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“Prevale la preoccupazione di trovare un tonico, un balsamo, un fortificante per partiti in cerca di identità e di ruolo”.
La politica? Resta seduta in panchina
“La battaglia vera e decisiva la combatte questo Governo. Un dato di fatto. Figlio della straordinarietà della situazione generata dalla pandemia”.

di Mariano Ragusa

La satira politica, quanto più irriverente e “scorretta”, disvela verità che nei linguaggi ufficiali codificati giocoforza devono sottostare a limiti. Illuminante, ma non solo della situazione interna al partito cui si riferisce, è la recente interpretazione che di Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, ha offerto Sabina Guzzanti. Un punto in particolare suggerisce riflessioni. E’ quando la presidente di FdI tira le orecchie al candidato sindaco della destra a Roma (scelto dalla Meloni) per una manifestata incapacità di empatia con l’elettorato. Enrico Michetti è descritto dall’amazzone della destra dura e pura come poco aduso a muoversi sui temi concreti della Capitale e assai di più a spiccare voli nell’elegia della sua antica storia. Sicchè la Meloni-Guzzanti, spazientita e con ruvido piglio, avverte: “Ti abbiamo dato due paginette sul problema dei rifiuti, imparale a memoria e ripetile in pubblico”.

La satira è cattiva ed irriverente. La verità che – a partire dal malcapitato Michetti – rivela, ampliando il campo di analisi, è l’approccio che le forze politiche stanno avendo alla battaglia delle elezioni amministrative del 3 e 4 ottobre. Approccio diversificato in ragione degli obiettivi principali dei partiti e dai quali discende l’attenzione al governo delle città, che poi è la materia della tornata elettorale. In sostanza, c’è una partita politica giocata su due o forse più piani legata dall’aspettativa di cambiare gli attuali equilibri di forza tra i partiti fotografati dai sondaggi tarati sui leader.

Le partite in campo.

Centrodestra e centrosinistra hanno tecniche diverse di gioco. La posta in palio altrettanto peculiare. Dalle urne delle amministrative Giorgia Meloni cerca la conferma del primato nell’area del centrodestra che i sondaggi, appunto, le stanno attribuendo. Obiettivo esattamente opposto quello di Salvini: fermare la corsa della Meloni e magari invertire quel trend a vantaggio proprio e della Lega. La campagna dei territori è combattuta dai due leader con questi contrapposti obiettivi. Questo spiega i contenuti della comunicazione alla quale stanno dando vita. La loro immagine e presenza soverchia, oscura, marginalizza quella dei candidati sindaco. E’ su di loro, leader nazionali, che viene chiesto il consenso, attraverso il ricasco che spinge a polarizzare i voti sulle liste di partito.

Il rinnovo delle amministrazioni locali è, da questo punto di vista, solo un passaggio verso una resa dei conti che lasci intendere quali potranno essere i percorsi futuri di FdI, Lega e complessivamente del Centrodestra.

La platea elettorale legittima questa partita. Si vota in oltre 1.300 Comuni, una fetta numericamente cospicua dell’elettorato, ma soprattutto importante dal punto di vista della qualità. Si vota a Torino, Milano, Bologna, Roma, Napoli: capoluoghi che condensano il sentire e l’opinione pubblica del Paese. Ogni segnale che verrà da quelle urne sarà immediatamente un segnale politico in grado di orientare il percorso nazionale dei partiti.

Diversa ma non dissimile da quella che si gioca nel perimetro del Centrodestra, è la partita che interessa il Centrosinistra. Ad un’area politica (segnatamente il Partito democratico) in debito di consensi e dilaniata da un irrisolto problema di leadership, un bagno elettorale vincente nei municipi rappresenterebbe una spinta verso l’agognata ripresa. Vincere nelle città significa per Pd e alleati difendere le posizioni esistenti (Milano, Bologna) e provare a riconquistare presìdi perduti (Torino, Roma, Napoli). Ha un vantaggio il centrosinistra rispetto ai competitor: la presenza di una classe dirigente di amministratori che non ha smarrito presa sui territori pur in presenza dello stato di confusione dei partiti (anche qui il riferimento centrale è al Pd) a livello nazionale. Le alleanze di centrosinistra chiedono nelle città il consenso sui sindaci ma è del tutto evidente che è un consenso invocato a traino del segretario nazionale – Enrico Letta – ancora lontano da un riconosciuto profilo di leadership.

