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Il dibattito sul processo di elezione del nuovo presidente della Repubblica ci deve preoccupare molto.
La logica dello spread, democratico o finanziario?
E’ tempo di cambiare i paradigmi di riferimento, le corazze delle identità sono una trappola mortale, che frena la nascita di nuovi attori sociali di cui abbiamo bisogno: dove sono e quanti sono i “costruttori” di Mattarella?

di Pasquale Persico

Il discorso di saluto del presidente Mattarella, a fine anno, e il suo richiamo all’unità ed al compromesso necessario, già  lasciavano prevedere che, nonostante l’attivismo durante la crisi pandemica, la massa critica dei “costruttori” è ancora insufficiente a proteggere i valori democratici della Costituzione. La democrazia matura, appunto, necessaria ad affrontare la grande crisi che ci avvolge sta per diventare un miraggio e l’investimento fatto dalla Germania sull’Italia potrebbe rivelarsi inefficace e, forse, addirittura spiazzante. Il dibattito sul come verrà avviato il processo di elezione del presidente della Repubblica ci deve preoccupare molto, la “lettura” che ci viene data dalla comunicazione e dalle dichiarazioni delle diverse componenti dei partiti,  segnala una storia di società già distrutta, in termini di comportamento istituzionale.

La sua debolezza strutturale emerge con drammaticità, i sistemi di rappresentanza non riescono a darci segnali positivi sul modo in cui la struttura sociale supererà la  crisi “a più dimensioni” che ci avvolge. Fino a qualche mese fa sembrava possibile pensare ad una democrazia in grado di muovere le istituzioni usando il buon senso; la  conferma dei due presidenti poteva essere una modalità per completare il percorso di navigazione verso  l’uscita dalla crisi. L’Italia si poteva confermare come protagonista, insieme alle altre nazioni fondatrici,  del rilancio dell’Europa come continente di riferimento.

Siamo, invece, in una fase – nodo storico – che ci preoccupa; proprio in questa settimana sembra probabile l’uscita di scena di ambedue i presidenti della responsabilità: l’infelice impotenza dello Stato italiano riappare nella nuova storia che ci viene incontro.

La stessa reazione politica al come il Pnrr  contribuisce a tiraci fuori dalla crisi, segnala che i partiti vorrebbero essere più dentro i meccanismi di distribuzione delle risorse, dimenticando che la storia degli ultimi quaranta anni segnala grandi responsabilità della politica per  i debiti a cui abbiamo accennato. Lo Stato umile a cui aveva fatto riferimento Mattarella, lo Stato dei “costruttori” e degli uomini e delle donne eroi della pandemia è, purtroppo, debole. E’ uno Stato che rischia di esplodere in una pluralità di comunità a rappresentanza anarchica, indisciplinata e divisa, cioè incapace di dare voce ad una società coesa, dove un varietà di soggetti istituzionali si confrontano, competono, e si coordinano per il bene comune a visione aperta.

La rinuncia a consolidare una coppia di presidenti all’altezza della situazione di crisi appare la prospettiva in campo, con la conseguenza che l’intervento pubblico ci allontanerà dal percorso di probabile conferma del ruolo dell’Italia come  nazione europea di riferimento. Aumenta la probabilità di scivolare rapidamente verso la situazione precedente, un’Italia manifatturiera in decadenza tecnologica nelle catene del valore a spettro globale, prigioniera delle identità pregresse appartenenti ad un secolo più lontano di quanto si poteva  immaginare.

Ci si dimentica che è stato il ministro delle finanze della Germania, spinto dalla Merkel, a favorire l’attuale indirizzo del Pnrr, con l’Italia principale beneficiaria e che sarà la Germania, condizionata dal tema Europa possibile,  a dover pesare l’evoluzione della capacità dello Stato italiano di interpretare i temi dell’Europa che verrà.

La politica economica dell’Italia – nel quadro della nuova possibile politica economica europea – non può essere come nel passato, disarticolata e destrutturata in mille rivoli di consenso a breve termine, con un discrezionalità amministrativa diffusa, a protezione di interessi lontani dal cosiddetto buon governo.

La politica economica per macroregioni europei tarderà a consolidarsi e la prospettiva di una democrazia forte e capace di interpretare la nascita di una nuova nazione a civiltà plurale  si allontanerà.

Stefano De Matteis – nel bel libro “il Dilemma dell’aragosta” – ci offre  un quadro delle impossibilità nelle quali siamo incastrati. A differenza dell’aragosta, i partiti sono incapaci di liberarsi della loro corazza. De Matteis ci ricorda “che quando la corazza diventa opprimente, cioè non adatta alla crescita delle antenne, l’aragosta sceglie il tempo giusto per liberarsene; resta nuda, sceglie di rischiare e aspetta di indossare il nuovo abito adatto a sostenere la nuova lungimiranza acquisita”. Si formerà una nuova corazza, adatta ai nuovi percorsi di vita suggeriti dai sensori naturali anch’essi cresciuti a dismisura. Per i partiti e le istituzioni nate nel Novecento, come suggerisce Edgard Morin, è tempo di cambiare i paradigmi di riferimento, le corazze delle identità sono una trappola mortale a rendita decrescente che frenano la nascita di nuovi attori sociali di cui abbiamo bisogno: dove sono e quanti sono i “costruttori” di Mattarella?

Lo spread in risalita è un’avvertenza, ma è soprattutto l’abbondanza di luoghi comuni nel dibattito tra i partiti che fa paura.

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Pasquale Persico
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