismo “dal basso”. Ma, nello stesso tempo, si continuano a favorire processi di verticalismo decisionale: l’avocazione, cioè, di importanti decisioni (su questa strada sembra ormai avviata la questione dell’impiego dei fondi Ue) in base ad un centralismo governativo sempre più marcato. In questa tenaglia, pare di capire, si alimenta il rischio che proprio i territori più deboli – come larga parte della Campania e della provincia di Salerno – e non in grado di “fare sistema” dal basso, siano destinati a rimanere fuori da significativi percorsi di rinascita economica e produttiva.
Inutile dire che la campagna elettorale in corso per la “conquista” della Regione non aiuta. Anzi, confonde ancora di più le idee su alcuni punti principali. A cominciare dalla grande e più importante partita dei fondi europei 2014-2020.
Per concludere: QE, euro debole, petrolio in picchiata, consistente dote finanziaria in termini di finanziamenti Ue, Jobs Act appaiono occasioni irripetibili per riposizionare la Campania in maniera auto-propulsiva almeno nel contesto nazionale. Speriamo che non si trasformino in ulteriori occasioni sprecate.
ERNESTO PAPPALARDO direttore@salernoeconomy.it

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