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L’emergenza pandemica ha generato il blocco sostanziale di fronte a patologie anche gravi rispetto alla priorità imposta dal virus.
La lezione del Covid: il diritto alla salute non è per tutti
La realtà è stata maestra. La politica saprà applicarne diligentemente la lezione? Sarà in grado il Paese di difendere e rilanciare il valore universale di accesso alle cure del nostro Sistema sanitario pubblico?

di Mariano Ragusa

La lotta contro il Covid ha indebolito la nostra salute. Estremo paradosso per indicare come la inevitabile polarizzazione dell’attività del sistema sanitario sull’emergenza pandemica ha lasciato scoperti fronti importanti della salute e della qualità della vita. Basti solo considerare il blocco sostanziale scattato su diagnostica e cura di altre patologie anche gravi di fronte alla priorità imposta dal virus.

Adesso, due anni dopo e mentre lampeggia una luce di uscita in fondo al tunnel, i nodi vengono al pettine. E vanno sciolti. All’orizzonte un’azione complessa. La Pandemia non è stato un incidente di percorso riassorbibile ed archiviabile nella normalità della casistica delle patologie. La mutazione radicale che ha introdotto si proietterà sul futuro. Scienziati attendibili come l’epidemiologo Anthony Fauci e l’italiana Ilaria Capua ci hanno avvertiti: altri virus sono all’orizzonte. Il punto è allora come, facendo tesoro del passato, l’apparato scientifico, operativo e di assistenza e cura emerso dal Covid rimodellerà nella loro totalità i sistemi sanitari.

Il dopo Covid è quindi un ridisegno funzionale e moderno del pianeta salute. Il che significa: più figure professionali, più mezzi e risorse. Non basta consolarsi con le promesse del Pnrr. Occorre mettere mano a coerenti programmi di azione e di governo della realtà.

Il ministro della Salute Roberto Speranza ha mostrato, sul punto, piena consapevolezza. “La pandemia ha reso evidenti almeno tre limiti della nostra sanità: il ritardo nel sapersi adeguare ai bisogni di una popolazione che invecchiando ha fatto esplodere le malattie croniche, il deficit digitale e una crescita delle diseguaglianze nell’accesso ai Lea, i livelli essenziali di assistenza, che sono su valori non adeguati al Sud”. Dalla diagnosi alla prospettiva: “Ora abbiamo l’opportunità di trasformare la più dura emergenza sanitaria del dopoguerra in una grande opportunità di ammodernamento e rafforzamento della nostra sanità pubblica”.

Da dove ripartire.

Un recente studio realizzato da Cnr, Cid Ethics, Sapienza Combiomed, ASviS, offre elementi importanti da tenere presenti che è utile evidenziare.

Lo scenario. Nel periodo pre-Covid 2010/2019 si è registrato un aumento della spesa pubblica in Sanità senza che tuttavia tale azione abbia “modificato sostanzialmente lo squilibrio, e ciò anche perché alcuni stanziamenti previsti non sono stati assegnati a seguito della introduzione di diverse manovre finanziarie, per un totale stimato per gli ultimi 10 anni di circa 37 miliardi di euro totali sottratti alle necessità del SSN secondo le previsioni”.

Analoga questione per quanto riguarda il personale. Al 31 dicembre 2018 (fonte Corte dei Conti) il personale a tempo indeterminato nel SSN era inferiore a quello del 2012 di circa 25 mila unità (circa 41 mila rispetto al 2008) con una riduzione del 4% tra 2012 e 2017 e del 6,5% tra 2004 e 2017.
In questo scenario è scoppiata l’emergenza Covid che ha acutizzato le criticità precedenti e posto la necessità di rivedere gli assetti dei servizi di settore. Molti i nodi venuti al pettine.

Reparti di terapia intensiva. Secondo le informazioni del Ministero della Salute se ne contavano a febbraio 2020 in Italia 5.179, pari a 8,58 ogni 100 mila abitanti, meno del 2012, quando erano 12,5 ogni 100 mila abitanti, a fronte di 15,9 del Belgio, di 21,8 dell’Austria e di 29,2 della Germania.

Nel corso della pandemia la disponibilità è cresciuta in media del 50%. Analogo incremento in posti letto di pneumologia e malattie infettive, aumentati, sempre secondo la comunicazione ufficiale del Commissario del 9 ottobre, di 7.670 unità (da 6.525 a 14.195).

La “disuguaglianza” assistenziale.

L’impatto più pesante si è registrato in termini di continuità assistenziale per le patologie non-Covid, anche quelle croniche e gravi. A fine 2020 si segnalavano una riduzione del 52% delle nuove diagnosi, del 57% delle visite oncologiche e del 64% degli interventi chirurgici. Una evidente violazione del diritto alla cura come la Costituzione stabilisce.

Aspetto problematico la medicina di territorio. Lo hanno ricordato in una lettera aperta i medici dell’Ospedale Papa Giovanni di Bergamo il 21 marzo 2020: “La pandemia richiede un approccio comunitario di popolazione e di territorio” che significa “prevenzione estesa ad ambiti non sanitari, collaborazione tra settore sociale e settore sanitario, medicina di iniziativa, monitoraggio a tappeto delle condizioni di salute sul territorio e domiciliarità”.

I buchi neri.

La pandemia ha rivelato l’impreparazione del sistema di fronte alle emergenze. “E – sottolinea lo studio al quale stiamo facendo riferimento – la non attuazione degli obiettivi peraltro ampiamente previsti in molti Piani e documenti strategici”. Attenzione alla territorialità veniva posta dal “Patto per la salute” (2019/2021 approvato dalla Conferenza Stato-Regioni); dal Piano della Prevenzione 2020-2025 (varato nel 2019) che delineava una “visione” trasversale del tema Salute per ogni ambito delle attività umane. Infine il Piano pandemico nazionale. Il nostro risale al 2006. Mai aggiornato da quell’anno applicando le direttive Oms. E’ ragionevole almeno supporre che un Piano attualizzato e adeguato avrebbe alleggerito la pressione della pandemia.

Prospettive.

La pandemia, ci avvertono studiosi e operatori sanitari, ha messo il sistema della salute pubblica di fronte ad alcune scelte strategiche urgenti. Tre in particolare: a) interconnessione tra salute e benessere ambientale in una dimensione globale; b) dimensione comunitaria delle politiche sanitarie pubbliche; c) strategie di collaborazione che coinvolgano istituzioni e associazioni su percorsi a raggiera, includendo prevenzione, formazione ed educazione alla salute.

Indicazioni puntuali. Frutto della lezione impartita dal Covid. Indicazioni che, in controluce, riflettono i tre punti enunciati dal ministro Speranza. La realtà è stata maestra. La politica saprà applicarne diligentemente la lezione? Domanda che ne tira un’altra, fondamentale. Sarà in grado il Paese di difendere e rilanciare il valore universale di accesso alle cure del nostro Sistema sanitario pubblico?

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Problemi irrisolti
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