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La parabola crescita/decrescita di quanti avevano 0/9 anni tra il 1982 ed il 1991 nell’arco di tempo 1° gennaio 1992/1° gennaio 2017 (dati Istat).

La fuga dei 5.000 migranti giovani.

Appartengono alla fascia di età 25/34 anni, registrati alla loro nascita come residenti in provincia di Salerno, in cerca di  lavoro (o di specializzazione) nelle regioni del Nord.

Le aree interne della provincia più soggette all’impoverimento demografico: Calore, Alburni, Tanagro Alto e Medio Sele, Vallo di Diano.

Variazione positiva per la Valle del Picentino (+18,8%, +1.199 residenti) e la Valle dell’Irno (+5,1%, +417 residenti), effetto della “Grande Salerno”.

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A conti fatti, al 1° gennaio 2017 (sulla base di dati Istat) mancano all’appello 5.055 giovani compresi nella fascia di età 25/34 anni registrati alla loro nascita come residenti in provincia di Salerno. E’ questo il saldo demografico ampiamente negativo che emerge al netto delle ricadute in entrata relative ai flussi di immigrazione straniera. In altre parole, i giovani che si sono allontanati dal territorio dove sono nati costituiscono un esercito di migliaia di persone. Alla luce dell’attuale stato del mercato occupazionale che caratterizza la fascia d’età presa in considerazione, è presumibile che si siano mossi prioritariamente per due ordini di motivi: ulteriore specializzazione negli studi; ricerca di un’adeguata collocazione nel circuito lavorativo. D’altro canto – con un tasso di disoccupazione giovanile che gira intorno alla soglia del 50% a livello provinciale (spesso scavalcandola) – non possono certo bastare le pur importanti spinte all’auto-imprenditorialità, che, soprattutto per quanti hanno compiuto un percorso particolarmente complesso dal punto di vista della formazione personale e professionale, non appare (almeno in prima battuta) la prima scelta da fare.

Nella “classifica” che in termini percentuali prende in considerazione le aree più soggette a questo fenomeno di depauperamento di intelligenze e di risorse lavorative “primeggiano” le aree interne della provincia: Calore, Alburni, Tanagro Alto e Medio Sele, Vallo di Diano, ma anche il comprensorio della città capoluogo che, in questo caso specifico, “sconta” anche, molto probabilmente, la residenza di una maggiore quantità di giovani laureati. Va aggiunto – a conferma della complessità di questo tipo di analisi – che non sempre ad un alto tasso di disoccupazione giovanile corrisponde una speculare percentuale di “emigranti” tra i 25 ed i 34 anni. In questi casi – se ne può dedurre – la rete di “protezione familiare” consente di “ammortizzare” l’esclusione dal circuito occupazionale in maniera più prolungata e meno disagiata. Esempio calzante – da questo punto di vista – l’Agro Nocerino Sarnese, area dove il quoziente di ampiezza del nucleo familiare è maggiore rispetto alla media provinciale. In tale contesto, pur registrandosi una percentuale di disoccupazione giovanile a cavallo del 50% (in pratica, 1 giovane su 2 non lavora), la flessione di residenti nella fascia di età considerata è pari “solo” al 3,2% (1.159 persone in valore assoluto), dato che risulta inferiore alla media provinciale (-3,8%). Come, pure, è necessario sottolineare che nel caso del comune capoluogo – Salerno – il -7,3% è probabilmente attenuato dagli incrementi demografici (sempre nella fascia 25/34 anni) che si sono “materializzati” nella Valle del Picentino (+18,8%) e nella Valle dell’Irno (+5,1%), in quanto siamo in presenza della formazione in fase sempre più avanzata di un nuovo agglomerato urbano e residenziale: la Grande Salerno. Di fatto, molti giovani sono andati semplicemente a risiedere nella “cintura” metropolitana del capoluogo di provincia, magari in occasione del matrimonio e del conseguente acquisto di una casa di proprietà a prezzi più contenuti. Con il suo -3,4%, il Cilento, altra peculiarità da rimarcare, conferma – probabilmente in virtù di un’estesa filiera legata al turismo ed ai servizi ad esso connessi – una capacità di resilienza maggiore rispetto ad altre aree senza sbocchi costieri.

Il metodo analitico.

Ma prima di entrare nel dettaglio dei numeri, è importante specificare la metodologia alla base dell’elaborazione dei dati qui presentati. Si è partiti dalla consistenza numerica della fascia di residenti nati nel periodo compreso tra il 1° gennaio 1983 e il 1° gennaio 1992, ed è stata seguita – al netto del flusso migratorio in entrata degli stranieri – la parabola di crescita/decrescita di questo gruppo di individui (che aveva 0/9 anni al 1° gennaio 1992) nei successivi 25 anni, e quindi fino al 1° gennaio 2017. In altri termini, la numerosità del gruppo degli “attuali” giovani residenti (25-34 anni) è stata confrontata con la sua consistenza di partenza (cioè la popolazione totale residente 0-9 anni al 1° gennaio 1992).

