contatore visite free skip to Main Content
info@salernoeconomy.it

I numeri dell'economia »

La dinamica di autoconservazione dei gruppi dirigenti dei partiti nella preoccupazione di mantenere le posizioni in Parlamento.
La pancia e la testa, il doppio sguardo sulla battaglia elettorale
Le liste-salvataggio e l’astensionismo incombente. Due Paesi ancora lontani e la politica che stenta a farsi mediazione.

di Mariano Ragusa

Visto dalla pancia, il panorama offerto dalle liste elettorali stimola i succhi gastrici della perdurante antipolitica.  Un affare di casta tra paracadutati, collegi sicuri per vecchi e nuovi notabili, legami virtuali con i territori.

Visto dalla testa quello stesso panorama, magari con una sfumatura poco più nobile di quella manifestata dalla pancia, disegna la dinamica di autoconservazione dei gruppi dirigenti dei partiti nella preoccupazione di mantenere almeno le posizioni in Parlamento e autotutelarsi dallo tsunami che secondo i sondaggi esploderà il prossimo 25 settembre.

L’esercito degli uscenti esclusi e non ripescati attraversa tutte le compagini politiche. Nel pianto generale tuttavia non tutte le lacrime sono uguali e legittime. Ci sono quelli che avrebbero meritato una chance ma sono stati sacrificati sull’altare del salvataggio del big di corrente di turno. Ci sono quelli che forse una legittimazione sul campo nel quadriennio parlamentare che hanno alle spalle poco o nulla l’hanno conquistata eppure adesso si sciolgono nella polemica contro i leader autoreferenziali. Casi non tutti unificabili se non per una costante: il cambio di legge elettorale con annesso taglio dei parlamentari. Ovvero: meno posti in Parlamento e più ferrea disciplina di controllo e decisione da parte dei leader sui candidati/nominati.

Pessima legge elettorale e l’ombra del pareggio.

Pessima legge elettorale. Ma pessima anche l’azione politica dei singoli soggetti che negli ultimi anni hanno galleggiato sugli slogan (o si sono assopiti sul governo di unità nazionale) e poco niente hanno fatto per delineare il proprio profilo programmatico in modo tale da presentarsi con una accreditabile offerta politico-elettorale.

La povertà del dibattito in corso (stralciando le tristissime pulsioni social) è di tutta evidenza. Un elemento su tutti riguarda il premier uscente Mario Draghi. I contenuti del suo programma di governo, la famigerata Agenda Draghi, sono sic et simpliciter fatti propri dai temi elettorali del Pd (che si arricchiscono strizzando l’occhio ai diritti civili parlando di cannabis e patrimoniali nascoste per sostenere i giovani). Di più stanno facendo Renzi e Calenda accomunati nel patto di Azione. Loro, addirittura, Draghi lo candidano (a insaputa dell’interessato) a premier del governo che verrà nel dopo elezione.

Mossa di appeal elettorale vista la popolarità e il gradimento che il “banchiere con il cuore” (autodefinizione di Super Mario)? Probabilmente non è solo questo. C’è forse un indizio previsionale (come tale mera traccia di discussione) che porta a ritenere la possibilità di un pareggio tra i due blocchi politici in competizione quando i dati dei sondaggi si tradurranno in voti reali.

Sicchè lo scenario sarebbe duplice: una maggioranza risicata o una maggioranza inesistente. In un tale contesto, reso urgente dalla gravità della crisi economica incipiente nella sua portata massima, soluzioni di “salute pubblica” o di conio “istituzionale” potrebbero non essere fuori dall’agenda dei partiti ed in primis del Colle.

Certo, verrebbe da chiedersi, perché si è votato? Il Paese non è in grado di dare di sé una precisa e solida rappresentanza da insediare in Parlamento? L’interrogativo è apertissimo. E non mancano ragioni per ipotizzarlo. Uno dei temi che qui viene in evidenza riguarda la platea elettorale.

