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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

Il calcio veicola sempre metafore ricche di narrazioni sorprendenti, impreviste, ma, “didatticamente”, più significative di quello che si può immaginare.
La rincorsa della vittoria? E’ il sogno che prende forma
Lo scudetto conquistato dall’Inter nel 1971 resta ancora oggi ben impresso nella mente: per tanti, non solo i tifosi nerazzurri, è diventato un vero e proprio punto di riferimento esistenziale. E’ rimasto nella bacheca dei ricordi che camminano ancora da soli.

La conquista dello scudetto – campione d’Italia alla terzultima giornata (2 maggio 1971),vittoria con il Foggia (5-0) e contemporanea sconfitta del Milan a Bologna –  fu per l’Inter una di quelle vittorie che, poi, restano impresse nella mente e diventano un punto di riferimento esistenziale. Perché, in realtà, quel campionato non era iniziato bene, rischiava di diventare il caso esemplare, una grande delusione che avrebbe, di sicuro, avuto lunghi riflessi nel prosieguo di una storia calcistica (e non solo) che, invece, ha assunto, nel tempo, mille richiami per incitare alla costruzione di tutte quelle vittorie che appaiono impossibili. Forse, è utile partire dalle cinque reti al Foggia: la prima, fu un miracolo di Boninsegna, un gol acrobatico che resta impresso nella mente del tifoso nerazzurro (ma anche del non tifoso) e spiega bene perché Bonimba in quel campionato diventò il capocannoniere (24 sigilli) e l’Inter portò a casa l’undicesimo scudetto (quattro punti di vantaggio sui secondi, 46 a 42) e incoronò il presidente Ivanoe Fraizzoli (al primo trofeo vinto), che, pure, era giunto a mettere a disposizione l’incarico.

La verità è che questo campionato – come tanti altri –  è così importante per capire bene come il calcio veicola sempre metafore ricche di narrazioni sorprendenti, impreviste, ma, “didatticamente”, più significative di quello che si può immaginare. Al di là dei numeri, dei risultati, delle promesse, dei sogni mancati, delle leggende apparse e, poi, svanite.

Il cambio dell’allenatore – il presidente Fraizzoli, dopo 4 punti in 5 giornate, con una sconfitta in a casa ad opera del Cagliari e dopo la vittoria del Milan nel primo derby del campionato – fu determinante: esonerato Heriberto Herrera, fu affidata la panchina a Giovanni Invernizzi, responsabile del settore giovanile. Arrivò la vittoria con il Torino, ma con il Napoli, capolista, si verificò una significativa sconfitta. Fu questa trasferta in Campania che impose – nel momento nel quale avevano preso forma 6 punti di ritardo dal Milan e 7 dal Napoli – l’idea di mettere nero su bianco la famosa tabella-scudetto. Il tecnico Invernizzi (Robiolina) mise mano alla formazione titolare procedendo a due ritorni che assunsero un significato speciale: dentro Bedin (a centrocampo) e soprattutto Jair sulla corsia a destra. E Bertini riconquistò il posto da titolare. La formazione partiva da Lido Vieri titolare in porta, Bellugi e Facchetti terzini, Giubertoni stopper al centro e Tarcisio Burgnich (la “Roccia) nel ruolo di libero, non più marcatore fisso, ma vero e proprio perno del reparto arretrato. A centrocampo e in attacco tutto sembrò più facile con Sandro Mazzola trequartista e Mario Corso tornato a splendere a sinistra, con al centro dell’attacco quell’ira di Dio di Roberto Boninsegna (Bonimba). Né mancarono gli esordi di Bordon, gran portiere destinato a un futuro brillante, e Oriali prima terzino e, poi, mediano di grandi prospettive.