La sintesi dei numeri.

Se si scende ora nel dettaglio dei numeri, in termini percentuali la maggiore contrazione si è verificata nel comprensorio Calore, Alburni, Tanagro e Alto-Medio Sele:  -10,5%, -1.406 residenti. Seguono: Vallo di Diano (-9,6%, -711 residenti); Salerno città (-7,3%, -1.085 residenti); Costa d’Amalfi (-7,3%, -822 residenti); Piana del Sele (-5,2%, -928 residenti); Agro Nocerino Sarnese (-3,2%, -1.159 residenti). Segnano, invece, una variazione positiva – per i motivi che si è tentato prima di sintetizzare – la Valle del Picentino (+18,8%, +1.199 residenti) e la Valle dell’Irno (+5,1%, +417 residenti).

I comuni più “abbandonati”.

I dieci comuni nel cui perimetro si evidenziano le più marcate riduzioni percentuali confermano ancora una volta lo “svuotamento” demografico delle aree interne, generalmente distanti da dinamiche economiche interagenti con le zone della provincia più inserite in circuiti produttivi virtuosi e ben definiti – per quanto ciò sia possibile nel Salernitano – anche dal punto di vista delle identità settoriali. A fronte di un tasso negativo migratorio a livello provinciale del 3,8%, in questo gruppo di comuni si riscontrano percentuali comprese tra il -62% di Valle dell’Angelo ed il 35,3% di Laurino. Tra le due località ritroviamo Castelnuovo di Conza (-59,3%), Sacco (-52,6%), Rofrano (-43%), Alfano (-42%), Roscigno (-40,2%), Santomenna (-38,2%), Monte San Giacomo (-37,8%) e San Mauro la Bruca (-35,6%). E’ chiaro che bisogna andare oltre il dato assoluto (che, considerando la popolazione complessiva di questi comuni, è ovviamente contenuto) e cogliere invece il più eloquente significato espresso dai dati percentuali. Risulta evidente la necessità di approfondire la riflessione sulle cause della (purtroppo) strutturale emarginazione di queste aree da valide progettualità di sviluppo. Si tratta di un’ampia parte di territorio provinciale che racchiude non poche potenzialità di crescita, se solo si lavorasse in maniera non effimera ad una “relazionalità” di sistema con le località costiere o con le (poche) zone di insediamento produttivo localizzate in un raggio chilometrico contiguo non così ampio come si è portati a credere.

Il contesto meridionale.

I fenomeni dell’emigrazione giovanile e della ridefinizione in atto del profilo demografico delle regioni meridionali sono già da alcuni anni oggetto di analisi e di approfondimenti specialistici. La Svimez anche recentemente ha evidenziato il  “nuovo dualismo demografico” che caratterizza il contesto nazionale. “ Il Sud – ha spiegato la Svimez in un documento di sintesi diffuso lo scorso mese di luglio – non è più un’area giovane, né tanto meno il serbatoio di nascite del resto d’Italia: negli ultimi 15 anni, al netto degli stranieri, la popolazione meridionale è diminuita di 393 mila unità, mentre è aumentata di 274 mila nel Nord”. Solo nel 2016 “la popolazione del Sud è diminuita di 62 mila unità, calo determinato da una flessione di oltre 96 mila italiani e da una crescita di 34 mila stranieri”. Ma il dato che più offre la possibilità di valutare la portata di flussi in uscita così consistenti è il seguente: “Negli ultimi 15 anni sono emigrati dal Sud 1,7 milioni di persone, a fronte di un milione di rientri, con una perdita netta di 716 mila: nel 72,4% sono giovani entro i 34 anni, 198 mila sono laureati”.

Questo tipo di scenario risulta anche da una ricerca dell’Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro (giugno 2017) che approfondisce l’emigrazione interna tra le regioni. Tra “il 2008 ed il 2015 – si spiega nel rapporto – più di 380 mila italiani si sono trasferiti da una regione del Sud in un altro territorio del Centro o del Nord Italia. Si tratta principalmente di lavoratori qualificati che vedono nella fuga dal Mezzogiorno la via migliore per guadagnare di più”. A queste cifre vanno aggiunte quelle sull’emigrazione all’estero. Sempre nel periodo 2008/2015 “più di 500 mila connazionali si sono cancellati dall’anagrafe per trasferirsi all’estero. Al primo posto tra le destinazioni dei nuovi emigrati italiani c’è la Germania, seguita da Regno Unito e Francia”. Non a caso Paesi dove si ritrovano maggiormente concentrate le comunità di giovani meridionali con una buona presenza di campani e salernitani.

Paolo Coccorese

Ernesto Pappalardo


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