Il partito dell’astensione.

C’è un’area poco sotto il 40% di astenuti. Area in cui c’è di tutto: dall’indifferente per vocazione al deluso dei partiti, agli attendisti di segnali che possano richiamarli alle urne. Se si attivasse quest’ultima dinamica la platea elettorale si amplierebbe e non mancherebbero sorprese. Il punto è che, almeno dalle prima battute del dibattito elettorale, a quell’area i partiti stanno guardando poco o nulla. Si preferisce al contrario ingaggiare uno scontro disarmato per provare a pescare consensi in aree omogenee (il Pd verso i Cinquestelle e Azione, ma il discorso vale anche nei confronti del Pd da parte delle altre due formazioni; così come sull’altro fronte a tenere banco è il duello Fratelli d’Italia-Lega), oppure rafforzare la fidelizzazione di un elettorato stabilizzato.

In questo scenario, assai virtuale, ha senso l’ipotesi del sostanziale pareggio. Scenario che è auspicabile non si concretizzi perché confermerebbe l’esistenza di un Paese a democrazia dimezzata con una larga parte di cittadini lontani se non decisamente fuori dal circuito inclusivo della politica e delle istituzione nel passaggio nevralgico del sistema che è quello della formazione delle leggi e delle strategie generali per l’orientamento del Paese stesso.

Di questa eventualità non sembra cogliere sintomi di attenzione convinta e decisa dal versante dei partiti in competizione. Si affronta il giudizio dei cittadini con l’occhio e i segnali rivolti al dopo voto. Il Pd, ad esempio, per bocca di alcuni suoi autorevoli esponenti evocano intese post voto con i Cinquestelle di Conte. Passi per la coerenza che va a farsi benedire ma poi su quali basi ricucire un rapporto se necessario di maggioranza? E infatti Conte, che pure non esclude l’eventualità ma la nasconde, mostra i muscoli e dice “mai” nella convinzione che tale postura possa propiziargli voti del “vecchio” movimento.

Il Pd sotto assedio e il fantasma Draghi.

Pd sotto assedio da parte di Renzi e Calenda. La loro campagna elettorale è al momento una sequenza di incornate anti-Letta. Renzi, qualche settimana fa in diverse Tv, così sintetizzò la differenza: “Io da premier ho abbassato l’Iva, oggi il Pd è il partito delle tasse”. Linguaggio da anni nelle corde di Berlusconi e del centrodestra. E non a caso. Perché le incornate di Renzi al Pd per sottrarre voto centrista incrocia una analoga, più soft, operazione rivolta al bacino elettorale di Forza Italia che appare in progressivo calo di consensi.  Chi assorbirà l’emorragia? Renzi e Calenda si candidano.

E infine Draghi. E’ in partita? E’ decisamente fuori? Caduto il suo governo ha chiuso per sempre i conti con la politica? Il discorso tenuto al recente Meeting di Rimini offre qualche spia rivelatrice. L’ex banchiere ha rendicontato sul lavoro del suo governo esibendo numeri vincenti. Ha “ridimensionato” l’enfasi elettorale (solo questa) sulla sua Agenda pur di fatto ribadendo con piglio impostazione scelte e metodo che ha invitato a non abbandonare.

Lo ha fatto con lo stile sobrio che gli è proprio. Ma non senza avvertire su alcuni fondamentali: la collocazione internazionale (europeista e atlantista) dell’Italia, la sostanziale intoccabilità del Pnrr. Parole che sono sembrate avvertenze ai sovranisti di casa nostra ma senza radicalizzazioni al punto da affermare che “qualunque governo” post elezioni saprà fare bene negli interessi del Paese. Forse questo Draghi è molto lontano dalle aspettative di Renzi e Calenda e molto vicino alla soglia del Quirinale.

 

Pres_Draghi_bio_0
Mario Draghi, è in partita o no?
Back To Top
Cerca