Fu un campionato accattivante, senza respiro, con un significato chiaro: l’Inter vinse il derby del 7 marzo 1971 e, all’arrivo della stagione primaverile la vittoria a San Siro con il Napoli – con polemiche infinite per la direzione dell’arbitro Gonella – e il pareggio del Milan a Vicenza, avviò la fase eroica del trionfo finale. La domenica seguente fu il momento della vittoria interista a Catania. I nerazzurri erano in vetta da soli, il profilo dello scudetto era preciso e perfetto. Invernizzi riuscì a imporre la calma e la sicurezza per giungere al titolo del 2 maggio 1971: 5-0 al Foggia, la contemporanea sconfitta del Milan al Bologna segnarono un campionato che assunse subito il profilo della forza della volontà nerazzurra.

Nessuno ci pensava proprio più. Basta ricordare che il Milan era in testa alla classifica dalla decima giornata e che il 24 gennaio 1971 era assurto al ruolo di campione d’inverno. Al ventesimo turno, però, l’Inter era a un punto dal primo posto: bastò aspettare perché lo spettacolo prendesse forma. Alla ventiduesima accadde l’aggancio in testa alla classifica e una settimana dopo ci fu il sorpasso vero e proprio. I nerazzurri furono campioni d’Italia con quindici giorni di anticipo.

Fu lo scudetto della rimonta, della squadra che ritrova se stessa, dell’allenatore – Invernizzi – che costruisce la tabella del miracolo italiano: fu il campionato di chi riesce a pensare che in se stesso si possono ritrovare le ragioni perdute di ogni sogno che si è inclinato. E’ la più bella rappresentazione del calcio che ci insegna che nulla è mai  perduto. A patto che dentro di noi riesca a scattare la molla segreta della volontà di guardare in faccia al futuro che, in fondo, abbiamo sempre desiderato.

Quando il fondo è stato così a noi troppo vicino, non meritato, inatteso, ma, purtroppo, vincente, si verifica sempre il momento della verità, che possiamo ascoltare o, invece, ignorare. Al di là della malconcia e floscia, inutile retorica, resta l’idea, il progetto, l’ipotesi alla quale vogliamo provare a rimanere appesi.

Nel 71’ è stata prima di tutto la grande vittoria dei “gregari”, dei campioni, “gregari”, riconvertiti per conquistare il titolo. Campioni inossidabili nella mente di noi tifosi: Sandro Mazzola, Mario Corso, Roberto Boninsegna, Lido Vieri, Mario Giubertoni, Tarcisio Burgnich, Giacinto Facchetti, Mario Frustalupi. Per non parlare di Jair da Costa e di tanti altri entrati di fatto nella storia del calcio.

Dopo la brutta batosta –  l’Inter perde tre a zero nella quinta giornata, quella del derby – è evidente che i nerazzurri si apprestano a disputare un campionato da dimenticare. Decimi in classifica – il presidente che rende disponibile il proprio incarico, l’esonero di Heriberto Herrera, l’idea di ricorrere, solo “temporaneamente”, a Giovanni Invernizzi (allenatore delle squadre giovanili) – e niente da sognare. Ma, invece, è proprio nel momento più simile alla fine dei sogni, che prende forma il nuovo inizio: si può sempre – sempre – ricominciare. E non è mai importante vincere, ma pensare che è un’idea possibile. Ogni cosa inizia e termina così.

Ernesto Pappalardo

direttore@salernoeconomy.it

(Le precedenti puntate sono state pubblicate all’interno della newsletter di www.salernoeconomy.it – nella rubrica Glocal –  il 19 maggio, il 2, il 9 e il 16 giugno 2023).

1970-1971_Inter_Wikipedia
Da sinistra, in piedi: Lido Vieri, Roberto Boninsegna, Tarcisio Burgnich, Mario Giubertoni, Giacinto Facchetti, Mario Corso; accosciati: Sandro Mazzola (capitano), Oscar Righetti, Sergio Pellizzaro, Mario Frustalupi, Gianfranco Bedin. (1970-71)
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