Discorso denso di incognite per il Movimento Cinque Stelle. L’inversione di rotta – mai compiutamente spiegata – che dalle parole d’ordine anti-casta li ha portati ad un appiattito governismo debitore di patti (non ancora coerentemente perfezionati) con il Partito democratico, apre più di un interrogativo sulla risposta dell’elettorato tradizionale del Movimento.

La “cornice” del voto.

Una prima considerazione deriva da questa ricognizione analitica. Il voto amministrativo fa sostanzialmente da cornice ad un agitarsi dei partiti in cerca di stabilizzazioni e leadership. Il che non mette in ombra che la campagna elettorale non si stia disputando sui contenuti ed i progetti concreti e peculiari per le città. Ma ciò che prevale è la preoccupazione di trovare un tonico, un balsamo, un fortificante per partiti in cerca di identità e di ruolo.

Il fatto è che – e veniamo ad una seconda considerazione – sul voto locale si riflette lo spostamento di asse della politica del Paese. Cornice, al pari delle amministrative, sono i partiti nella loro configurazione parlamentare, rispetto al contenuto del quadro. Ovvero del governo-Draghi che centra in sé il potere decidente smarcandosi, con il loro consenso, dai partiti che dovrebbero muoversi su una linea di autonoma gestione dell’asse rappresentanza (il consenso raccolto) e decisione (il governare ricevuto come mandato dalle urne).

La politica – è del tutto evidente – è seduta in panchina. La battaglia vera e decisiva la combatte questo Governo. Un dato di fatto. Figlio della straordinarietà della situazione generata dalla Pandemia ma aggravata da partiti che da tempo hanno perso immagine, credibilità, radicamento, valore e significato per i cittadini.

I primi a comprendere questa situazione sono gli stessi partiti. Ai quali non resta altro spazio di azione che qualche battibecco mediatico senza effetti concreti, con il premier (è il caso di Salvini); oppure avallare il corso draghiano riservandosi ambiti di immagine per battaglie identitarie sia nel Pd (ius soli, legge Zan, doti ai laureati) che, all’opposto simmetrico in Fratelli d’Italia, favoriti dal grado zero di responsabilità sul fare, essendo unica forza di opposizione.

E’ questo lo spazio dei partiti. Per scelta obbligata. Ed è per questo che il responso politico delle urne amministrative non comporterà conseguenze apprezzabili sulla tenuta del Governo.

 Le questioni aperte.

E tuttavia restano aperte questioni vitali per il futuro del Paese che scoccherà a partire dalle elezioni del Capo dello Stato e un anno dopo con la tornata elettorale per il rinnovo del Parlamento.

Il Pnrr sulle spalle di quale sistema politico poggerà le possibilità di riuscita? Quale profilo di governo e quale qualità di rappresentanza dei cittadini si dovrà definire per fare riassaporare al Paese la “normalità” delle dinamiche di una società democratica? Il voto amministrativo riproporrà con urgenza le questioni. Imporrà ad un sistema politico lacerato, instabile ed improduttivo, il proprio radicale ridisegno. Che non è affare risolvibile dall’algebra di una nuova legge elettorale ma richiede il profilo di nuovi soggetti politici in grado di dotarsi di una carta di identità fatta di culture politiche in grado di declinare riforma e progresso, equità e competizione, libertà e uguaglianza. Parole e pensieri forti. Lontani anni luce da un presente di balbettii estemporanei e di politici che più che leader sono followers; più che guide assecondano le correnti della umoralità pre-politica dilagante attraverso i social.

Ragionevolmente non sarà un percorso facile. La Pandemia – si dice – ha cambiato tutto. Può lasciare immune una idea ed una prassi della Politica e della Democrazia anchilosate e talora fantasmatiche come da decenni stiamo sperimentando? I partiti dovranno misurarsi con questa sfida spingendosi su percorsi di rifondazione del ruolo di mediazione che la stessa Costituzione ad essi riconosce. Serviranno congressi veri, confronti di programma autentici e aperti, intelligenti scontri su valori-guida da riconoscere, competizione senza trucchi. Dovrà essere un esercizio di limiti da porsi e prospettive ampie e credibili da aprire. Sapendo che non è scomparsa – anzi è possibile riemerga in forme nuove ed inaspettate – la pulsione auto-conservativa di partiti come strumento vocato alla occupazione di spazi di potere legittimo. Una tentazione, tanto per dire, alla quale sarà difficile sottrarsi alla luce delle prossime elezioni politiche che si celebreranno con la riduzione del numero dei parlamentari. Meno posti significa correnti e componenti interne più agguerrite nell’arte del negoziato anche furbesco per conquistare posizioni. Impegno primario con buona pace di programmi e cambiamenti necessari di mission.

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